
La compassione verso i fratelli è l’atto più autenticamente religioso: ci salveremo se ci ameremo gli uni gli altri, come Lui ci ama
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Leone XIV all’inizio dell’udienza del 28 maggio, «continuiamo a meditare su alcune parabole del Vangelo che sono un’occasione per cambiare prospettiva e aprirci alla speranza. La mancanza di speranza, a volte, è dovuta al fatto che ci fissiamo su un certo modo rigido e chiuso di vedere le cose, e le parabole ci aiutano a guardarle da un altro punto di vista».
La parabola che maggiormente si presta a riflettere sulle “angolature” del nostro sguardo è quella detta “del buon samaritano” (cfr Lc 10,25-37), in cui un dottore della Legge ebraica interroga Gesù su come si consegua la vita eterna. «Egli infatti interroga Gesù sul modo in cui si “eredita” la vita eterna, usando un’espressione che la intende come un diritto inequivocabile. Ma dietro questa domanda si nasconde forse proprio un bisogno di attenzione» che alberga nel cuore stesso del rabbi che pone la domanda.
Erediterà la vita eterna chi si accorgerà di aver amato più di quanto si sia chiesto, ossessivamente, «chi mi vuole bene». «La parabola che Gesù racconta ha, infatti, come scenario proprio una strada, ed è una strada difficile e impervia, come la vita», in cui può capitare, come al malcapitato della parabola, di sentirsi «assalito, bastonato, derubato e lasciato mezzo morto. È l’esperienza che capita quando le situazioni, le persone, a volte persino quelli di cui ci siamo fidati, ci tolgono tutto e ci lasciano in mezzo alla strada».
La vita è fatta di incontri: così come possiamo incappare nei “briganti”, allo stesso modo potremmo essere soccorsi da un “samaritano” che, di fronte alle nostre ferite, non si gira dall’altra parte. «Ci troviamo davanti all’altro, davanti alla sua fragilità e alla sua debolezza e possiamo decidere cosa fare: prendercene cura o fare finta di niente», come fanno il sacerdote e il levita della parabola, che nel discorso di Gesù rappresentano un tipo di religiosità solo formale. «Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani»: se manca questo, anche la pratica religiosa più scrupolosa può trasformarsi in qualcosa che va contro l’uomo. «Possiamo immaginare che, dopo essere rimasti a lungo a Gerusalemme, quel sacerdote e quel levita abbiano fretta di tornare a casa. È proprio la fretta, così presente nella nostra vita, che molte volte ci impedisce di provare compassione» perché si tratta di un atteggiamento ego-centrato, uno dei tanti frutti del peccato originale.
«Cari fratelli e sorelle, quando anche noi saremo capaci di interrompere il nostro viaggio e di avere compassione? Quando avremo capito che quell’uomo ferito lungo la strada rappresenta ognuno di noi. E allora la memoria di tutte le volte in cui Gesù si è fermato per prendersi cura di noi ci renderà più capaci di compassione» verso gli altri. «Chiediamo al Cuore di Cristo la grazia di avere sempre di più i suoi stessi sentimenti», aggiunge il Papa.
In questa udienza sentiamo quindi risuonare tutti quelli che erano stati i leitmotiv del Magistero di Papa Francesco, da Evangelii gaudium a Dilexit nos. In perfetta continuità anche il pensiero costante di Leone XIV per l’Ucraina. Provando compassione specialmente per le vittime più indifese del conflitto, «rinnovo con forza l’appello a fermare la guerra e a sostenere ogni iniziativa di dialogo e di pace. Chiedo a tutti di unirsi nella preghiera per la pace in Ucraina e ovunque si soffre per la guerra».
«Dalla Striscia di Gaza si leva sempre più intenso al Cielo il pianto delle mamme e dei papà, che stringono a sé i corpi senza vita dei bambini, e che sono continuamente costretti a spostarsi alla ricerca di un po’ di cibo e di un riparo più sicuro dai bombardamenti. Ai responsabili rinnovo il mio appello: cessate il fuoco, siano liberati tutti gli ostaggi, si rispetti integralmente il diritto umanitario» da entrambe le parti della barricata, dice ancora il Pontefice.
Giovedì, 29 maggio 2025