Un altro sfregio del radicalismo socialista spagnolo: vietato protestare o pregare contro l’aborto
di Chiara Mantovani
In Spagna, dal 14 aprile 2022, Giovedì Santo, entra in vigore il reato di ‘ostacolo al diritto di aborto’. Chi limitasse con molestie, offese, intimidazioni o coercizioni – tali o percepite tali – la libertà di aborto commetterà un delitto punibile dal Codice penale: da tre mesi ad un anno di carcere o lavoro comunitario. E speriamo si tratti di ripulire aiuole e non ambulatori dove si sarà abortito. Stesse sanzioni sono previste anche se gli ‘attacchi’ fossero rivolti al personale sanitario. Frutto della prospettiva antropologica di un governo socialista, quello di Pedro Sánchez, sviluppo della mentalità abortista – che in quella nazione aveva vinto solo nel 1985, sette anni dopo l’Italia, molti decenni dopo le legislazioni dell’allora Unione Sovietica e dei Paesi scandinavi -, infine arriva l’intolleranza verso ogni grillo parlante che volesse offrire concrete alternative, realizzando così quella «dittatura del relativismo» che drammaticamente «lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Infatti, non c’è tema intoccabile come quello dell’aborto. Non c’è possibilità nemmeno di sollevare l’obiezione che è totalmente fuorviante definirlo un diritto. Sembra non esistere scelta: abortire è un atto assoluto, sciolto da qualsivoglia giudizio, dipendente solo dalla volontà.
Di chi? Potrebbe essere una domanda con risposta meno scontata di quel che si pensi. Si dice, solitamente, che tutto dipenda da chi ha l’utero. Ma non è nemmeno proprio così. Si pensi, ad esempio, alla mole di vicende giudiziarie che vedono coinvolte le gestazioni per terzi: chi decide se un aborto debba interrompere una gestazione con committente? La portatrice d’utero o il finanziatore? Più spesso ancora: quale peso ha la volontà del portatore della metà maschile del patrimonio genetico del concepito? Eppure, come essere certi che sia una scelta della donna e non un’imposizione culturale, se non assicuro una reale possibilità di fare/non fare?
Chiedo scusa per il linguaggio drammaticamente barbaro, ma tecnico, che mi ritrovo ad usare: scrivere ‘madre’, ‘genitore’, ‘gravidanza surrogata’ potrebbe essere considerato “non oggettivo”, già giudicante, dunque inammissibile. Ma a che cosa serve la ragione, se non a giudicare della bontà o dell’iniquità di un atto? «Pregare non è un reato, e continueremo a offrire il nostro aiuto alle donne perché vedano che l’aborto non è l’unica soluzione», ha dichiarato Inmaculada Fernández a nome della Piattaforma «Derecho a Vivir», all’unisono, con i rappresentanti di 140 associazioni dell’Assemblea per la Vita. E già chiamarlo ‘soluzione’ suona come una concessione all’invincibile convincimento generale, poiché da tempo sappiamo che l’aborto è il problema che non risolve alcun nodo e che, ad essere letteralmente sciolta, è una nuova persona umana.
Fino a quando pregare non sarà reato? Per una mentalità che bolla di superstizione e inciviltà ogni barlume di religiosità, quanto tempo basterà per bandire anche la carità della preghiera?
«Come per analoghe battaglie, non serve neppure far notare – come spiega Carlos Pérez del Valle, docente di Diritto penale dell’Università San Pablo Ceu – che norme per punire atti coattivi ed intimidatori ci sono già, come in ogni ordinamento civile; ma se si passa dal fatto alla percezione si perde l’ancoraggio all’oggettività».
Secondo i dati del Ministero della Sanità spagnolo, nel 2020 l’84,5% degli aborti sono state realizzati in cliniche convenzionate e solo il 15,5% in ospedali pubblici, si dice per l’alto numero di medici obiettori. Non si può escludere che ci sia una lobby di interesse economico che promuove tutte queste cliniche, ma credo che sarebbe riduttivo fermarsi ad una lettura schiettamente utilitarista, almeno nella prospettiva della possibile azione controrivoluzionaria che ci compete.
Non ci sarà mai contrattazione vantaggiosa per perseguire un bene difficile; sarà sempre faticoso spiegare, convincere, educare, combattere, convertirsi. Questa ulteriore tappa della ‘normalizzazione’ del delitto – che, come spiegava san Giovanni Paolo II, si è trasformato in ‘diritto’ – si devono solo incrementare la carità intellettuale e umana, lo studio e la ragione, la pazienza l’azione pre-politica. In due parole: la cultura controrivoluzionaria.
Martedì, 19 aprile 2022