Giovanni Cantoni, Cristianità n. 59 (1980)
Dopo il XIV Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana
La «lezione italiana» contro il «compromesso storico» continua!
L’unico «fatto» significativo del recente congresso nazionale democristiano è stato l’avere ufficialmente sancito la caduta di ogni pregiudiziale ideologica verso il PCI. Alla luce di questo «fatto» sarebbe illusorio pensare a una contrapposizione, all’interno della Democrazia Cristiana, tra filocomunisti e anticomunisti. Il dissidio tra i due schieramenti emersi al congresso è puramente tattico, ossia riguarda soltanto le modalità e i tempi della collaborazione con i comunisti, che per entrambi gli schieramenti rimane la méta a cui tendere. Contemporaneamente aumenta il distacco tra Democrazia Cristiana e mondo cattolico, che guarda con diffidenza e sente come sempre più estranee le alchimie e le volutamente incomprensibili manovre e formule politiche partorite dalla setta democristiana. Aumentano, quindi, le speranze nella «ricomposizione» dell’area cattolica, purché avvenga secondo i suggerimenti dati dal regnante Pontefice, nel gennaio dello scorso anno, al consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, e cioè in ossequio al «Magistero autentico della Chiesa».
Se qualcuno si aspettava svolte straordinarie dal XIV Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana svoltosi a Roma dal 15 al 20 febbraio 1980, è certo rimasto sostanzialmente deluso. Né sorte migliore è toccata a chi ha atteso eventi nuovi e decisivi dalla prima riunione del consiglio nazionale uscito dal congresso, convocato per il 5 marzo e che ha proceduto alla nomina del presidente del partito nella persona dell’on. Arnaldo Forlani e del segretario in quella dell’on. Flaminio Piccoli.
Da entrambi gli accadimenti è stata confermata a chiare lettere la natura settaria del gruppo dirigente democristiano, cioè dei suoi «capi storici», nonché di parte non trascurabile, anzi rilevante e quindi caratterizzante, del suo apparato: segno inequivocabile e macroscopico di tale natura settaria è stato costituito dalla votazione «a scrutinio segreto», che ha «restituito» al consiglio nazionale il titolo alla elezione del segretario del partito, facendola così, ancora più esplicitamente, oggetto privilegiato di contrattazione correntizia.
Nelle stesse sedi è stata ufficialmente sancita la caduta di ogni pregiudiziale ideologica nei confronti del Partito Comunista Italiano, così che il succo della contrapposizione tra i due schieramenti che si sono affrontati prima in congresso e poi in consiglio nazionale è puramente tattico, dal momento che si gioca attorno a un modesto «tuttora» del cosiddetto preambolo Donat Cattin, il quale, «pur rilevando l’evoluzione fin qui compiuta dal PCI constata che le contrastanti posizioni tuttora esistenti […] non consentono alla DC corresponsabilità di gestione con quello stesso partito» (1).
Questo, e niente di più, quanto la Democrazia Cristiana, nelle sue massime espressioni organizzative e nelle persone dei suoi maggiori e più qualificati esponenti, ha saputo dire di fronte alla crisi del paese e alla situazione internazionale.
Ergo, il quadro politico nazionale si riporta automaticamente alle condizioni immediatamente seguenti il 3 giugno 1979, con le varianti, di incerta rilevanza, costituite dalla consultazione elettorale all’orizzonte – prevista per la prossima primavera e che interesserà più di 42 milioni di elettori -, e dalla «assuefazione» della opinione pubblica italiana, se non mondiale, al dopo-Tito, attraverso la lunghissima agonia del capo dello Stato jugoslavo, una agonia che non credo impietoso definire «al rallentatore» e forse tale da permettere la «assuefazione» di cui parlavo.
Quindi, a breve o a medio termine, ci si può aspettare con discreta verisimiglianza una riedizione, «in occulto» e «in incognito», del centro-sinistra, con o senza copertura liberale e socialdemocratica, con o senza presidenza del Consiglio socialista. Insomma, un centro-sinistra sostenuto da democristiani, socialisti e repubblicani, al quale, dopo la tornata elettorale regionale gestita e condotta in chiave «anticomunista», possano fare seguito nuovi «equilibri più avanzati» propiziati da un giro di valzer dell’on. Piccoli e dei suoi, che, nella Democrazia Cristiana e fuori, rimetta in sella i filocomunisti e li riporti nelle condizioni utili allo sfruttamento al meglio di una legislatura da qualche punto di vista «ultima».
Infatti, per la classe politica che infierisce sul corpo sociale della nostra nazione, i giochi da fare sono, ormai, estremamente ridotti. La sconfitta della «via italiana al socialismo» appare sempre più come storica, ed è scarsamente verisimile una rimonta, nel breve periodo, dell’applicazione anche al caso italiano della «via cilena».
Vale chiedersi in che cosa la manovra, pure ampiamente collaudata ed eseguita a regola d’arte, ha fallito.
Si può sinteticamente dire che l’itinerario dalla egemonia sulla società civile alla conquista dello Stato, specificato in itinerario dal potere al governo – possibilmente al governo con tutti i partiti («governo di emergenza», «governo di solidarietà nazionale»), ma sostanzialmente al governo di coalizione con democristiani e socialisti («compromesso storico» in senso proprio e stretto) -, se sul piano sociale ha prodotto lo sfaldamento di brandelli del corpo sociale stesso, corrotto prima che dominato, e di cui sono esempio gli «indiani metropolitani» e il fenomeno radicale, sul piano politico ha rivelato un fatto di estremo interesse.
Come è noto, il Partito Comunista Italiano si è sempre servito dei transfughi dal mondo non comunista, ma non ne ha mai favorito l’autonomo porsi nel confronto elettorale. Nessun «partitino» di sinistra cattolica tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista stesso, ma azione vessillare, di richiamo, dei transfughi o come «indipendenti» nelle liste comuniste, o come militanti nelle file comuniste; oppure, lavoro di talpa nelle file cattoliche, da preparare al trasbordo, all’incontro con il mondo comunista.
In conformità con questa seconda ipotesi, la lunga marcia della Democrazia Cristiana si è svolta e si è conclusa, ma, mentre il partito compiva la sua parabola «dal diritto naturale alla sociologia», dai «princìpi cattolici» ai «segni dei tempi», e si disponeva allo storico incontro e compromesso, nella stessa misura in cui si rivelava a tale incontro e compromesso sempre più atto e disposto, perdeva anche contatto con il mondo che a questo incontro e compromesso doveva guidare, cioè il mondo cattolico.
In altri termini, quando il partito democristiano è pronto per il «compromesso storico», la sua rappresentatività del mondo cattolico, del mondo che deve tradire, si incrina e si riduce a una corrispondenza fondata più sulla abitudine pluridecennale e autorevolmente avallata che sul consapevole consenso, e quindi esposta a essere messa in crisi con estrema facilità.
Questo è quanto è accaduto sotto i nostri occhi, così è successo in Italia. Il diapason della vicinanza tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista è stato toccato dopo la consultazione elettorale del 20 giugno 1976. Ma a quel punto è stato toccato anche – e sensibilmente – il distacco tra la Democrazia Cristiana e il mondo cattolico, gerarchia ecclesiastica compresa. Alla fondamentale querelle sugli istituti assistenziali ed educativi privati hanno fatto fronte, da un lato la corrispondenza tra mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, e l’on. Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista Italiano; e dall’altro, il proposito di rinnovamento della Democrazia Cristiana, enunciato in occasione del XIII Congresso Nazionale di questo partito, e la dichiarazione della fine del collateralismo tra la Democrazia Cristiana stessa e il mondo cattolico, affermata in occasione del convegno ecclesiale su Evangelizzazione e promozione umana, con la conseguente azione di ricomposizione dell’area cattolica, poi ufficializzata nella primavera del 1979.
Ma il triennio della «rifondazione», del «rinnovamento» della Democrazia Cristiana si è concluso con un sostanziale nulla di fatto con le elezioni del 3 giugno 1979 e con il congresso del 15-20 febbraio 1980; e si è concluso senza «ricomposizione» né all’interno dell’area cattolica, né tra il mondo cattolico e il partito democristiano, il cui isolamento si fa sempre maggiore (2). Al punto che l’ipotesi di una nuova prematura fine della legislatura prospetta solamente il possibile nuovo incremento dei piccoli partiti laici e delle schede bianche e nulle, nonché dell’astensionismo, cioè del dissenso politico passivo, del rifiuto.
Stando così le cose, mentre a breve termine incombe il suono lugubre delle dichiarazioni del nuovo segretario politico della Democrazia Cristiana, on. Flaminio Piccoli, secondo cui «le pregiudiziali verso il PCI sono cadute con la politica del confronto» (3), in prospettiva si aprono orizzonti di impegno civile anticomunista di particolare rilevanza. Tale impegno trova il suo tempo nel permanere della «tregua» – nonostante le dichiarazioni della sua fine -, fino a quando le forze della Rivoluzione non avranno messo a punto una nuova linea operativa alternativa o correttiva di quella oggettivamente fallita. Trova, inoltre, il suo modo nella realizzazione della «ricomposizione» dell’area cattolica nella linea di quanto suggerito dal regnante Pontefice, in occasione del suo primo incontro ufficiale con il consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, avvenuto il 23 gennaio 1979, e cioè nella linea dell’«ossequio, dovuto da tutti i fedeli, del Magistero autentico della Chiesa, anche a riguardo delle questioni connesse con la dottrina concernente la fede e i costumi» (4).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Il Popolo, 22-2-1980.
(2) Cfr., tra gli altri, GIOVANNI SPADOLINI, Quel cauto silenzio di là dal Tevere, in La Stampa, 27-2-1980.
(3) Il Popolo, 7-3-1980.
(4) GIOVANNI PAOLO II, Discorso al consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, del 23-1-1979, in L’Osservatore Romano, 24-1-1979. L’indicazione pontificia si differenzia radicalmente da un’altra interpretazione della «ricomposizione», e cioè quella che la legge come sforzo di ravvicinamento tra la Democrazia Cristiana e il mondo cattolico. Cfr., per es.empio, PIETRO SCOPPOLA, Chi ha vinto il congresso della DC? in Il Popolo, 24-2-1980.