Nei giorni scorsi l’agenzia Reuters ha pubblicato indiscrezioni secondo le quali l’amministrazione Trump starebbe valutando un maggior coinvolgimento nella guerra in corso nello Yemen. È una mossa rischiosa (forse imprudente) ma in linea con gli attuali interessi americani nell’area.
La guerra in Yemen ha molti attori, una lunga storia e svariate profondità di lettura.
Gli attori autoctoni sono tre: le truppe lealiste che sostengono il governo del Presidente Hadi, le milizie ribelli Houthi e l’AQAP (al-Queda nella Penisola Arabica).
Dietro a questi interessi locali si muovono tre sponsor esterni con interessi in parte coincidenti e in parte conflittuali.
L’Arabia Saudita sostiene il presidente Hadi contro gli Houthi. Da due anni è entrata formalmente in guerra a fianco del suo alleato: una guerra che si sta rivelando più impegnativa del previsto. Viene sostenuta dagli USA ed è a capo di un’ampia coalizione dei paesi sunniti della regione.
l’Iran sostiene i ribelli Houthi in qualità di alfiere dell’islam sciita. Gli Houthi sono, infatti, una milizia nata negli anni ’90 con lo scopo di rivendicare l’autonomia della minoranza religiosa zaydita, una variante specifica degli sciiti presente quasi esclusivamente in Yemen.
Gli USA sostengono i Sauditi e i loro alleati yemeniti per contrastare l’espansionismo iraniano a ridosso del Golfo Persico. Gli americani sono attivi nel territorio yemenita anche nell’ambito della guerra globale al terrorismo islamico contro AQPA. L’impegno è stato finora piuttosto blando e limitato ad integrare le carenze saudite nella gestione del conflitto.
A livello interno, lo scontro ha come posta il ritorno alla vecchia divisione tra Yemen del Nord e del Sud che sancirebbe l’autonomia dei territori Houthi. A livello regionale questa è, di fatto, una guerra per procura tra l’Iran sciita, che vuole estendere la propria sfera di influenza nella regione, e l’Arabia Saudita sunnita, che lo contrasta. In prospettiva globale le potenze si contendono il controllo di questa terra del tutto priva di ricchezze ma che per la sua posizione detiene le chiavi del Mar Rosso.
Lo stretto di Bab el-Mandab (di cui lo Yemen costituisce la sponda orientale) è uno dei nodi critici del commercio marittimo mondiale attraverso il quale transitano ogni anno più di 3.000 petroliere. I ribelli Houthi controllano quasi interamente il territorio che si affaccia sullo stretto e in particolare la città portuale di Hudayda. Lasciarlo in mano agli alleati locali di Teheran significherebbe dare all’Iran, che già domina gli stretti di Hormuz, le doppie chiavi delle rotte petrolifere di tutta la regione. È difficile che gli americani, che nonostante la fine dell’embargo continuano a non fidarsi dell’Iran, lo tollerino. L’Arabia saudita, che pure nel 2015 ha speso 86 miliardi di dollari per le proprie forze armate (più del doppio della Russia di Putin), non sembra in grado di vincere la guerra.
Ecco perché gli USA stanno pensando di intervenire con un coinvolgimento almeno aero-navale diretto e più incisivo. L’alternativa sarebbe intavolare una trattativa con l’Iran, ma né gli USA né l’Arabia Saudita sembrano intenzionati a farlo.
Ah, dimenticavo: una buona parte delle merci che transitano in quei mari è destinata all’Europa. Ma questo è un dettaglio a cui nessuno sembra dare un peso particolare.
Valter Maccantelli