Da Il Tempo del 15/12/2017. Foto da Avveniredicalabria
C’era una sola ragione che giustificava l’interesse del Parlamento a occuparsi di fine vita: ribaltare la deriva di morte delle sentenze che, dal merito alla Cassazione, fino alla Consulta, avevano trattato il caso Englaro, e altri successivi. Ribadire che il diritto a vivere non dipende dall’età o dalle condizioni fisiche o psichiche, men che meno dalla decisione di un giudice. Invece Camera e Senato hanno apposto il bollino della Gazzetta ufficiale a scelte giudiziarie che datano almeno un decennio: la politica piegata ai giudici; e ai giudici ostili alla vita come bene disponibile!
Con la legge approvata ieri si conclude un ciclo iniziato 40 anni fa: nel maggio 1978, pure allora a seguito di una sentenza costituzionale, il Parlamento varò l’aborto a richiesta, cioè la possibilità di uccidere un essere umano perché troppo giovane; alla vigilia del Natale 2017 il Parlamento vara l’eutanasia a richiesta, cioè la possibilità di uccidere un essere umano perché troppo anziano, o troppo malato, o troppo in condizioni di disagio, o troppo di fastidio ai familiari o al servizio sanitario. In una Nazione che nell’arco di pochi anni ha visto abbattersi il numero delle nascite, accentuarsi il numero dei morti e capovolgersi la percentuale tra giovani e anziani. Anni coincisi con la più pesante aggressione condotta contro vita e famiglia: divorzio breve, divorzio facile, droga libera, matrimonio same sex, fecondazione eterologa e infine legge sulle dat; tutti con la blindatura del voto di fiducia o, come per le dat, senza discutere emendamenti e articoli, per non correre il rischio che qualcuno rifletta su quel che vota.
La legge sulle dat è eutanasica perché rende la vita un bene disponibile nella sostanza e nella forma, considera cibo e acqua come cure mediche sospendibili se assunti in modo non autonomo, abbandona minori e incapaci all’altrui volontà di vita e di morte. La relazione fra medico e paziente è gravemente compromessa perché alla base di essa viene posto in modo esplicito non più il bene del paziente bensì il consenso informato. Ogni medico, soprattutto negli ospedali, dovrà trascorrere più tempo col suo avvocato che con caposala e infermieri, e se rifiuterà di fare il boia – non essendo prevista l’obiezione di coscienza – sarà denunciato o chiamato a risponderne civilmente. Avverrà anche nei nosocomi di ispirazione religiosa, rimasti salve rare eccezioni incredibilmente silenti durante l’esame parlamentare del provvedimento. Non è detto che il totalitarismo si manifesti solo coi carri armati: quando vi è una sostanza di selezione eugenetica, di soppressione del più debole, di frantumazione della famiglia, la circostanza che tutto questo sia espresso da maggioranze o da sentenze non elimina sinistre similitudini con i più oppressivi regimi del XX secolo. Vincere la rassegnazione di fronte a questa deriva è un dovere morale: sarà indispensabile un lavoro, culturale prima ancora che politico, per riscoprire le basi antropologiche dell’ordinamento. E per scongiurare il suicidio di una nazione di zombie, nella quale si passerà all’eutanasia quando il botulino non riuscirà più a nascondere le rughe di un corpo sociale vecchio ed esausto: degnamente rappresentato da un Parlamento che ha apposto un sigillo di morte questa Legislatura.
Alfredo Mantovano