Gesù cerca il radicamento profondo nelle anime, non le emozioni subitanee e superficiali. E’ un’indicazione importante per la nuova evangelizzazione
di Michele Brambilla
Anche l’udienza dell’8 ottobre è dedicata da Leone XIV alla Pasqua di Gesù. In particolare «oggi vorrei invitarvi a riflettere su un aspetto sorprendente della Risurrezione di Cristo: la sua umiltà. Se ripensiamo», infatti, «ai racconti evangelici, ci accorgiamo che il Signore risorto non fa nulla di spettacolare per imporsi alla fede dei suoi discepoli. Non si presenta circondato da schiere di angeli, non compie gesti clamorosi, non pronuncia discorsi solenni per svelare i segreti dell’universo», tanto che sulle prime rischia di essere scambiato per un giardiniere (Gv 20,15) e i discepoli di Emmaus lo credono un banale viandante, per di più ignaro di quel che era accaduto a Gerusalemme in quei fatidici giorni (Lc 24,18).
Per il Papa «in questo c’è un messaggio prezioso: la Risurrezione non è un colpo di scena teatrale, è una trasformazione silenziosa che riempie di senso ogni gesto umano», come prova il fatto che «Gesù risorto mangia una porzione di pesce davanti ai suoi discepoli: non è un dettaglio marginale, è la conferma che il nostro corpo, la nostra storia, le nostre relazioni non sono un involucro da gettare via. Sono destinate alla pienezza della vita. Risorgere non significa diventare spiriti evanescenti, ma entrare in una comunione più profonda con Dio e con i fratelli, in un’umanità trasfigurata dall’amore», precisa il Pontefice.
Allora «nella Pasqua di Cristo, tutto può diventare grazia. Anche le cose più ordinarie: mangiare, lavorare, aspettare, curare la casa, sostenere un amico. La Risurrezione non sottrae la vita al tempo e alla fatica, ma ne cambia il senso e il “sapore”», perché uno dei più grandi errori della nostra epoca è «la pretesa che la gioia debba essere priva di ferite. I discepoli di Emmaus camminano tristi perché speravano in un altro finale, in un Messia che non conoscesse la croce. Nonostante abbiano sentito dire che il sepolcro è vuoto, non riescono a sorridere. Ma Gesù si mette accanto a loro e con pazienza li aiuta a comprendere che il dolore non è la smentita della promessa, ma la strada attraverso cui Dio ha manifestato la misura del suo amore (cfr Lc 24,13-27)».
Quando Gesù spezza di nuovo il pane a tavola gli occhi dei due discepoli si aprono istantaneamente: il cuore ardeva già durante la conversazione lungo la strada, ma solo ora comprendono «che sotto la cenere del disincanto e della stanchezza c’è sempre una brace viva, che attende solo di essere ravvivata», come accade a tanti nostri contemporanei, che riscoprono Cristo dopo anni di lontananza e inquietudine grazie ad un incontro decisivo con il Signore e la sua Chiesa.
«Fratelli e sorelle, la risurrezione di Cristo ci insegna che non c’è storia tanto segnata dalla delusione o dal peccato da non poter essere visitata dalla speranza. Nessuna caduta è definitiva, nessuna notte è eterna, nessuna ferita è destinata a rimanere aperta per sempre»: spetta a tutti noi cattolici «testimoniare la speranza sulle tante frontiere del mondo moderno, sapendo individuare con audacia missionaria strade nuove di evangelizzazione e di promozione umana».
Rivolgendosi ai fedeli della Croazia e della Bosnia Erzegovina, ma indirettamente a tutti i battezzati, il Papa dice proprio che «come pellegrini di speranza siete arrivati a Roma per confermare la vostra fede sulle tombe degli Apostoli. Fieri della vostra storia e radicati nella fedeltà alla Chiesa e al Successore di Pietro, portate avanti il tesoro ricevuto. Esso si manifesta nella vicinanza e nell’amore reciproco, umile e perseverante, senza aspettare in cambio i riconoscimenti. Il Signore Gesù, che trasforma la nostra vita con piccoli segni di amore e bussa alle porte dei nostri cuori, vi chiama pazientemente a rispondergli in ogni momento. Siate dunque testimoni di Cristo Risorto e fermento di speranza nella società in cui siete radicati».
Giovedì, 9 ottobre 2025
