Il cattolico lotta contro i nemici esterni della fede, ma è insidiato anche al suo interno. La virtù della fortezza ci ricorda proprio questa duplice dimensione del nostro credere. Le passioni esistono e vanno educate
di Michele Brambilla
Per introdurre la virtù della fortezza, nell’udienza del 10 aprile, Papa Francesco cita ancora una volta il Catechismo della Chiesa cattolica, che al n.1808 spiega che «la fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni».
«Ecco, dunque, la più “combattiva” delle virtù», commenta il Papa, il quale puntualizza che «il pensiero antico non ha immaginato un uomo senza passioni: sarebbe un sasso. E non è detto che le passioni siano necessariamente il residuo di un peccato; però esse vanno educate, vanno indirizzate, vanno purificate con l’acqua del Battesimo, o meglio con il fuoco dello Spirito Santo. Un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile». Del resto, «sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49).
I teologi hanno sempre visto nella fortezza «un duplice andamento, uno passivo e un altro attivo». Il primo è la fortezza che affronta i “nemici interni” del cattolico, nemici che «vanno sotto il nome di ansia, di angoscia, di paura, di colpa: tutte forze che si agitano nel nostro intimo e che in qualche situazione ci paralizzano», facendoci desistere prima ancora di cominciare la lotta.
«La fortezza è una vittoria anzitutto contro noi stessi», ma le tentazioni vengono anche dal di fuori. «Oltre alle prove interne, ci sono nemici esterni, che sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficoltà che non ci aspettavamo e che ci sorprendono. Infatti, noi possiamo tentare di prevedere quello che ci capiterà, ma in larga parte la realtà è fatta di avvenimenti imponderabili, e in questo mare qualche volta la nostra barca viene sballottata dalle onde» degli eventi, sia storici che personali. Comprendiamo quindi che «la fortezza è una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo. Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si dibattano forze oscure portatrici di morte. Ma basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti».
In proposito, il Papa osserva che «nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti. Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie. C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza».
Nei saluti in lingua inglese il Santo Padre prega il Signore risorto per il Kazakhstan alluvionato. Anche oggi «il mio pensiero va alla martoriata Ucraina e alla Palestina e Israele. Che il Signore ci dia la pace! La guerra è dappertutto – non dimentichiamo il Myanmar – ma chiediamo al Signore la pace e non dimentichiamo questi nostri fratelli e sorelle che soffrono tanto in questi posti di guerra». A proposito di fortezza e guerra, parlando ai pellegrini polacchi il Pontefice ricorda «il beato vescovo Michał Kozal, martire di Dachau. Egli affermava che: “Di una sconfitta da arma fa inorridire di più l’abbattimento dello spirito degli uomini e il dubbioso diventa involontariamente alleato del nemico”».
Giovedì, 11 aprile 2024