La domenica ci rende sempre più cristiani, dice Papa Leone XIV, perché è la “memoria incandescente” dello stesso Cristo, fondamento della nostra fede. Allo stesso modo, la devozione mariana ci conduce a contemplare lo stesso Signore: ad Iesum per Mariam. Il Pontefice ribadisce che il nostro credere ha una dimensione pubblica indiscutibile
di Michele Brambilla
Il 12 ottobre Papa Leone XIV celebra Messa per il Giubileo della spiritualità mariana, dedicato a tutti i gruppi di fedeli che hanno come carisma la coltivazione della devozione alla Madonna come via di santificazione.
Nell’omelia il Papa la prende un po’ “alla lontana”, mettendo a fuoco anzitutto la domenica come giorno del Signore a partire dalle parole di san Paolo: «“Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide” (2Tm 2,8)». In quelle parole c’è infatti tutta la fede dei primi cristiani nella divinità e nella messianicità di Cristo, nonché l’imperativo di dare a Lui la centralità massima nella nostra vita. La devozione a Maria, dice il Pontefice, è un po’ come la domenica: entrambi rimandano a Cristo. «La spiritualità mariana, che nutre la nostra fede, ha Gesù come centro. Come la domenica, che apre ogni nuova settimana nell’orizzonte della sua Risurrezione dai morti», dice infatti Leone XIV, per il quale «Gesù è la fedeltà di Dio, la fedeltà di Dio a sé stesso. Bisogna dunque che la domenica ci renda cristiani, riempia cioè della memoria incandescente di Gesù il sentire e il pensare, modificando il nostro vivere insieme, il nostro abitare la terra. Ogni spiritualità cristiana si sviluppa da questo fuoco e contribuisce a renderlo più vivo».
La prima lettura della liturgia del giorno, con l’esempio di Naaman il Siro, un re straniero che si fidò del Dio d’Israele (2Re 5,14-17), è in effetti un richiamo per la nostra fede personale, che spesso dimentica che il fondamento della nostra esistenza è proprio il Signore. Altrettanto spesso è la superbia ad impedirci di essere riconoscenti verso Dio, ma «da questo pericolo ci libera Gesù, Lui che non porta armature, ma nasce e muore nudo; Lui che offre il suo dono senza costringere i lebbrosi guariti a riconoscerlo: soltanto un samaritano, nel Vangelo, sembra rendersi conto di essere stato salvato (cfr Lc 17,11-19). Forse, meno titoli si possono vantare, più è chiaro che l’amore è gratuito», commenta il Papa.
In Maria troviamo la massima semplicità e la più grande apertura al Mistero che si compie in lei. Proprio vero, quindi, che «l’affetto per Maria di Nazaret ci rende con lei discepoli di Gesù, ci educa a tornare a Lui, a meditare e collegare i fatti della vita nei quali il Risorto ancora ci visita e ci chiama. La spiritualità mariana ci immerge nella storia su cui il cielo si è aperto, ci aiuta a vedere i superbi dispersi nei pensieri del loro cuore, i potenti rovesciati dai troni, i ricchi rimandati a mani vuote. Ci impegna a ricolmare di beni gli affamati, a innalzare gli umili, a ricordarci la misericordia di Dio e a confidare nella potenza del suo braccio (cfr Lc 1,51-54). Il suo Regno, infatti, viene coinvolgendoci, proprio come a Maria ha chiesto il “sì”, pronunciato una volta e poi rinnovato di giorno in giorno». Non a caso il Papa ha voluto presente in piazza S. Pietro fin dalla veglia dell’11 ottobre sera (quella convocata per pregare per la pace) la statua pellegrina della Madonna di Fatima: quello della Cova da Iria è un messaggio impegnativo, che coinvolge fortemente la dimensione pubblica della fede e indica un orizzonte di senso anche politico. Leone XIV critica le «forme di culto che non ci legano agli altri e ci anestetizzano il cuore. Allora non viviamo veri incontri con coloro che Dio pone sul nostro cammino; non partecipiamo, come ha fatto Maria, al cambiamento del mondo».
Che il mondo abbia la necessità di cambiare in meglio è sotto gli occhi di tutti. Il Papa sottolinea nell’Angelus che «l’accordo sull’inizio del processo di pace ha regalato una scintilla di speranza in Terra Santa. Incoraggio le parti coinvolte a proseguire con coraggio il percorso tracciato, verso una pace giusta, duratura e rispettosa delle legittime aspirazioni del popolo israeliano e del popolo palestinese», superando ogni tentennamento in questa direzione. «Due anni di conflitto hanno lasciato ovunque morte e macerie, soprattutto nel cuore di chi ha perso brutalmente i figli, i genitori, gli amici, ogni cosa. Con tutta la Chiesa sono vicino al vostro immenso dolore. Oggi soprattutto a voi è rivolta la carezza del Signore, la certezza che, anche nel buio più nero, Egli resta sempre con noi: “Dilexi te – Ti ho amato”. A Dio, unica Pace dell’umanità, chiediamo di guarire tutte le ferite e di aiutare con la sua grazia a compiere ciò che umanamente ora sembra impossibile: riscoprire che l’altro non è un nemico, ma un fratello a cui guardare, perdonare, offrire la speranza della riconciliazione», dice il Santo Padre citando la sua recente esortazione apostolica, pubblicata il 9 ottobre.
Il Papa non dimentica l’altra grave guerra su cui si appunta l’attenzione mediatica: a fronte di un miglioramento, si spera duraturo, della situazione in Terra Santa, dall’Europa orientale sopraggiungono «le notizie dei nuovi, violenti attacchi che hanno colpito diverse città e infrastrutture civili in Ucraina, provocando la morte di persone innocenti, tra cui bambini, e lasciando moltissime famiglie senza elettricità e riscaldamento. Il mio cuore si unisce alla sofferenza della popolazione, che da anni vive nell’angoscia e nella privazione. Rinnovo l’appello a mettere fine alla violenza, a fermare la distruzione, ad aprirsi al dialogo e alla pace».
Un pensiero anche «al caro popolo peruviano in questo momento di transizione politica. Prego affinché il Perù possa continuare nella via della riconciliazione, del dialogo e dell’unità nazionale».
Lunedì, 13 ottobre 2025
