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La fecondazione artificiale (procreazione assistita)

7 Ottobre 2011 - Autore: Alleanza Cattolica

di Claudia Navarini

 

1. Che cosa sono le tecnologie riproduttive?

La National Library of Medicine (Bethesda, Washington D.C.) ha inserito nel 2002 fra i Medical Subject Headings (MeSH) – il più grande vocabolario controllato di carattere biomedico al mondo – l’espressione tecnologie di riproduzione assistita, descrivendole come “tecniche cliniche o di laboratorio volte a potenziare la fertilità nell’uomo e nell’animale”. Nella definizione di medicina riproduttiva, introdotta nel 1995, compaiono fra le tecnologie di riproduzione assistita “il trasferimento di embrione, la fecondazione in vitro e il trasferimento intrafalloppiano di zigote”. Il termine fecondazione in vitro era presente nei MeSH dal 1979, sollecitato dal rapido moltiplicarsi di pubblicazioni dopo la nascita in Inghilterra, nel 1978, del primo essere umano concepito in vitro, una bambina di nome Louise Brown.

Questa fonte rivela alcuni dati noti al mondo della ricerca in tema di fecondazione artificiale. Il primo è che le tecnologie riproduttive hanno un ampio utilizzo nell’animale, che per molti anni ha rappresentato il loro unico destinatario. La seconda è che vi è un particolare interesse, nella scelta delle tecniche, per le modalità di fecondazione extracorporea, nonostante esistano vari metodi di fecondazione intracorporea e/o di inseminazione artificiale.

Le tecniche di fecondazione artificiale, infatti, si dividono in intra-corporee, in cui i gameti (spermatozoo e ovocellula) s’incontrano nel corpo materno, come accade nell’inseminazione artificiale e nella GIFT (trasferimento intra-falloppiano di gameti), ed extracorporee, in cui vengono posti in provetta, dove si possono unire come nella FIVET (fecondazione in vitro e trasferimento embrionario), oppure vengono uniti direttamente attraverso micromanipolazione come nella ICSI (iniezione intra-citoplasmatica di spermatozoi, l’iniezione di spermatozoi direttamente nel citoplasma dell’ovulo).

Il biologo della riproduzione – in buona misura “pentito” – Jacques Testart, artefice della prima fecondazione in vitro francese, e della tecnica ICSI, osserva in proposito che il fatto di avere l’embrione “esposto”, fuori dall’utero materno, ha portato a un enorme cambiamento nella percezione dell’essere umano e del figlio. L’embrione in vitro, infatti, per la sua “disponibilità”, induce la tentazione di “sceglierlo”, di manipolarlo, di “usarlo”, un po’ come si faceva prima con gli embrioni di mucca o di coniglio. La fecondazione artificiale in zootecnia, infatti, non era utilizzata per “risolvere” problemi di sterilità e infertilità animale, ma – appunto – per potenziare la fertilità, aumentando il numero degli embrioni per parto e scegliendo i migliori a fine di mercato.

In realtà, le tecnologie riproduttive in senso proprio non agiscono sulla fertilità reale dei soggetti su cui vengono eseguite, se per fertilità s’intende “la capacità di concepire o di indurre il concepimento” (MeSH), in riferimento sia al maschio che alla femmina. Si limitano a sostituire in tutto o in parte la funzionalità generativa in modo da pervenire comunque a uno o più concepiti, Nelle tecniche di fecondazione extracorporea, in particolare, la femmina non concepisce, e il maschio non induce alcun concepimento, che è invece indotto dal tecnico o dallo sperimentatore che unisce i gameti in vitro.

 

2. Procreazione assistita o fecondazione artificiale?

Nell’uomo, le tecnologie riproduttive nascono e vengono giustificate proprio a causa del problema della sterilità e dell’infertilità. Sono state salutate da molti con favore come un modo per avere figli dove la natura non lo permetterebbe. Tuttavia, nel passaggio dall’animale all’uomo, le tecnologie hanno portato con sé la logica produttivista, alterando radicalmente il senso della generazione umana, così da privarla dell’atto pro-creativo coniugale con cui i potenziali genitori si rendono disponibili a una nuova nascita, e isolando il fenomeno della fecondazione quasi si trattasse di una mera “procedura”.

Come osserva Chiara Mantovani, medico e bioeticista, con le tecnologie riproduttive si “trasferisce l’atto della generazione fuori dall’ambito dell’agire umano, per porlo nell’ambito del fare: da atto umano la generazione diventa così un atto tecnico”. In questo senso, il termine fecondazione artificiale richiama con maggiore chiarezza il processo tecnico e biologico (la fecondazione, appunto) ottenuto con mezzi alternativi e sostitutivi (artificiali) rispetto alla modalità naturale di concepire, cioè all’atto sessuale coniugale. L’espressione procreazione medicalmente assistita suggerisce invece l’idea di mettere al mondo un figlio (procreare) con l’aiuto (l’assistenza) della medicina riproduttiva e della relativa tecnologia.

I bioeticisti Maria Luisa Di Pietro ed Elio Sgreccia affermano che l’“artificialità assume […] un significato negativo quando cancella la presenza delle persone, quando le sostituisce […]. Si può parlare in tal caso di […] procreazione assistita? Certamente no. E se tale locuzione viene utilizzata di solito per comprendere anche la fecondazione in vitro e le micromanipolazioni dei gameti o l’inseminazione con seme prelevato al di fuori dell’atto coniugale, è al solo scopo di ingannare quanti, distratti o poco informati, non sanno che di lì a poco verranno trasformati in impersonali produttori di gameti”.

Un’altra distinzione fondamentale nelle tecniche di fecondazione artificiale è in effetti quella fra omologa ed eterologa. Nel primo caso i gameti utilizzati provengono dalla coppia alla ricerca di un figlio, e quindi da coloro che saranno i genitori legali del bambino. Nell’eterologa, invece, uno o entrambi i gameti provengono da un fornitore “esterno”, e dunque il bambino che eventualmente nascerà non sarà biologicamente figlio di uno o di entrambi i genitori legali.

 

3. I “prezzi” da pagare per la fecondazione artificiale

La fecondazione artificiale presenta sempre problemi di ordine etico, scientifico e giuridico, comunque venga attuata. Allo snaturamento dell’atto procreativo coniugale, si affiancano infatti altre gravi questioni:
– lo scoraggiamento di un’autentica prevenzione e terapia della condizione di sterilità e d’infertilità, che la riproduzione assistita intende aggirare ma non risolvere;
– la possibile propagazione di malattie e anomalie genetiche legate sia alla sterilità o infertilità dei “fornitori” di gameti sia al modo del concepimento, cioè alla fecondazione in vitro;
– la riduzione a “cosa” del figlio, trattato alla stregua di un prodotto;
– i rischi per le donne, sottoposte a bombardamenti ormonali intensi e in generale a procedure invasive che molto hanno ancora di sperimentale;
– gli attentati alla famiglia, che soprattutto con la fecondazione artificiale eterologa, cioè con seme e/o ovuli esterni alla coppia, minano alla base l’equilibrio delle relazioni fra gli sposi e fra genitori e figli, con gravi ripercussioni anche sulla sanità pubblica e sulla convivenza sociale.

A tali questioni va aggiunta l’inevitabile perdita di vite umano allo stadio embrionale che ogni tecnica di fecondazione artificiale comporta. Né vale obiettare che tanto, anche in natura, molti embrioni vengono abortiti spontaneamente, poiché i valori in questione sono molto diversi: nell’aborto spontaneo si prende atto di un fenomeno (per alcune persone più ricorrente che per altre) al quale si può cercare di porre rimedio con vari mezzi ma che non dipende dalla volontà di alcuno.

Nel secondo caso, quello delle morti embrionarie “procurate” dalla fecondazione artificiale, si accetta e si causa direttamente tale conseguenza, che non può quindi rientrare nel criterio morale del duplice effetto, secondo cui nel perseguire un fine buono – adoperando mezzi buoni o indifferenti – produco anche una conseguenza negativa che si pone come effetto secondario, previsto ma non voluto, dell’atto buono medesimo. Nella fecondazione artificiale, invece, la morte degli embrioni è insita nella pratica stessa, scelta paradossalmente al fine di generare embrioni.

 

4. La dignità dell’embrione umano

Ma perché è così importante non perdere vite embrionarie? Se l’embrione fosse un semplice “ammasso di cellule”, un “ricciolo di materia”, come alcuni sostengono, non vi sarebbero problemi etici nel manipolarlo, e vi sarebbe addirittura il dovere di utilizzarlo se ciò potesse avere applicazioni terapeutiche. Tuttavia, la biologia ha dimostrato con chiarezza che dalla fecondazione inizia la vita di un nuovo organismo appartenente alla specie umana, attraverso fasi dello sviluppo chiamate zigote (una cellula), embrione (fino a otto settimane), feto (fino alla nascita), neonato, e così via. Dal momento che la vita del concepito è sempre umana, fin dal primo istante, essa merita la dignità che riconosciamo agli esseri umani, cioè la dignità personale.

Riconoscere una persona nell’embrione può non essere intuitivo, poiché mancano nell’embrione manifestazioni tipiche dell’uomo adulto come l’intelligenza, il linguaggio, la vita di relazione, la volontà. Mancano perché sono legate a condizioni psico-fisiche che l’embrione non ha, come non ha l’essere umano in altre circostanze della vita (fattori dell’età, coma, disabilità e ritardo mentale, stato d’incoscienza dovuto ad anestesia, a svenimento o al sonno), eppure non sono causate da tali condizioni psico-fisiche. La causa delle manifestazioni di intelligenza e di volontà dell’uomo è la natura sua propria, che è di ordine spirituale e si chiama appunto natura razionale o anima razionale.

Perché un essere umano possieda questa natura (o anima) è sufficiente che esista, cioè che sia biologicamente vivo, che sia animato. La sua vita umana, e dunque la sua natura razionale, sono le condizioni necessarie affinché quell’essere, che è già persona in virtù della sua individualità, manifesti, alle debite condizioni psico-fisiche, i tratti tipici della persona umana, come l’autocoscienza. È dunque ragionevole che quel principio immateriale che causa le manifestazioni personali sia già presente dal primo istante di vita dell’uomo, anche se lo stato del suo sviluppo corporeo non consente ancora (o non consente più) tali manifestazioni.

L’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede su Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione (1987) afferma che “certamente nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far riconoscere un’anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull’embrione umano forniscono un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?” (parte I, 1).

 

5. La legge 40 del 2004 e i referendum del giugno 2005

In Italia, il 19 febbraio 2004, è stata approvata in via definitiva la legge n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Scegliendo tale formula (PMA) la legge italiana afferma di mettersi al servizio dell’uomo per renderlo padre e madre nonostante la sterilità o l’infertilità. In realtà la prevalenza, quasi la prepotenza, dell’intervento tecnico sul ruolo delle persone coinvolte nella procreazione (i genitori e il concepito) rappresenta un grave limite intrinseco in molte delle procedure consentite dalla legge.

Per questo la legge 40, nonostante vari meriti, non può essere in alcun modo ritenuta una legge “cattolica”, né é del tutto conforme alla legge morale naturale. Ciò avrebbe richiesto la messa al bando di ogni forma di fecondazione sostitutiva dell’atto coniugale. Può ritenersi tuttavia una legge migliorativa rispetto alla precedente situazione di liceità della “provetta selvaggia” e un freno a molti abusi in questo campo.

Proprio i limiti imposti dalla normativa hanno scatenato le ire di quanti avrebbero voluto sostanzialmente la legittimazione del precedente stato di cose. I tentativi di modificare la legge in senso peggiorativo sono stati immediati, e sono culminati nei referendum parzialmente abrogativi del 12 e 13 giugno 2005.

La legge 40 è costruita attorno ad un principio fondamentale: i diritti del concepito, accanto a quelli degli altri soggetti coinvolti. Da questo scaturiscono alcuni divieti, come il divieto di crioconservazione degli embrioni, di ricerca che comporti il sacrifico di embrioni umani, di clonazione sia a fini riproduttivi che “terapeutici”, l’esclusione dalla procreazione medicalmente assistita dei single, delle mamme-nonne, dei defunti (riproduzione post mortem), il divieto di fecondazione artificiale eterologa, il limite massimo di tre embrioni producibili e trasferibili in un unico ciclo, il divieto di revoca all’impianto in utero dell’embrione già prodotto, il divieto di eseguire la diagnosi preimplantatoria allo scopo di eliminare gli embrioni eventualmente malati.

Tali limiti tutelano meglio che in passato la vita e la salute dell’embrione, e contemporaneamente sono attenti alla salute delle donne e all’equilibrio delle coppie. Al contrario, chi si batte per cambiare la legge persegue unicamente un’idea di “risultato”, di “successo”, più interessata ai benefici economici e di mercato della procreazione che al bene delle persone.


Per approfondire: Chiara Mantovani, La Procreazione Medicalmente Assistita: alcune considerazioni dopo l’approvazione della legge n. 40 del 19 febbraio 2004, in Cristianità, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 5-12 e 30; Jacques Testart, La vita in vendita, tr. it., Lindau, Torino 2004; Maria Luisa Di Pietro ed Elio Sgreccia, Procreazione assistita e fecondazione artificiale tra scienza, bioetica e diritto, La Scuola, Brescia 1999; Congregazione per la Dottrina della Fede, Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, 1987; Claudia Navarini, Procreazione assistita? Le sfide culturali: selezione umana o difesa della vita, Portalupi Editore, Casale Monferrato (Al) 2005.

Confronta inoltre la speciale sezione tematica su Fecondazione artificiale (procreazione assistita) del sito di Alleanza Cattolica – Cristianità.

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