di Aleksandr Isaevič Solženicyn[1]
1.Più di mezzo secolo fa, quando ero ancora bambino, ricordo persone anziane che spiegavano così i grandi sconvolgimenti che avevano colpito la Russia: «La gente ha dimenticato Dio, ecco perché è successo tutto questo».
Da allora ho dedicato allo studio della nostra Rivoluzione quasi cinquant’anni, ho letto centinaia di libri, ho raccolto centinaia di testimonianze personali e ho completato la stesura di otto volumi, il mio personale contributo per sgomberare le macerie causate da quel cataclisma. Eppure, se oggi mi si chiedesse di definire nel modo più succinto possibile le cause di quella funesta rivoluzione che ha sterminato circa 60 milioni di persone nel nostro Paese, non riuscirei a trovare la formula più esatta di quella: «La gente ha dimenticato Dio, ecco perché è successo tutto questo».
Va anche detto, tuttavia, che gli eventi della rivoluzione russa possono essere pienamente compresi solo ora, alla fine di questo nostro secolo, sullo sfondo di quanto è successo da allora nel resto del mondo. Perché ciò che qui è emerso è un processo di portata universale. E se mi si chiedesse di identificare in poche battute il tratto principale dell’intero secolo XX, di nuovo non sarei in grado di trovare una frase più concisa e puntuale di quella: «La gente ha dimenticato Dio».
La fragilità della coscienza umana privata della sua dimensione divina è stata un fattore determinante in tutti i più grandi crimini di questo secolo. Il primo di questi delitti è stato la Prima guerra mondiale, cui si possono far risalire molti aspetti dell’attuale crisi. È stata una guerra – e ne stiamo peraltro perdendo memoria – in cui un’Europa prospera e in salute cadde vittima di una follia autolesionistica. La sola spiegazione possibile per quella guerra fu l’eclisse mentale che riuscì a ottenebrare i governanti europei, avendo questi smarrito la consapevolezza di un Potere a loro superiore: solo l’odio che nasce dall’assenza di Dio poteva spingere Stati all’apparenza cristiani a utilizzare gas asfissianti, un’arma così palesemente oltre il limite dell’umano.
Lo stesso tipo di carenza – l’incrinarsi di una coscienza che ha del tutto perduto la sua dimensione divina – si è manifestata dopo la Seconda guerra mondiale, quando l’Occidente cedette alla tentazione satanica del «fungo nucleare». Era come dire: liberiamoci delle preoccupazioni, emancipiamo i nostri giovani da ogni dovere o obbligo, non facciamo sforzi per difenderci, né tantomeno per difendere gli altri, tappiamoci le orecchie per non sentire i gemiti che provengono dall’Est, e viviamo piuttosto inseguendo solo il benessere. Se poi un pericolo dovesse minacciarci, sarà la bomba nucleare a proteggerci; e se no, che il mondo bruci all’inferno, per quel che ce ne importa. La penosa impotenza dell’odierno Occidente è in gran parte dovuta a quel fatale errore: credere che per difendere la pace non servano cuori forti e uomini moralmente risoluti, ma basti l’arma nucleare.
2.Bisognava davvero che andasse smarrita la componente divina della nostra coscienza per far sì che l’Occidente, dopo la Prima guerra mondiale, rimanesse indifferente al lungo strazio della Russia dilaniata da una banda di cannibali e, dopo la Seconda guerra mondiale, allo smembramento di tutto l’Est europeo. Nessuno aveva capito che si era agli inizi di un processo che, nel corso dei secoli, condurrà alla fine del nostro mondo, anzi l’Occidente ha assecondato questo processo in vari modi. Nel corso di questo secolo l’Occidente è riuscito a radunare le proprie forze solo una volta: contro [Adolf] Hitler [1889-1945]. Ma i frutti di quel momento si sono perduti da tempo. In questo nostro secolo ateo abbiamo trovato l’anestetico che aiuta a trattare con i cannibali: il commercio. Con i cannibali si stabiliscono rapporti commerciali. Il monte dell’odierna saggezza è davvero di dimensioni patetiche.
Il mondo di oggi ha raggiunto uno stadio che – se lo si fosse rappresentato alle generazioni dei secoli precedenti – avrebbe suscitato il grido: «Questa è l’Apocalisse!». Eppure noi ci siamo assuefatti a questo mondo, e ci sentiamo di casa.
[Fëdor Michajlovič] Dostoevskij [1821-1881] ammoniva: «Potrebbero verificarsi fatti terribili ai quali potremo non essere intellettualmente preparati». È esattamente ciò che è accaduto. Poi ha anche profetizzato: «il mondo sarà salvato solo dopo che sarà posseduto dal demone del male». Ma sarà veramente salvato? Resta da vedere. Dipenderà dalla nostra coscienza, dalla nostra lucidità spirituale, dai nostri sforzi – individuali e collettivi – per far fronte a una situazione catastrofica. Ma una parte della profezia si è già avverata: il demone del male, come un turbine, scorrazza trionfante in tutti e cinque i continenti della terra.
Stiamo assistendo alla distruzione del mondo, talvolta alla sua volontaria autodistruzione. L’intero secolo XX è risucchiato nel vortice dell’ateismo e della disintegrazione morale. In questa caduta nell’abisso ci sono aspetti indubbiamente globali, che non dipendono né da sistemi politici, né da livelli economici e culturali, né da caratteristiche nazionali. L’odierna Europa, così differente a prima vista dalla Russia del 1913, si trova di fronte allo stesso baratro, anche se vi è giunta per vie diverse. Ogni parte del mondo ha seguito la propria via, ma oggi si avvicinano tutte alla soglia di un’unica fine, la stessa per tutti.
3.Nella sua storia, la Russia ha conosciuto un tempo nel quale l’ideale sociale non era la fama, una ricchezza o il successo materiale, ma la santità nel vivere. Allora la Russia era imbevuta di un cristianesimo rimasto fedele alla Chiesa dei primi secoli. Quell’antico cristianesimo seppe mantenere in vita il suo popolo sotto un giogo straniero per quasi due secoli mentre allo stesso tempo respingeva i fendenti iniqui dei crociati d’Occidente[2]. In quei secoli, la fede ortodossa permeava i pensieri e i caratteri, dava un’impronta decisiva alla condotta della gente, alla struttura della famiglia, alla vita quotidiana, definiva il calendario del lavoro e delle cose da fare durante la settimana e durante l’anno. La fede era la forza che univa la nazione e la sosteneva.
Nel secolo XVII, la Chiesa ortodossa russa fu indebolita da una malaugurata scissione interna. Nel successivo, la Russia fu scossa dalle riforme imposte dallo zar Pietro I [1672-1725] che soffocarono lo spirito religioso e la spontaneità della vita nazionale sacrificandoli all’economia, allo Stato e alla guerra. Con l’«illuminismo» sbilenco di Pietro, la Russia cominciò a respirare i primi miasmi di laicismo. Il suo sottile veleno avrebbe permeato gli ambienti colti nell’Ottocento e aperto la strada al marxismo. Alla vigilia della Rivoluzione una buona parte dell’intelligencija aveva perduto la fede, incrinatasi anche fra la gente semplice.
Ancora una volta, fu Dostoevskij a cogliere la lezione fornitagli dalla Rivoluzione francese, con il suo odio fervente contro la Chiesa: «La Rivoluzione comincia necessariamente con l’ateismo». Ed è assolutamente vero. Ma il mondo non aveva mai conosciuto prima un ateismo così organizzato, militarizzato e tenacemente malevolo come quello attuato dal marxismo. Nel sistema filosofico di Marx [Karl, 1818-1883] e Lenin [pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov, 1870-1924] – così come nell’intimo della loro psicologia – l’odio contro Dio è la principale forza motrice, più importante di qualunque rivendicazione politica o sociale. Nelle politiche comuniste, l’ateismo militante non è un dettaglio secondario o marginale, non è un effetto collaterale ma il suo perno centrale. Per raggiungere i suoi diabolici obiettivi, il comunismo ha bisogno di esercitare un controllo assoluto su popolazioni senza religioni e senza nazionalità. Religioni e nazionalità vanno dunque distrutte, e i comunisti lo dichiarano apertamente. La natura delle loro intenzioni si può anche evincere dalla rete di intrighi emersi di recente dietro i tentativi di attentare alla vita del Papa[3].
Negli anni 1920, in Unione Sovietica, si è assistito a un’interminabile processione di vittime fra i membri del clero ortodosso. Due metropoliti furono fucilati. Uno dei due, Veniamin di Pietrogrado [1873-1922], era stato scelto alla guida della diocesi con un voto popolare; lo stesso patriarca Tikhon [1865-1925] venne arrestato dalla Čeka-GPU e morì in circostanze sospette[4]. Decine di vescovi e arcivescovi furono giustiziati. Decine di migliaia di preti, monache, furono oppressi dai čekisti perché abiurassero la propria fede, e furono quindi torturati, uccisi nei sottoscala o mandati nei campi di lavoro, esiliati nella desolata tundra dell’estremo Nord o buttati in mezzo a una strada, nonostante l’età avanzata, senza né cibo né riparo. Tutti questi martiri cristiani hanno accettato di morire coraggiosamente per la propria fede; solo in pochi hanno apostatato. A decine di milioni di credenti laici fu sbarrato l’accesso ai luoghi di culto e fu proibito di educare i figli nella fede: i genitori religiosi venivano separati dai figli e gettati in carcere, e questi venivano condotti all’ateismo tramite menzogne e minacce. È lecito affermare che anche l’irragionevole distruzione dell’economia agricola del Paese negli anni 1930 – la cosiddetta «de-kulakizzazione e colletivizzazione» che causò la morte di 15 milioni di contadini senza avere alcuna sensata finalità economica – fu realizzata con tanta crudeltà soprattutto perché si voleva estirpare dalle campagne la religione e distruggere costumi e tradizioni nazionali. La stessa politica di perversione spirituale ha operato all’interno dell’Arcipelago GULag, lungo l’intero corso della sua brutale esistenza. Lì si incoraggiavano gli uomini a sopravvivere a costo di far morire altre persone. E solo uomini senza Dio e privi di senno potevano decidersi ad attuare la più estrema delle brutalità – stavolta contro la stessa terra russa – in corso d’opera in Unione Sovietica al giorno d’oggi: l’inondazione artificiale del nord della Russia e l’inversione in quelle regioni del corso naturale dei fiumi che sconvolgerà l’equilibrio naturale dell’Oceano Artico. Tutto questo per mandare l’acqua verso il Sud, già duramente colpito dalle precedenti e avventate «grandi opere del comunismo».
Per un breve periodo, Stalin [pseudonimo di Iosif Vissarionovič Džugašvili, 1878-1953], servendogli le forze per fronteggiare Hitler [Adolf, 1889-1945], assunse cinicamente un atteggiamento benevolo nei confronti della Chiesa. Questo gioco, costruito sull’inganno, continuò sotto Brežnev [Leonid Il´ič, 1906-1982] con l’ausilio di studiate operazioni di propaganda e di facciata che l’Occidente interpretò come sincere. Eppure quanto l’odio per la religione sia radicato nel comunismo si evince dall’operato di Chruščëv (Nikita Sergeevič, 1894-1971), il più liberale dei suoi leader: egli ebbe il coraggio di intraprendere alcuni passi nella direzione di una maggiore libertà, ma contemporaneamente riattizzò l’ossessione leninista di distruggere la religione.
4.È accaduto tuttavia qualcosa che nessuno di loro si aspettava: in una terra dove le chiese sono state rase al suolo, dove l’ateismo trionfa e infierisce senza ritegno da oltre sessant’anni, dove il clero è del tutto umiliato e privato di ogni potere decisionale, dove ciò che rimane della Chiesa è tollerato per scopi di propaganda verso l’Occidente, dove a tutt’oggi si viene mandati nei campi di lavoro solo perché credenti e dove, all’interno di quei campi, vengono rinchiusi in celle di rigore coloro che osano riunirsi in preghiera il giorno di Pasqua, ebbene non si poteva immaginare che, nonostante un tale rullo compressore, la tradizione cristiana sarebbe sopravvissuta. È vero: nel nostro Paese ci sono milioni di persone che sono state corrotte e spiritualmente devastate da un ateismo imposto dallo Stato, ma ci sono ancora molti milioni di credenti: è solo la pressione esterna che li costringe al silenzio ma, come sempre accade nelle tribolazioni e nel dolore, la consapevolezza della presenza di Dio ha raggiunto nella mia patria una particolare profondità e chiarezza.
Qui vediamo l’alba della speranza: per quanti missili il comunismo riuscirà a drizzare e per quanti carri armati disseminerà in tutto il pianeta, il comunismo non riuscirà mai a sconfiggere
il cristianesimo.
5.L’Occidente non ha ancora sperimentato un’invasione comunista; la religione qui è libera. Ma per l’evoluzione storica che ha subito, l’Occidente vive oggi un inaridimento della coscienza religiosa. Anche qui ci sono state drammatiche scissioni, sanguinose guerre di religione e rancori; per non parlare della forte ondata di secolarismo che, dal tardo Medio Evo in poi, ha progressivamente sommerso l’Occidente. Forse questo graduale inaridimento della forza interiore potrebbe rivelarsi per la fede una minaccia ben più pericolosa di qualsiasi attacco le giunga dall’esterno.
Impercettibilmente, a seguito di questa graduale erosione, l’Occidente non trova più il senso della vita in qualcosa che sia più nobile ed elevato del mero «perseguimento della felicità», un obiettivo che alcune costituzioni garantiscono solennemente[5]. I concetti di Bene e di Male sono irrisi da secoli, banditi dal senso comune, e sono stati rimpiazzati da riflessioni politiche o di classe dal valore effimero. Appellarsi a valori eterni è ritenuta fonte d’imbarazzo, come pure ammettere che il male si annida nei cuori dei singoli prima che in un sistema politico. Al contempo non ci si vergogna di fare concessioni quotidiane a una manifestazione del male assoluto. Frana dopo frana, sotto gli occhi della nostra sola generazione, l’Occidente sembra ineluttabilmente destinato a scivolare nell’abisso. Crescendo sconsideratamente le giovani generazioni nell’ateismo, le società occidentali stanno perdendo sempre più la propria essenza religiosa. Se negli Stati Uniti, che sono a quanto si dice fra i Paesi più religiosi al mondo, un film blasfemo su Gesù è tranquillamente proiettato ovunque, e un quotidiano di grande tiratura pubblica un’oltraggiosa caricatura della Vergine Maria, quale altra prova di empietà diffusa ci serve ancora? Quando le pretese verso gli altri divengono diritti senza restrizioni, perché ci si dovrebbe trattenere spontaneamente dal compiere gli atti più ignobili?
Oppure: perché bisognerebbe astenersi dall’odio ardente, a qualunque tipologia esso appartenga (razziale, di classe o ideologico)? Di fatto tale forma di odio corrode oggi molti cuori. In Occidente, docenti atei inculcano nelle giovani generazioni uno spirito di risentimento per la società in cui vivono. E, mentre inveiscono, dimenticano che i difetti del capitalismo hanno a che fare con quelli connaturati nella persona umana, ai quali è concessa, insieme agli altri diritti umani, anche una libertà illimitata; ci si dimentica che, sotto il comunismo – che tiene il fiato sul collo su ogni forma di socialismo moderato, per sua natura instabile – questi stessi difetti si manifestano sfrenatamente in chiunque abbia un minimo di autorità. Quanto agli altri, il sistema effettivamente realizza l’«uguaglianza»: quella degli schiavi indigenti.
L’incitamento instancabile all’odio sta diventando il segno distintivo del mondo libero di oggi. Più sono ampie le libertà individuali, più alto è il raggiunto grado di benessere, più veemente si manifesta quest’odio cieco. Sicché è lo stesso Occidente, così altamente sviluppato, a dimostrare che l’umana salvezza non risiede né nell’abbondanza dei beni materiali, né nel mero far soldi. L’odio deliberatamente nutrito si estende a tutto ciò che è vivente, alla vita stessa, al mondo con i suoi suoni, colori e forme, e al corpo umano. L’arte incattivita del secolo XX sta morendo avvelenata da questo odio, perché l’arte senza l’amore è sterile. Nell’Est l’arte è decaduta perché è stata buttata al tappeto e calpestata. In Occidente, invece, il declino si è tradotto in una ricerca artefatta e pretenziosa, dove l’artista non cerca più di scoprire il disegno di Dio, ma anzi a Dio vuole sostituirsi.
Ancora una volta assistiamo all’unico esito di un processo che avviene al livello mondiale. A Est e a Ovest i risultati sono gli stessi, perché la causa è la stessa: gli uomini hanno dimenticato Dio.
6.Dinanzi al furioso assalto a livello mondiale dell’ateismo, i credenti sono divisi e, spesso, smarriti. Il mondo cristiano – o post-cristiano – farebbe bene a non perdere di vista l’esempio dell’Estremo Oriente. Di recente ho avuto l’opportunità di osservare come, nella Cina libera[6] e in Giappone, malgrado le loro concezioni religiose siano all’apparenza meno chiaramente definite, e nonostante esista la stessa «libertà di scelta» che vige in Occidente, la loro gioventù e le loro società preservano un livello superiore di sensibilità morale, essendo state meno colpite dallo spirito demolitore del laicismo.
Ma a che serve parlare delle divisioni delle altre religioni se lo stesso cristianesimo è così diviso al suo interno? Negli ultimi anni le principali Chiese cristiane hanno compiuto passi di riconciliazione. Ma sono passi troppi lenti: il mondo va verso la perdizione a una velocità cento volte maggiore. Quel che occorre – e occorre rapidamente – non è una fusione o una revisione delle rispettive dottrine, ma è un fronte comune contro l’ateismo. Anche i passi compiuti fin qui in vista di tale traguardo sono stati troppo lenti.
Esiste, in effetti, un movimento organizzato che punta alla riunificazione delle Chiese, ma è un quadro che presenta delle stranezze. Il World Council of Churches sembra più interessato al successo dei movimenti rivoluzionari nel Terzo mondo; nel contempo rimane cieco e sordo dinanzi alle persecuzioni dei credenti là dove queste vengono messe in atto più sistematicamente, cioè in Unione Sovietica. Sono fatti sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo forse concludere che il non vedere e il non intervenire siano l’esito di una valutazione di opportunità? Ma se così fosse, che cosa resta del cristianesimo? Con profondo rammarico, dirò qui qualcosa che non posso passare sotto silenzio. Chi, l’anno scorso, è stato insignito di questo stesso premio ha fornito un pubblico supporto alle menzogne comuniste dichiarando che non aveva notato persecuzioni religiose di alcun tipo in Unione Sovietica. Per questa beffa ai danni di tutti coloro che sono morti e che sono tuttora oppressi, sarà Dio a giudicarlo[7].
Ma se osserviamo quanto avviene nel mondo, vediamo che, per quanto astute siano le manovre politiche, il cappio attorno al collo dell’umanità si va stringendo più stretto e in modo più disperato ogni decennio che passa. E non c’è nessuna via d’uscita, né nucleare, né politica, né ecologica, per nessuno e da nessuna parte. Sì, mi sembra proprio che sia così.
7.Dinanzi agli eventi globali che incombono su di noi come montagne, anzi come intere catene montuose – può sembrare incongruo e addirittura sconveniente ricordare che la chiave del nostro essere o non-essere risiede nel cuore di ogni singola persona, nella preferenza del cuore per il bene o per il male concreto. Ciò rimane vero anche oggi, ed è la chiave più affidabile tra quelle a nostra disposizione. Le teorie sociali, con le loro grandi promesse, sono fallite lasciandoci in un vicolo cieco. Gli uomini liberi d’Occidente avrebbero dovuto rendersi conto di essere assediati da menzogne alimentate in libertà e non lasciarsele imporre troppo facilmente. Ogni tentativo di trovare una via d’uscita alla situazione del mondo attuale sarà infruttuoso senza un ritorno contrito della nostra coscienza al Creatore di ogni cosa, perché in quel caso nessuna via d’uscita verrà lumeggiata e noi la cercheremo invano, perché i mezzi di cui ci serviamo sono troppo miseri rispetto allo scopo. Dobbiamo prima imparare a riconoscere tutto l’orrore di quanto è stato commesso non da qualcuno all’esterno, non da nemici di classe o della nazione, ma dentro ognuno di noi e all’interno di ciascuna società. Anche – anzi soprattutto – in quella libera e altamente sviluppata, perché qui tutto ciò che capita dipende dal nostro libero arbitrio. Siamo noi stessi, con il nostro spensierato egoismo, a stringere quel cappio.
Chiediamoci se gli ideali del nostro secolo non siano falsi, se non sia altrettanto malsano il lessico frivolo e modaiolo che offre un rimedio superficiale a ogni difficoltà. Ognuna di queste – di qualunque ambito si tratti – andrebbe soggetta a un esame accurato, perché la soluzione della crisi non si troverà battendo i sentieri del pensiero convenzionale.
Il senso della vita non consiste nel perseguimento del successo materiale, ma nell’aspirazione a una degna ascesa spirituale. La nostra intera esistenza terrena non è che lo stato transitorio di un moto verso qualcosa di più alto, e non dobbiamo né inciampare né indugiare senza ragione su un gradino intermedio della scala. Le leggi materiali non spiegano da sole la vita, né le danno una direzione. Mai le leggi della fisica o della fisiologia riveleranno la certa partecipazione costante e quotidiana del Creatore alla vita di ciascuno di noi, con il Suo immancabile dono di energia vitale. Quando questa assistenza viene meno, noi moriamo. Con altrettanta partecipazione lo Spirito divino contribuisce alla vita sull’intero pianeta. Dobbiamo cercare di cogliere questa verità anche in questo momento di terribile buio.
Alle malriposte speranze degli ultimi due secoli, che ci hanno condotto all’insignificanza e sull’orlo della morte, atomica e non-atomica, noi possiamo contrapporre unicamente un’ostinata ricerca della calda mano di Dio. Una mano che abbiamo respinto con tanta leggerezza e presunzione. Solo in questo modo i nostri occhi coglieranno gli errori di questo sfortunato secolo XX e le nostre mani potranno adoperarsi per correggerli. Null’altro abbiamo cui afferrarci per non essere travolti dalla frana: l’intera eredità del pensiero illuminista non ci darà neanche un briciolo d’aiuto.
I nostri cinque continenti sono travolti dal turbine. Ma è in simili prove che si manifestano i doni più alti dello spirito umano. Se soccombiamo, perdendo questo mondo, la colpa sarà solo nostra.
[1] Discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Templeton il 10 maggio 1983 presso la Guildhall di Londra. Sono redazionali le note e la traduzione, che è stata compiuta sulla base del testo inglese pubblicato pressoché integralmente in John H. Timmermann e Donald R. Hettinga, In the World: Reading and Writing as a Christian, 2a ed., Baker Academic, Grand Rapids (Michigan) 2004, pp. 145-154, su quella italiana dal russo presente in A. Solženicyn, Ricostruire l’uomo. Scritti e interviste su Polonia, Russia e Occidente, trad. di Anna Vicini, La Casa di Matriona, Milano 1984, pp. 10-24, e sugli ampi stralci presenti in Idem, Idem, Il mio grido. Il prezzo della vigliaccheria è sempre e solo il male, trad. it. di Daniela Campanini, PianoB Edizioni, Prato 2015, pp. 67-78.
[2] Lo scrittore si riferisce ai secoli XIII e XIV, durante i quali la Russia subì la dominazione mongola. Il pungente riferimento alle inique spade occidentali è occasionato dall’increscioso saccheggio di Costantinopoli – basilica di Santa Sofia non esclusa – compiuto dai crociati nel 1204. Gli uomini d’arme «latini» avevano sì «abbracciato la croce» per liberare la Terra Santa, ma una serie di intrighi politico-finanziari cui non fu estraneo il doge veneziano Enrico Dandolo (1107-2005) ne aveva deviato l’iniziale e naturale destinazione. Al Patriarca Christodoulos (1939-2008), primate della Chiesa ortodossa di Grecia, il quale pretendeva le scuse per le violenze subite dal mondo ortodosso per mano dei cattolici nel secolo XIII, san Giovanni Paolo II (1978-2005) rispose così quando lo incontrò il 4 marzo 2001: «Per le occasioni passate e presenti, nelle quali figli e figlie della Chiesa hanno peccato con azioni o omissioni contro i loro fratelli e sorelle ortodossi, che il Signore ci conceda il perdono che imploriamo. […] Penso al saccheggio disastroso della città imperiale di Costantinopoli, che è stata per tanto tempo bastione del cristianesimo in Oriente. È tragico che i saccheggiatori che avevano stabilito di garantire ai cristiani libero accesso alla Terra Santa si siano poi rivoltati contro i propri fratelli nella fede. Il fatto che fossero cristiani latini riempie i cattolici di profondo rincrescimento». Il testo dell’intero discorso è reperibile all’indirizzo web https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/2001/may/documents/hf_jp-ii_spe_20010504_archbishop-athens.pdf.
[3] In piazza San Pietro a Roma, il 13 maggio 1981, il sicario turco Mehmet Ali Ağca colpì Papa san Giovanni Paolo II con due colpi di pistola. La più verosimile delle ricostruzioni – anche alla luce di documenti emersi nel 2005 dagli archivi della Stasi, la più articolata fra le strutture di spionaggio nella Repubblica Democratica Tedesca – identifica il mandante «remoto» nel KGB che avrebbe utilizzato i servizi segreti bulgari per assoldare Ağca a Sofia.
[4] La Čeka – acronimo di Črezvyčajnaja komissija, «Commissione straordinaria» – è stata la prima struttura sovietica di polizia segreta, messa in piedi dallo stesso Lenin nel 1917. Nel 1922 subì una riorganizzazione, dopo la quale fu chiamata GPU, acronimo, stavolta, di Gosudarstvennoe političeskoe upravlenie, cioè «Direttorato politico dello Stato».
[5] La formula «the pursuit of happiness» compare nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776. Secondo san Giovanni Paolo II, tuttavia, gli estensori della Dichiarazione non la utilizzavano nel senso restrittivo materialista che lo scrittore sembra attribuirgli: «[La] Dichiarazione d’Indipendenza […] contiene una solenne proclamazione della eguaglianza di tutti gli esseri umani, dotati dal loro Creatore di sicuri e inalienabili diritti: la vita, la libertà e la ricerca della felicità, che esprime una “ferma fiducia nella protezione della divina Provvidenza”. Questi sono i sani principi morali formulati dai vostri Padri Fondatori e serbati per sempre nella vostra storia. Nei valori umani e civili che sono contenuti nello spirito di questa Dichiarazione vi sono facilmente riconosciute forti connessioni con fondamentali valori religiosi e cristiani. Anche un sentimento religioso fa parte di questo retaggio. La Campana della Libertà, che io ho ammirato in altra occasione, riporta le parole della Bibbia: “Proclamerete la liberazione nel paese” (Lv 25,10). Questa tradizione lancia per tutte le future generazioni d’America una nobile sfida: “Una Nazione posta sotto la protezione di Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti”» (Giovanni Paolo II, Omelia durante la messa celebrata presso il «Logan Circle» di Philadelphia, del 3-10-1979).
[6] Lo scrittore si riferisce allo Stato di Taiwan – riconosciuto dallo Stato del Vaticano come «Repubblica di Cina» –, comprendente l’isola di Formosa e gli arcipelaghi Pescadores, Quemoy e Matsu a sud-est della Cina continentale, nota invece come «Repubblica popolare cinese» e soggetta tuttora a un regime comunista.
[7] Nel 1982 il premio Templeton andò a William Franklin «Billy» Graham (1918-2018), predicatore battista del Sud ed evangelicale, noto per le folle oceaniche che riuniva negli stadi e per le eccezionali doti di comunicatore. Nei primi anni 1980, Billy Graham si batteva per la de-nuclearizzazione degli Stati Uniti. Le autorità sovietiche, pensando di sfruttare a proprio vantaggio questa sua inclinazione, lo invitarono a partecipare a un «Convegno mondiale dei lavoratori religiosi per la salvaguardia del sacro dono della vita dalla catastrofe nucleare». Mentre si trovava in Unione Sovietica, a una domanda dei reporter occidentali che lo avevano avvicinato all’uscita del monastero di Zagorsk, Graham rispose: «No, personalmente non ho assistito ad alcuna forma di persecuzione». Su tale passo falso evocato da Solženicyn e sull’incredibile ingenuità dimostrata da Graham nel corso della visita cfr. David Aikman, Billy Graham: His Life and Influence, Thomas Nelson, Nashville (Tennessee) 2010, pp. 159-169. Per un inquadramento del personaggio cfr. Marco Respinti, «Con Billy Graham muore un pezzo di storia d’America», articolo disponibile dal 25-2-2018 sul sito <https://alleanzacattolica.org/billy-graham-muore-un-pezzo-storia-damerica/>.