Lo Stato non costituisce l’unica forma di organizzazione politica possibile. Si può dire che rispetto al genere «sistema politico» esso rappresenta una delle specie possibili: non è «la» politica, ma soltanto una delle forme storiche in cui quest’ultima si realizza. Una sua forma particolare è lo Stato «moderno», divenuta egemone con l’affermarsi della modernità, specialmente dopo la Rivoluzione «francese» del 1789. Con la locuzione «Stato moderno» non si indica dunque l’organizzazione della società nel mondo contemporaneo, ma un tipo particolare di Stato: punto di arrivo di un percorso non fatale, non determinato, forse necessario negli sviluppi, ma non nelle premesse.
Sulla nascita e sull’affermazione di questa forma di organizzazione politica, oggi dominante, si sofferma lo storico Francesco Pappalardo con uno studio articolato sostanzialmente, anche se non formalmente, in due parti. La prima — i capitoli dal I al IV — è dedicata a una chiarificazione terminologica necessaria perché numerosi vocaboli e concetti — «Impero», «Modernità», «Antico regime» e «Assolutismo» sono quelli presi in esame — hanno cambiato significato, sia per il trascorrere del tempo sia per l’uso improprio o distorto che ne viene fatto per fini ideologici. Proprio la constatazione dell’inadeguatezza di molte categorie utilizzate per studiare la cosiddetta Età Moderna ha dato luogo a una significativa svolta storiografica — maturata all’incirca negli anni Settanta del secolo scorso, coinvolgendo gli storici delle istituzioni e quelli del diritto — grazie alla quale è emersa una nuova sensibilità nei confronti di una storia istituzionale non più incentrata sullo Stato come stadio finale e necessitato dell’organizzazione della società, ma attenta anche ad altre modalità di esercizio dell’autorità, dunque alla molteplicità delle istituzioni, dei sistemi giuridici e dei soggetti politici che hanno caratterizzato nel tempo quasi tutti i Paesi europei.
Nei capitoli dal IV all’VIII vengono illustrati, invece, la genesi e lo sviluppo dello Stato moderno, che si svolgono attraverso un processo accidentato, e talvolta accidentale, frutto di contrattazioni e di compromessi con le altre realtà sociali. Esso è il risultato di un duro e prolungato scontro di potere, che in alcune aree ha presentato alternative potenzialmente realizzabili, la cui importanza è stata a lungo sottovalutata nella ricostruzione storica: il modello imperiale, durato circa un millennio a partire dalla rinascita carolingia dell’anno 800, le leghe cittadine, le confederazioni e i cosiddetti «piccoli Stati», che non erano «scarti di lavorazione» dei processi di costruzione nazionale.
Il processo, che matura nei secoli compresi fra il XIV e il XVI, può essere descritto come l’esito di un doppio movimento compiuto dal sovrano e dalle élite al suo servizio: il primo verso l’esterno, per emanciparsi dalle strutture sovranazionali dell’Impero e del Papato; e il secondo verso l’interno, per ridimensionare progressivamente le strutture cetuali e i poteri locali. Si assiste così al passaggio da una fase in cui la società si auto-organizza a un’altra in cui la società e la sua organizzazione, cioè lo Stato, entrano in contrasto, fino a giungere al dominio dell’organizzazione stessa sulla società. Principali conseguenze di ciò sono il monopolio del diritto — che non rappresenta più un limite per lo Stato, bensì è un prodotto dello Stato stesso —, il venir meno dei corpi intermedi, l’aumento della fiscalità, sempre meno subordinata all’approvazione dei soggetti su cui grava, fino a giungere allo Stato del tempo presente: lo «Stato del benessere» che veglia sul cittadino «dalla culla alla bara»; lo Stato dalla fiscalità ancora opprimente; lo Stato che si vorrebbe onnipotente, sfruttando le emergenze e i falsi dogmi del politically correct.
Grande attenzione viene data, infine, alle resistenze, molto articolate, messe in atto nei confronti del nascente Stato moderno da parte di tutti gli strati della popolazione, che vedevano limitate le proprie prerogative e le proprie libertà. Le migliaia di rivolte verificatesi in tutta l’Europa — soprattutto fra la seconda metà del secolo XVI e l’intero secolo XVII —mostrano l’attaccamento del popolo e dell’aristocrazia ai propri diritti, tanto da potersi affermare che i moderni diritti dell’uomo non sono affatto alla base dello Stato moderno, ma sono emersi proprio dalla resistenza nei confronti della sua ascesa.
Un manuale che offre una panoramica storica rigorosa e spunti di riflessione per comprendere i tempi in cui viviamo, dando indicazioni per eventuali approfondimenti specialistici.
Categoria: Saggio
Autore: Francesco Pappalardo
Pagine: 280 pp
Prezzo: € 21,90
Anno: 2021
Editore: D’Ettoris Editori
ISBN: 978-88-9328-005-1