Domenico Airoma, Cristianità n. 426 (2024)
1. Le ragioni di un’attenzione. Breve riassunto delle «puntate» precedenti
L’inaugurazione dell’anno giudiziario, con i dati e i giudizi espressi, è, per la giustizia, quello che i risultati delle competizioni elettorali rappresentano per la politica. Le votazioni sono una sorta di indagine demoscopica sugli orientamenti e la mentalità dominanti; le relazioni di apertura degli anni giudiziari forniscono una radiografia aggiornata della domanda e della risposta di giustizia.
L’attenzione, in Alleanza Cattolica, è stata da sempre rivolta in modo specifico alla giustizia penale, dal momento che essa ha funzionato da termometro della temperatura morale del corpo sociale.
Siamo partiti dalla «giustizia negata» (1) — fondata sulla constatazione dell’esistenza di una cospicua fetta di domanda di giustizia volutamente negletta per volontà di una risposta ideologicamente orientata verso la tutela di interessi collettivi —, e siamo passati attraverso la descrizione di una «giustizia a una svolta» (2), intuendo gli albori di una trasformazione radicale del senso stesso del rendere giustizia, del tutto avulso dalla domanda. Siamo giunti, quindi, a illustrare gli effetti di una vera e propria «Babele del diritto» (3), popolata da sistemi normativi multilivello, sempre più dominati da circuiti legislativi e corti sovranazionali, e da giudici non più utilizzatori di un termometro — quello penale — oggettivo, ma essi stessi trasformatisi in termometri, anzi in veri e propri «sensori sociali», autoproclamatisi interpreti e guide della transizione verso un nuovo umanesimo (4).
La scena dominante è quella del giudice legislatore, chiamato a svolgere la funzione, essenziale e quasi salvifica, di ri-coagulare attorno a un nuovo ordine sociale, dopo la dissoluzione di quello preesistente.
Il tutto in un quadro in cui il vero protagonista, il diritto, ha reciso i legami non solo con il reale, ma con la verità stessa, come acutamente illustrato da Mauro Ronco nel presentare, in occasione di un recente convegno sul conservatorismo, l’attualità della riflessione di Giambattista Vico (1668-1744) (5).
2. Le caratteristiche della domanda di giustizia. L’andamento della criminalità
Sono tre le principali caratteristiche dell’attuale domanda di giustizia:
a) vi è una domanda che rimane senza risposta e riguarda soprattutto la tutela della proprietà privata (furti, truffe) e dell’incolumità personale, nonostante siano proprio questi i reati che hanno registrato l’incremento maggiore (6) e che gli italiani temono maggiormente di subire (7);
b) vi è una domanda «che non c’è più», ovverosia esiste una fetta rilevante di condotte delle quali non viene più percepito il disvalore penale: si tratta, soprattutto, delle condotte di appropriazione delle erogazioni pubbliche per finalità diverse da quelle istituzionali e di strumentalizzazione del munus publicum, nonché delle condotte di cessione e vendita di sostanze stupefacenti ovvero di organizzazione del gioco d’azzardo, complice anche una marcata tendenza verso la legalizzazione, più o meno esplicita;
c) vi è una domanda che si rivolge altrove, verso forme di risposta non istituzionale: non solo verso la criminalità organizzata come luogo di risoluzione di controversie privatistiche o, quanto meno, di protezione (8), ma anche verso forme di mediazione affidata a soggetti sempre meno professionali, dove oramai la sanzione penale non viene più vista come la naturale risposta a un’offesa a un bene considerato essenziale per la tenuta del consorzio sociale (9).
La morfologia criminale del corpo sociale
Quanto alla morfologia criminale, vi è il dato geografico che descrive un Nord-Ovest significativamente interessato da un andamento in crescita del numero complessivo dei reati (circa 700.000 notizie di reato, a fronte di un numero pressoché simile in tutto il Sud, isole comprese).
Con riferimento alla qualità del panorama criminale, vi è poi un dato che appare di allarmante portata, ed è quello che riguarda la delinquenza minorile, che registra numeri in aumento in tutto il Paese. «In particolare, nell’ultimo biennio l’incremento è significativo: nel 2021 sono stati 30.405 (+15,7% rispetto al 2020) e 33.723 nel 2022 (+10,9% rispetto al 2021)» (10).
La criminalità organizzata di tipo mafioso
Un’analisi a parte merita la situazione della criminalità organizzata, di tipo mafioso.
Se leggiamo i numeri riportati nella Relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, dovremmo essere particolarmente lieti di constatare una generalizzata contrazione dei reati tipici delle consorterie di tipo mafioso, tranne l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, che resta il principale serbatoio delle organizzazioni mafiose, con l’affermarsi di canali di distribuzione e di vendita assai variegati, in grado di assecondare una domanda sempre più diffusa e variegata, sia per età che per provenienza sociale (11).
In realtà, non può essere il solo dato relativo agli omicidi, ai tentati omicidi o alle associazioni di tipo mafioso ad essere preso in considerazione. Dal momento che l’obiettivo del sodalizio mafioso non è solo accumulare profitti ma anche acquisire potere e controllo territoriale, è significativo esaminare anche un altro dato rappresentato dalle infiltrazioni del sistema mafioso nell’economia e nella pubblica amministrazione. Si tratta di dati che descrivono una penetrazione oramai generalizzata e diffusa su tutto il territorio nazionale e soprattutto nelle aree a maggiore vocazione imprenditoriale, segno evidente di una compiuta trasformazione della strategia mafiosa.
Come si legge nella Relazione del Ministero dell’Interno sul tema, «si può sicuramente affermare che lo scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni della criminalità organizzata interessa o ha interessato la quasi totalità delle regioni italiane, come è dimostrato dallo scioglimento nel 2022 di due comuni della provincia di Roma (Anzio e Nettuno), e nel 2020 del comune di Saint-Pierre, primo ente locale della regione Valle D’Aosta ad essere sciolto […]. Inoltre, precedenti commissariamenti hanno riguardato altre regioni dell’Italia settentrionale quali il Piemonte con i comuni, tutti in provincia di Torino, di Bardonecchia, Leinì e Rivarolo Canavese; la Lombardia con il comune di Sedriano, in provincia di Milano; la Liguria con il comune di Lavagna in provincia di Genova, e l’Emilia-Romagna, con il comune di Brescello, in provincia di Reggio Emilia» (12).
Di seguito si riporta la distribuzione geografica delle misure interdittive antimafia adottate nel corso del 2022 (13).
Interessanti sono anche i dati relativi alla distribuzione geografica dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose.
Si è passati da una logica di contrapposizione militare allo Stato a una strategia di inabissamento fino a giungere a una condizione di tale compenetrazione con il tessuto economico, sociale e politico, da rendere difficile individuare il discrimine fra ambienti contaminati e non, e dove il consenso sociale va assumendo sempre più le connotazioni di una più o meno consapevole complicità o di tacito consenso (14).
D’altronde, è la stessa strutturazione come holding della più importante consorteria mafiosa, la ‘ndrangheta, a far sì che i livelli operativi intermedi e di base non siano messi in condizione di avere piena consapevolezza della matrice mafiosa della capo-gruppo: sicché l’accettazione del rischio delle illiceità del contesto sociale è oramai dato acquisito.
La sistemica compenetrazione della criminalità organizzata con la correlata azione di contrasto sempre più pervasiva determina nel corpo sociale anche fenomeni di rigetto verso gli interventi degli organi repressivi, percepiti — questi ultimi — come i responsabili di un rallentamento dell’azione amministrativa (specie negli enti interessati da provvedimento di scioglimento per infiltrazione mafiosa) ovvero dello stato di abbandono di beni e aziende un tempo gestite dalla criminalità organizzata con le connesse positive ricadute su occupazione e benessere economico della comunità di riferimento.
Di seguito viene riportata, dalla Relazione del ministro dell’Interno (15), una tabella riassuntiva della reazione della popolazione alla notizia dello scioglimento dell’ente per infiltrazione mafiosa.
Non aiuta lo sradicamento del consenso sociale alle organizzazioni di tipo mafioso anche la sorte dei beni loro confiscati a tali sodalizi, dal momento che sono ancora assai esigue le percentuali di destinazione dei beni acquisiti dallo Stato e gestiti dall’Agenzia Nazionale Beni Confiscati, la più grande agenzia immobiliare del Paese (come emerge dalla tabella di seguito riportata), e dall’assenza di trasparenza delle procedure di assegnazione gestite dai Comuni, come denunciato dal presidente dell’Agenzia Nazionale Anticorruzione: «Mi chiedo come sia possibile trovare a questi beni uno sbocco utile socialmente e redditizio economicamente se non sono nemmeno fatti conoscere dalle stesse amministrazioni, quasi se ne vergognassero o, peggio, volessero sottrarli a tali utilizzi? Come metterli a frutto e non lasciarli abbandonati o inutilizzati, assegnando così un’ulteriore vittoria alla malavita, un vero e proprio sfregio al desiderio di recupero da parte dei cittadini e di distribuzione sociale del loro valore? Spesso, sfidando l’impopolarità, Anac interviene a richiamare le istituzioni agli obblighi di trasparenza. Non possiamo accettare che il 64 per cento dei Comuni sia inadempiente» (16).
La cifra complessiva che emerge è quella di un consenso sociale che sta cambiando fisionomia. Mentre un tempo si acconsentiva all’egemonia mafiosa per paura o per convenienza, oggi il modello mafioso si è talmente confuso con tutto il contesto da non essere più percepito come distonico. L’istantanea del costume sociale dominante, soprattutto fra i più giovani, dice che lo stile mafioso viene oramai considerato al pari di altri modelli trasgressivi e, comunque, oggetto di fascinazione, se non di ammirazione, in quanto portatore di una precisa identità, percepita come vera poiché vissuta a costo della vita stessa (17).
Altro profilo di assoluto rilievo è quello relativo alla presenza, oramai radicata e diffusa su tutto il territorio nazionale, delle mafie straniere. Si tratta di consorterie che, oltre a occupare specifiche filiere criminali, tendono a governare interi quartieri, soprattutto al Centro-Nord, condizionando pesantemente le abitudini di vita dei residenti e generando una diffusa sensazione di insicurezza. Sempre più frequentemente, tali sodalizi, anche al Sud, stipulano accordi di cooperazione con le tradizionali mafie autoctone, cui prestano, in cambio, i propri servizi e il proprio know-how in determinati settori: emblematico è il caso della joint venture tra mafia cinese e ‘ndrangheta calabrese (18). Inoltre, essi tendono a mantenere rapporti con le organizzazioni che operano nei Paesi d’origine, favorendo l’interscambio criminale: «I sodalizi criminali stranieri costituiscono spesso l’avamposto di più articolate organizzazioni radicate nei territori di origine, quali l’Africa, l’est Europa, la Cina e anche il sud-America. […] Acquisiscono sempre maggiore importanza, per dimensioni e pericolosità, la tratta di esseri umani e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, condotte anche queste da annoverare tra i business più redditizi per le organizzazioni criminali straniere» (19).
Più in generale, merita di essere evidenziato il dato relativo alla delinquenza degli stranieri in Italia, in costante aumento, soprattutto in talune categorie di reati: «La popolazione straniera residente nel 2022 sul territorio nazionale […] rappresenta circa l’8,5% del totale. […] Analizzando i dati relativi all’azione di contrasto effettuata sul territorio nazionale dalle Forze di polizia, nel 2022 si rilevano 271.026 segnalazioni nei confronti di stranieri ritenuti responsabili di attività illecite, pari al 34,1% del totale delle persone denunciate ed arrestate; il dato risulta in lieve aumento, sia in valori assoluti che in termini di incidenza, rispetto a quello del 2021, allorquando le segnalazioni erano state 264.864, pari al 31,9% del totale. […] Significativo è risultato il coinvolgimento di stranieri in attività delittuose di natura predatoria. In particolare: Furti — le segnalazioni riferite agli stranieri denunciati e/o arrestati nel 2022 (41.462) rappresentano, per tale fattispecie, il 45,48% del totale. […] Rapine — Le segnalazioni riferite a stranieri denunciati e/o arrestati nel 2022 (9.256) rappresentano, per tale delitto, il 47,31% del totale» (20).
3. La risposta di giustizia
Tre sono le principali caratteristiche della risposta di giustizia.
Essa è, in primo luogo, sempre più selettiva. Come affermato dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2024, l’obbligatorietà non è più avvertita come regola ma come principio, da bilanciarsi con altri princìpi, ritenuti prevalenti (21).
In secondo luogo, è chiamata a essere produttiva e predittiva.
La logica del risultato ha preso il posto della finalità di accertamento delle responsabilità e dell’applicazione della sanzione penale, anche e soprattutto come difesa sociale.
La logica della rendicontazione non può tollerare perdite di tempo con una generalizzata persecuzione di tutte le condotte penalmente rilevanti. E neppure il giudizio può protrarsi oltre un certo tempo, pena la improcedibilità della domanda di giustizia, come stabilito dalla recente «riforma Cartabia».
La selezione della priorità avverrà, dunque, sulla base degli orientamenti e della sensibilità personale del Procuratore della Repubblica, con l’apporto, sempre più consistente, dell’analisi predittiva, che sostituisce alla geografia reale ed attuale del crimine quella elaborata sulla base della pregressa osservazione: «Il problema è […] quello di recepire, fino in fondo, i precetti dell’organizzazione efficiente nel processo fin dalla fase dell’indagine, e di affiancare alle tradizionali “ideologie del processo penale” anche (soprattutto?) quella della sua massima efficienza; di pensare l’indagine attraverso una prospettiva in grado di contemperare la frammentazione dell’investigazione con la completezza futura del giudicato, proiettando in tal modo l’azione penale ben oltre il suo esercizio. Occorre, in altri termini, un reale “uso predittivo dell’azione penale”, nel quale è centrale la prospettiva dell’esito processuale che, a sua volta, non necessariamente coincide con la pena carceraria. Per realizzare tutto questo, non esistono ricette rapide, né soluzioni estemporanee, né la proclamazione di vuoti slogan: occorre, piuttosto, mantenere la fiducia nell’istituzione, senza mai calare l’attenzione e senza disperdere la pazienza della crescita culturale e tecnica» (22).
In terzo luogo, la risposta di giustizia tende ad essere sempre più conformista. La risposta penale evita di colpire quelle condotte, pur ancora penalmente sanzionate, per le quali il rischio di contrapposizione con gli orientamenti ideologici dominanti è elevato. È il campo dei cosiddetti «nuovi diritti», dove è più evidente la trasformazione della giurisdizione, anche quella penale (che dovrebbe essere, più di ogni altra, ancorata al dato normativo), da potere diffuso a diffusione di poteri, vale a dire a una giurisdizione che si lascia condizionare da altri poteri.
Emblematico è il report svolto dallo stesso Procuratore Generale con riferimento ai diversi orientamenti tenuti dalle procure in tema di riconoscimento del rapporto di filiazione in capo a coppie omosessuali: «La questione, in tutta evidenza, ha forti connotazioni culturali, religiose e ideologiche e costituisce, per questo, ragione di forte scontro politico. In detto contesto è ancora più importante e delicata l’attività degli uffici giudiziari, in primo luogo delle Procure italiane. Diviene, perciò, ancora più essenziale un’opera di coordinamento e individuazione di indirizzi comuni, non solo al fine di attuare in modo uniforme la legislazione nazionale e sovranazionale tenendo conto degli arresti della Corte costituzionale, della Corte di cassazione e delle Corti europee, ma anche onde evitare eccessive sovraesposizioni di singoli uffici di Procura (si pensi al caso recente che ha interessato la Procura della Repubblica di Padova, su cui ci si soffermerà di seguito).
«Per queste ragioni, è stata svolta un’istruttoria coinvolgendo tutte le Procure generali distrettuali e le Procure della Repubblica, onde ottenere informazioni sulle iniziative e prassi dei singoli uffici in materia di riconoscimento di figli di coppie omoaffettive. Sono da poco pervenute le risposte dei vari uffici. Da esse emerge anzitutto il dato concernente la dislocazione del contenzioso sul territorio nazionale: vi sono distretti in cui non sono stati registrati casi e iniziative (in particolare, Caltanissetta, Messina, Reggio Calabria e Potenza), risultando il contenzioso concentrato in alcuni uffici e distretti (in particolare, Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto). Soprattutto in quest’ultimo distretto si è registrato il maggior numero di casi. Padova è l’ufficio capofila, con 34 ricorsi proposti dalla Procura della Repubblica diretti a ottenere la cancellazione dell’indicazione della madre non biologica negli atti di nascita di bambini nati in Italia da coppie omoaffettive femminili mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita eseguite all’estero.
«Nell’ambito di tali ricorsi (oggetto di notevole clamore mediatico) la Procura di Padova ha provveduto a depositare una articolata memoria con cui si sollecita un nuovo intervento della Corte costituzionale, rappresentando la situazione di disparità di trattamento tra situazioni analoghe, posto che, se il riconoscimento della bigenitorialità piena di coppie omoaffettive è ammessa allorquando si tratti di trascrivere in Italia atti di nascita formati all’estero, sempre a condizione che non sia stata utilizzata la pratica della maternità surrogata, tale riconoscimento non è previsto allorché la nascita si verifichi in Italia in quanto persistente è il divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita da parte di coppie omosessuali» (23).
4. Qualche conclusione con prospettive operative
La domanda e la risposta di giustizia sembrano oramai correre su due linee parallele, destinate a non incontrarsi.
La giustizia, quella dei tribunali, sembra davvero essere altrove. E tale smarrimento sembra essere plasticamente rappresentato dalle aule vuote dei palazzi di giustizia, sostituite dalle udienze a distanza, che hanno fatto venir meno anche il rapporto umano.
Se risposta e domanda talora si incontrano, lo è solo perché chi gestisce la risposta sceglie pure a quale domanda rispondere: è emblematico quello che è avvenuto nel caso delle auto-denunce presentate da Marco Cappato. Il resto della domanda di giustizia sembra abbandonata a sé stessa, ostinato retaggio di un reale che si vuole tacitare. Ma ciò non toglie che quella domanda esiste ed è insopprimibile.
In tutto questo, c’è un terzo incomodo ed è il legislatore.
Il suo intervento è visto sempre con fastidio e sospetto, e ciò a prescindere dal colore politico. È finita la stagione del collateralismo ideologico, come è stato illustrato nel convegno del Centro Studi Rosario Livatino, dal titolo significativo: In vece del popolo italiano (24).
Oggi è il giudice che tende a ergersi a legislatore, superando il dato normativo attraverso un’interpretazione che si fa creativa. L’esistenza di una siffatta tendenza ha ricevuto autorevole conferma nella Relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione e dallo stesso Presidente della Repubblica: «L’interpretazione non può giungere oltre il punto che determina il travalicamento o lo stravolgimento della lettera della disposizione. Il significato che il giudice è abilitato a trarre dal testo della disposizione può anche essere meno prossimo di altri alla lettera, ma deve essere compreso nell’orizzonte di senso dell’enunciato linguistico. […]
«Come ha ricordato il Presidente della Repubblica nell’intervento in occasione della cerimonia di inaugurazione, il 15 maggio scorso, della sede della Scuola superiore della magistratura a Castel Capuano, “si deve avere ben chiara la distinzione della doverosa interpretazione e applicazione delle norme rispetto alla pretesa di poterne creare per soddisfare esigenze che non possono trovare riscontro nell’ambito della funzione giurisdizionale, secondo quanto è previsto nel nostro ordinamento costituzionale”. Le sentenze dei giudici sono pronunciate in nome del popolo italiano — ha proseguito il Capo dello Stato — “non perché i magistrati siano chiamati a rispondere di fronte ad esso delle decisioni assunte ma perché la giustizia va resa soltanto in base alla legge e al diritto, nazionale, europeo e sovranazionale, risultato delle espressioni di sovranità popolare tramite l’esercizio della funzione legislativa”» (25).
Da ultimo, anche il presidente della Corte costituzionale ha censurato la tendenza dei giudici di merito ad andare ben al di là dell’interpretazione costituzionalmente orientata, attribuendosi essi il potere di un sindacato di costituzionalità delle norme ordinarie e, di fatto, sostituendosi al legislatore: «[…] è possibile riscontrare la formazione di orientamenti di giurisprudenza, più o meno episodici, che, attraverso una attività interpretativa orientata direttamente ai valori costituzionali(o ritenuti tali), finiscono per risolversi in una più o meno grave disapplicazione di disposizioni legislative, persino da parte di giurisdizioni superiori. […] Naturalmente, non intendo negare il ruolo fondamentale che il giudice comune può e deve esercitare, ma piuttosto ricondurlo ai limiti della suasfera di competenza, allontanando quegli “eccessi valoriali” da cui talvolta non pochi di essi si sentono pervasi» (26).
L’intervento del legislatore statale, invece, può essere l’unico in grado, per un verso, di rimettere al centro la domanda reale di giustizia, e, per altro verso, di contenere sia quegli «eccessi valoriali», sia l’esondazione dei legislatori sovranazionali, sempre più invadenti anche in campo penale.
Vi è, poi, il versante della magistratura, dove è in atto una profonda mutazione, non solo di genere (le donne sono la netta maggioranza), ma di età e di mentalità. Se un tempo l’etica pubblica — in assenza di una morale e di un costume condivisi — era appaltata ai magistrati e, fra questi, soprattutto, ai pubblici ministeri, com’è stato osservato nell’acuta relazione del Procuratore Generale Gianfranco Ciani (27), dopo la «vicenda Palamara», i magistrati hanno dilapidato tale capitale di affidabilità — più o meno ben riposta — e sono diventati parte del problema, non la soluzione di esso.
L’effetto è una sfiducia generalizzata, fuori e dentro la stessa magistratura. Una sfiducia che può essere superata, nei tempi lunghi, investendo sulla formazione deontologica oltre che professionale del magistrato, e non solo, dal momento che, come ebbe a dire il beato Rosario Livatino (1952-1990), «la giustizia non è affare di pochi magistrati» (28).
Di qui il ruolo provvidenziale in questo momento storico della beatificazione del magistrato agrigentino, avvenuta il 9 maggio 2021, e della sua auspicata elezione a santo patrono dei magistrati. Essa è felice occasione per andare alla radice del rendere giustizia, da rinvenirsi nel fecondo ed insostituibile rapporto fra il diritto e la morale radicata nella Verità.
Come ha osservato Mauro Ronco nel volume dedicato a Rosario Livatino: «Il distacco del diritto dalla morale ha avuto effetti incalcolabilmente pregiudizievoli per la vita sociale. La vera prevenzione del delitto si attua al livello della formazione eticamente orientata degli individui al perseguimento del bene comune» (29).
Domenico Airoma
Note:
1) Cfr. Alfredo Mantovano, La giustizia negata. L’esplosione della criminalità fra crisi dei valori ed emergenza istituzionale, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1992.
2) Cfr. Idem, Giustizia a una svolta. Verso il ricupero o verso il tramonto della legalità?, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1993.
3) Cfr. Domenico Airoma, Dai «Tribunali di Babele» alla Babele del diritto, in Cristianità, anno XLIII, n. 377, luglio-settembre 2015, pp. 33-40.
4) «Dagli anni settanta ad oggi, la magistratura è divenuta un soggetto agente di riforme in campo civile e politico, intervenendo in “una pluralità di situazioni prive di copertura normativa e/o di stallo decisionale, nelle quali il potere giudiziario è chiamato in un modo o nell’altro a intervenire”» (Costanza Agnella, Una ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati,in Questione Giustizia, n. 4, Roma 2023, pp. 7-34 [p. 32]. Il testo virgolettato si riferisce ad Alessandro Pizzorno (1924-2019), Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù, Laterza, Roma-Bari 1998, p. 7).
5) Cfr. Mauro Ronco, Giambattista Vico e la verità del diritto, relazione al convegno Conservatori del futuro, tenutosi a Napoli il 21 ottobre 2023, nel sito web <https://conservatorismolab.alleanzacattolica.org/giambattista-vico-e-la-verita-del-diritto> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati l’8-5-2024).
6) «Rispetto al 2021 l’aumento dei reati nel 2022 ha riguardato, in particolare, i furti (+17,3%), le estorsioni (+14,4%), le rapine (+14,2%), le violenze sessuali (+10,9%), la ricettazione (+7,4%), i danneggiamenti (+2,9%) e le lesioni dolose (+1,4%)» (Ministero dell’Interno-Eurispes, La criminalità: tra realtà e percezione, 5-5-2023, nel sito web <https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2023-05/la_criminalita-_tra_realta_e_percezione.pdf>, p. 11).
7) «I due reati rispetto ai quali si concentrano la maggior parte delle paure sono il furto in abitazione (58,3%) e il furto di dati personali su Internet (55,1%). Al terzo posto troviamo la truffa (46,2%), seguita da scippo/borseggio (45%), furto di auto/motorino/moto (42%), rapina (40%) e lesione (35,9%). Chiudono la classifica la violenza sessuale, di cui teme di poter essere vittima circa un intervistato su quattro (25,6%), i maltrattamenti contro familiari e conviventi (22,2%) e l’estorsione/usura (15,6%)» (ibid., p. 39).
8) «Oltre alla richiesta del tradizionale “pizzo”, tuttavia, emergono modus operandi alternativi in base ai quali le organizzazioni criminali tenderebbero a prediligere forme più subdole e meno evidenti di imposizione estorsiva: alle consegne di denaro, ad esempio, si sostituirebbero le assunzioni o le forniture di prodotti e servizi che, per gli operatori economici vessati, risulterebbero maggiormente graditi poiché “costo d’impresa, ben tollerato, o addirittura richiesto, in cambio di protezione”» (Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, Roma luglio-dicembre 2022, nel sito web <https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/wp-content/uploads/2023/09/DIA_secondo_semestre_2022Rpdf.pdf>, p. 64. Il testo virgolettato si riferisce all’intervento del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, Lia Sava, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2023).
9) I dati relativi ai procedimenti civili iscritti e definiti nei tribunali sono in netto calo dal 2019 al 2023, a dimostrazione del fatto che «cittadini e imprese stanno rinunciando ai tribunali come strumento di soluzione delle dispute» (Francesco Contini, Tribunali civili, meno cause definite, in Il Sole-24 Ore, 8-2-2024).
10) Ministero dell’Interno-Eurispes, La criminalità: tra realtà e percezione, cit., p. 16.
11) Cfr. l’immagine che segue,tratta dalla Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, cit., p. 395.
12) Relazione del Ministero dell’Interno sull’attività delle Commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, anno 2022, nel sito web <https://dait.interno.gov.it/documenti/attivita_commissioni_gestione_straordinaria_relazione_del_ministro_anno_2022.pdf>.
13) Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, cit., p. 406.
14) «La nozione di infiltrazione mafiosa nell’economia è fuorviante, in quanto non dà conto che è in atto una sorta di processo di immedesimazione delle strutture di gestione di parte non secondaria dei circuiti economici e di quelle che gestiscono invece le fasi più sofisticate dei cicli prettamente criminali. […] Siamo, quindi, in presenza di connotazioni strutturali dell’organizzazione sociale ed economica di parte significativa del territorio nazionale, concernente la straordinaria forza silenziosa dell’espansione delle reti d’impresa progressivamente attratte nel controllo mafioso» (Luigi Salvato, Intervento sull’amministrazione della giustizianell’anno 2023, 25-1-2024, nel sito web <https://www.procuracassazione.it/resources/cms/documents/Intervento_del_Procuratore_generale_sullamministrazione_della_giustizia_nellanno_2023.pdf>, pp. 298-299).
15) Cfr. Relazione del ministro dell’Interno sull’attività delle Commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, cit, p. 95.
16) Giuseppe Busia (intervista a cura di Tatiana Giannone), Beni confiscati alle mafie, sulla trasparenza «serve cambiare passo», in Lavialibera, n. 17, Torino 25-11-2022.
17) Emblematico è il testo di una canzone, Narcos, del noto trapper napoletano Geolier, idolo di molti giovani, non solo partenopei:
«Chesta sera bevo troppo mentre penso a dimane/’Int ‘o cassetto tengo ‘a Glock, affianco ‘o conto bancario/Me ne vaco assaje luntano, addò nun piglia ‘o 3G/ […] Trappo comme ‘a Genny mentre accide ‘a nu cristiano/Ogni piezzo mio è ‘na hit, già da Napule a Milano».
[Questa sera mi ubriaco mentre penso al domani/Nel cassetto tengo la pistola, accanto il conto in banca/Me ne vado molto lontano, dove il telefono non può essere intercettato/[…] Sono trappo come Genny (Savastano, di Gomorra) mentre uccide un uomo./Ogni mia canzone è già una hit da Napoli a Milano].
18) «Le compagini etniche risultano talvolta alleate nella realizzazione di specifici affari illeciti, ponendo attenzione ad evitare contrapposizioni e perseguendo, invece, equilibri basati sulla ripartizione territoriale o di settori criminali d’interesse. Tale tendenza potrebbe presagire una metamorfosi dei rapporti di forza tra mafie nazionali e straniere, sempre più orientate a forme di coesistenza funzionale, andando oltre alla mera convivenza. Molteplici attività investigative documentano la costituzione di alleanze strategiche e opportunistiche tra consorterie di diversa matrice, anche etnica, con gli esponenti di riferimento della criminalità organizzata autoctona, che inducono a ipotizzare nuove tendenze evolutive nel prossimo futuro» (Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, cit., p. 383).
19) Ibid., p. 284.
20)Ministero dell’Interno-Eurispes, La criminalità: tra realtà e percezione, cit., pp. 13-14.
21) «La variabile oggi mutata è — essenzialmente e soprattutto — la trasformazione dell’obbligatorietà dell’azione penale da regola a principio, con il conseguente superamento della storica modalità del suo esercizio attraverso la richiesta di giudizio e della sua “sublimazione” attraverso l’irrogazione di una pena carceraria. Siamo testimoni infatti, troppe volte distratti, di una modificazione, forse senza precedenti, di questo “schema interpretativo” del pubblico ministero, oggi rinnovato al punto da non essere più “concordante” con la sua tradizione culturale e storica, per alcuni aspetti addirittura secolare. Quest’ultima si esprimeva in un percorso rigidamente segnato da precisi e inalterabili caposaldi: l’obbligatorietà dell’azione penale come regola assoluta e senza temperamenti; l’esercizio dell’azione attraverso la richiesta di giudizio, con pochi e non stretti limiti del quando e del quomodo della cadenza dell’indagine; quindi, il suo utile esito coincidente solo con la condanna alla pena carceraria.
«Tale archetipo è oggi completamente modificato in ciascuno di questi passaggi. Viviamo una fase di “riadattamento” assai complessa e difficile, anche considerando che la sua maturazione (tecnica, culturale, professionale, sociale) è il vero problema, il profilo più delicato: per i diretti protagonisti (gli stessi pubblici ministeri), ma anche per gli altri attori del processo (gli avvocati), per i suoi comprimari (le vittime), soprattutto per gli osservatori esterni al processo (i cittadini non direttamente coinvolti).
«L’obbligatorietà quale regola assoluta, attraverso la previsione della normazione dei criteri di priorità, è stata trasformata in principio […]: principio che, seppur di rango costituzionale, concepisce oggi forme di bilanciamento, interventi sulla sua attuazione e, soprattutto, sulla sua gestione che non riguardano più soltanto il singolo magistrato inquirente in quanto tale» (L. Salvato, rel. cit., pp. 28-29).
22) Ibid., p. 31.
23) Ibid., pp. 250-251.
24)Cfr. A. Mantovano (a cura di), In vece del popolo italiano. Percorsi per affrontare la crisi della magistratura, Cantagalli, Siena 2020.
25) Margherita Cassano, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2023, 25-1-2024, nel sito web <https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/Relazione_Cassazione_2024.pdf>, pp. 21-22.
26) Relazione del Presidente della Corte costituzionale, professor Augusto Barbera, in occasione della riunione straordinaria della Corte costituzionale, del 18-3-2024, nel sito web <https://www.cortecostituzionale.it/default.do>, pp. 6-7.
27) «Se, insomma, il giudice penale diviene metronomo assoluto dei comportamenti esigibili sul piano etico dai consociati e se l’apparato sanzionatorio penale diviene l’unica tabella di valori per i comportamenti pubblici, allora i riflettori accesi dalla collettività sulla giustizia penale sono accecanti […]. In breve: non solo la rilevanza dei comportamenti antisociali è affidata alla giustizia penale, ma l’intero collante sociale, rappresentato dal senso civico comune, è appaltato alla giurisdizione penale. La stessa consapevolezza che i cittadini dovrebbero avere della particolare antisocialità di taluni comportamenti è affidata ad una pronuncia del giudice penale ed esclusivamente a questa. Si tratta di un sentire sociale mediato dalla giustizia penale, secondo modalità praticamente sconosciute, in questi termini, nelle democrazie occidentali avanzate» (Intervento del Procuratore Generale della Corte Suprema di Cassazione nell’Assemblea generale della Corte sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2014, 23-1-2015, nel sito web <https://www.procuracassazione.it/resources/cms/documents/AG_2014_intervento_CIANI_20150123.pdf>, p. 13).
28) Rosario Livatino, «Il ruolo del giudice nella società che cambia», nel sito web <https://www.csm.it/documents/21768/4480727/rotary+1984-converted.pdf/8ccb75d6-c34e-af64-be5b-c1e8cec293a3>.
29) M. Ronco, A. Mantovano e D. Airoma (a cura di), Un giudice come Dio comanda. Rosario Livatino, la toga e il martirio, Il Timone, Novara 2021, p. 114