Di Francesco Palmas da Avvenire del 22/08/2021
È stata una guerra lampo, vinta quasi senza combattere. In meno di tre mesi, i taleban hanno conquistato 32 province su 34 e in undici giorni hanno fatto capitolare i centri urbani più popolosi del Paese. Come può una guerriglia senza armi sofisticate, molto più svantaggiata di quella irachena, compiere una tale impresa? Perché un esercito di 350mila uomini, addestrato ed equipaggiato per vent’anni dall’Occidente, non ha retto l’urto di 90mila jihadisti, non tutti guerriglieri a tempo pieno? A che cosa sono serviti gli 89 miliardi di dollari spesi dal Pentagono e dal dipartimento di Stato per formare tutti quegli uomini? Il modello si era già mostrato fallimentare in Iraq e ora si rischia di replicarlo anche in Mali.
Ma che cosa non ha funzionato in Afghanistan? I motivi sono molteplici. Primo: le forze di sicurezza afghane avevano organici incompleti. Esistevano solo sulla carta, per permettere ai funzionari afghani corrotti di percepire illecitamente gli stipendi. Le truppe di Kabul non avevano peraltro valore militare. Le abbiamo formate all’occidentale, con strutture di comando ipercentralizzate, affidando la preparazione a società di sicurezza private, che ruotavano troppo spesso gli addestratori. Solo i 40mila commando, formati dalle forze speciali alleate, erano in grado di combattere e di vincere le battaglie. Dal 2014, il 70% delle operazioni belliche contro i taleban gravava sulle spalle di questi combattenti, che hanno retto finché è esistita un’aviazione a supporto. Quando gli americani hanno evacuato la base aerea di Bagram e quando sono partiti i 16mila contractor che tenevano in piedi gli apparecchi dell’aeronautica afghana, il 70% degli elicotteri e degli aerei da attacco è rimasto a terra. Per i commando è stata la fine. Hanno dovuto combattere missioni suicide, spesso in inferiorità numerica, senza artiglierie aeree né rifornimenti. È stato l’ennesimo tradimento degli americani.
I bombardieri strategici che tentavano un soccorso disperato dalla base di al-Udeid, in Qatar, ci mettevano tre ore per arrivare sul posto. Troppo tardi. L’avanzata taleban si è fatta allora incontenibile. Ma sarebbe stata inconcepibile senza il finanziamento del Qatar e senza la longa manus dell’Inter service intelligence pachistano, il servizio segreto militare di Islamabad. Dall’accordo di Doha in poi, gli 007 pachistani hanno preparato il ritorno al potere dei taleban e del mondo pashtun transfrontraliero, per garantirsi maggiore profondità strategica a nord e lenire l’inferiorità convenzionale nei confronti dell’India. Racconta Gianandrea Gaiani su Analisidifesa che il Pakistan avrebbe fornito «ai taleban ampia copertura d’intelligence, con numerosi agenti infiltrati nei comandi militari afghani e nei governi provinciali, avendo l’obiettivo di indurre i reparti a cedere le armi o a non opporre resistenza».
Altre fonti confermano che i servizi d’informazione pachistani hanno partecipato a tutte le fasi dell’avanzata taleban, con nuclei che hanno operato come consiglieri. Gli agenti erano sotto copertura da almeno tre mesi. I distaccamenti operativi erano composti da nuclei formati da un maggiore, da un ufficiale subalterno e da un sottufficiale, tutti con ottime conoscenze della lingua pashtun. Sembra che gli agenti si siano infiltrati dai passi del Chitral. Dire consiglieri non spiega però l’intera faccenda. I pachistani non si sono limitati ad assistere, ma hanno partecipato attivamente alle azioni e all’addestramento dei taleban, suggerendo loro le tattiche. Così supportati, gli attacchi dei taleban hanno potuto svilupparsi su più fronti contemporaneamente «aumentando la percezione presso le truppe governative di una indiscussa superiorità del nemico». L’ipoteca pachistana sul governo afghano è ora assoluta. Amplia i margini di manovra di Islamabad nei confronti di Cina e Russia e assesta un colpo durissimo alle agenzie di intelligence occidentali e alla Cia americana, cogliendole completamente di sorpresa. Se vogliamo, l’operazione ordita dall’Inter service intelligence è la vendetta per il raid delle forze speciali americane che, nel 2011, violò la sovranità pachistana per eliminare Osama Benladen. Uno smacco che i servizi segreti di Islamabad non hanno mai digerito. Nel mondo delle spie il prestigio conta. Dopo i sovietici negli anni ’80, gli 007 pachistani hanno annichilito anche quel che rimaneva del lascito americano in Afghanistan. Un’altra lezione di questa sonante sconfitta dell’Occidente. Perché come ha ammesso amaramente ieri Angela Merkel davanti ai fedelissimi del suo partito, «questo esercito è crollato a un ritmo mozzafiato». In un «Afghanistan che non siamo riusciti a rendere libero» in vent’anni.
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