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“La prassi pastorale sugli omosessuali è cambiata, ma da prima di Francesco”

30 Ottobre 2020 - Autore: Alleanza Cattolica

Di Matteo Matzuzzi da Il Foglio del 28/10/2020

Il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Massimo Camisasca, è stato fra i primi a du­bitare delle ricostruzione fornite dai media sul passaggio “incrimi­nato” del documentario “Francesco”, in cui il Papa sem­brava benedire la famiglia omo­sessuale, con tanto di prole, quasi fosse uguale a quella composta da mamma e papà. Ne è seguito un dibattito su cosa volesse davvero dire Francesco. Non è la prima volta che accade in questi sette anni e mezzo di pontificato. Ma insomma, il Papa ha cambiato la dottrina e innovato la prassi, o è stato vittima di una trappola?

“Offro una lettura di quello che è accaduto”, risponde Camisasca al Foglio: “Naturalmente è una mia lettura, di una persona che non possiede tanti elementi per valu­tare con più profondità. Il Papa ha rilasciato un’intervista nel maggio del 2019 a una giornalista messi­cana. In quest’intervista, che era per un pubblico latinoamericano e che ha come sfondo l’esperienza di Bergoglio in America latina, Francesco ha sostanzialmente detto due cose. Innanzitutto, che i giovani omosessuali devono poter essere riconosciuti dalle proprie famiglie come figli di Dio, come persone, come soggetti che non devono in alcun caso essere espul­si dalla famiglia e respinti. Il rife­rimento, qui, è a una prassi ancora presente in America latina. Quindi, chi ha interpretato la frase del Pa­pa ‘le persone omosessuali devono avere una famiglia’ come ‘devono essere una famiglia’, ha volutamente o non volutamente equivo­cato quanto detto dal Santo Padre. Se si va a leggere la frase in spa­gnolo, essa mi sembra inequivo­cabile. Un secondo aspetto riguar­da ciò che il Papa chiama in spa­gnolo ‘ley de convivencia civil’. Effettivamente egli, come arcive­scovo di Buenos Aires, per evitare che nell’ordinamento argentino le unioni omosessuali fossero equi­parate ai matrimoni, favorì una ‘ley civil’ che riconoscesse i diritti delle persone. Da questo punto di vista, mi sembra che non ci sia al­cuna innovazione della dottrina come ben hanno capito gli espo­nenti del movimento lgbt in Ar­gentina che, non a caso, hanno ac­colto negativamente le parole del Papa nell’intervista. Il Vaticano deve però aver avvertito che que­sta seconda risposta del Papa po­teva essere strumentalizzata, e così è stata tagliata. Non si sa da chi, questa parte è stata data al re­gista russo che ha composto il film documentario intitolato ‘Francesco’. Rimane a me miste­rioso – prosegue Camisasca – perché il Vaticano non abbia chia­rito l’accaduto. Forse, si sta cer­cando chi ha operato questo pas­saggio. Per quanto riguarda l’altra parte della domanda, la prassi pa­storale, io penso che sia mutata: non solo con Papa Francesco, ma lentamente anche con i Pontefici precedenti. Effettivamente c’è un grosso interrogativo nella Chiesa oggi a riguardo della vita di perso­ne omosessuali o addirittura di coppie omosessuali. Dal docu­mento Persona Humana della congregazione per la Dottrina del­la fede (1975), al Catechismo fino ai pronunciamenti più recenti, penso ad Amoris Laetitia. La Chiesa ha compiuto un percor­so reale di scoperta delle persone con orientamento omosessuale, accogliendo loro e accogliendo il loro mistero, valutandone l’integrazione nella vita pastorale delle parrocchie, delle comunità e dei movimenti. Soprattutto, però, la Chiesa si è posta l’interrogativo sulla questione più dirimente e importante: se una persona ha orientamenti omosessuali fin dalla nascita, questo rivela un disegno di Dio su di lui? E’ una vocazione? E quindi come giudicare l’affetto di una persona con orientamento omosessuale verso una persona con analogo orientamento? Penso che questo sia davvero un tempo propizio per riflettere e per coniugare ascolto e attenzione con la strada che la Chiesa ha ritenuto nei secoli di dover indicare a que­ste persone”.

La differenza tra “orientamento” e “preferenza” è attuale. Anche durante le audizioni al Senato del­la nuova giudice della Corte supre­ma americana, Amy Coney Barrett, si è molto discusso di ciò. Qual è la differenza?

“Rispondo con una battuta di Papa Francesco: preferisco i sostantivi agli aggetti­vi. La Chiesa ha sempre parlato di ‘persona’ con orientamento omosessuale. Non di omosessuali, gay, lgbt (anche se lgbt è ormai, a mio giudizio in modo sbagliato, parola sdoganata anche nella Chiesa)”. Non è però un po’ particolare che per due tre giorni abbiamo assistito a vescovi, teologi ed esperti vari intenti a spiegare, in­terpretare e valutare quanto detto dal Papa su un tema che apparen­temente dovrebbe essere cristalli­no? Risponde mons. Camisasca: “Sì, è molto particolare e direi che c’è un problema di comunicazione all’in­terno della Santa Sede. Probabil­mente, il Santo Padre ritiene che le sue parole siano chiare, ma allo stesso tempo queste parole sono trasmesse in modo tale che debba­no essere spiegate. Questo è sin­golare e anche penoso”.

Non sono però pochi gli esponenti della Chiesa che, appena visto il filmato o aver letto i primi lanci d’agenzia, hanno esultato per quanto detto dal Papa. Anche l’Italia, seppure più lentamente, si è messa sulla scia del riconoscimento dei cosid­detti nuovi diritti, talmente buoni che chi è perplesso è subito bollato come un retrogrado, se non peg­gio. Come può la Chiesa reggere l’urto del mondo?

“Innanzitutto, la forza del mondo è veramente pervasiva e si arma di tutti gli strumenti possibili, so­prattutto mediatici e tecnologici. Allo stesso tempo, però, il mondo è una tigre di carta. A poco a poco emergono le ragioni dell’umano. Io sono molto confortato dal nu­mero enorme di persone con orientamento omosessuale che mi dicono di andare avanti seguendo l’ideale proposto dalla Chiesa. L’affronto di una questione così grave esige tempi lunghi. Non solo la Chiesa, ma la società stessa ha scoperto di recente che era possi­bile un approccio diverso alle per­sone con orientamento omoses­suale. Mi sembra un punto non da poco di fronte a un cinema, a un’arte, a una letteratura che in­sultava gli omosessuali. Non di­mentichiamo la condanna di Oscar Wilde. Noi scontiamo i frutti del puritanesimo, quindi di una socie­tà che aveva una forte presenza omosessuale al suo interno e una larga espressione di rifiuto all’esterno, basata sull’ipocrisia. La Chiesa ha detto basta con l’ipo­crisia: si tratta di persone umane che portano un mistero, nessuno va emarginato, etichettato o sbeffeggiato. C’è tutto un cammi­no di ripensamento a questo ri­guardo, che come tutti i cammini nuovi può correre due rischi: il primo è di avere premura, e quan­do c’è premura si sbaglia sempre perché si vuole chiudere il cerchio prima del tempo. Ma chiudere i cerchi della libertà di Dio e della libertà dell’uomo è un’impresa difficile. Talvolta vanno lasciati aperti. La Chiesa cerca di indicare la strada che sembra migliore. L’altro errore consiste nel dimen­ticare la dottrina e la prassi che la Chiesa ha vissuto e sperimentato per duemila anni, come se fosse possibile gettare nel gabinetto l’esperienza dell’uomo che ha ma­turato. Vedo invece frutti positivi negli incontri di preghiera tra sacerdoti e persone con orientamen­to omosessuale: sono un tentativo di sostenere queste persone che vivono difficoltà molto forti. Non dobbiamo mai dimenticare che l’orientamento omosessuale, so­prattutto nei cristiani che deside­rano vivere la loro fede, è una mi­steriosa fonte di sofferenza, una croce che occorre aiutare a portare, non ad appesantire. Vedo una forte presenza di credenti con orienta­mento omosessuale che si interro­gano su ciò che lega il loro stato e la fede; persone che si sostengono a questo riguardo. Non dobbiamo avere la spocchia di dire che tutto è risolto. E’ un cammino”.

Però spesso questo cammino è contrastato da chi all’ascolto pre­ferisce l’insulto. In un’intervista al Foglio, il cardinale Wim Eijk par­lava del fatto che ormai per la Chiesa è difficile farsi capire. Come si può stabilire un dialogo fecondo con chi insulta?

“E’ un’arte diffi­cile, bisognerebbe riuscire a capire cosa c’è dietro l’insulto. In taluni c’è una ferita, in altri c’è il demo­nio. Con i primi il dialogo è possi­bile, con gli altri bisogna pregare. Comunque bisogna accostarli, sempre. Io ho sempre cercato di incontrare tutti, la prima intervi­sta fatta quando arrivai a Reggio, sulla Gazzetta, fu intitolata dal giornalista ‘Camisasca è un vesco­vo vulnerabile’. Quando io subisco un insulto, invito chi me lo ha ri­volto a venire a trovarmi. Poi ma­gari questa persona non viene”.

Ha l’impressione che si tenda a vivere il sentimento in modo su­perficiale, oggi? Si abusa troppo della parola ‘amore’?

“Ci sono due movimenti sbagliati – spiega il vescovo di Reggio Emilia-Gua­stalla. Il primo è il predominio del sentimento sulla ragione. Oggi la parola scritta, pensata e ragionata sembra non avere più alcun signi­ficato. Stiamo cadendo nell’epoca della barbarie. In secondo luogo, nel mondo dei sentimenti, la pa­rola ‘amore’ ha una prevalenza talmente ampia che finisce per non avere alcun valore. E’ triste per noi cristiani, se pensiamo che Giovanni ha scritto: Dio è amore. Comunque c’è la necessità assolu­ta di ridare significato alla parola ‘amore’, sottraendola a quel mielismo e insignificanza a cui la cul­tura contemporanea l’ha ridotta. Ritengo che l’amore di Dio debba essere sempre legato all’ira di Dio: senza la considerazione dell’ira di Dio non si può comprendere l’amore. L’ira di Dio è la sua irri­ducibilità al male, la sua lotta con­tro il male. Oggi si parla molto di misericordia e per nulla di penti­mento, ma se non c’è un atto di pentimento non c’è possibilità di gloria. Per questo la messa inizia con il Confiteor. L’eliminazione del pentimento è il primo gradino della perdita di consapevolezza di cos’è il cristianesimo, che viene così ridotto a una delle tante ideo­logie mondane”. Insomma, osser­va mons. Massimo Camisasca, “imparare che cosa sia l’amore, che cosa significhi amare, quale posto abbiano nella vita il perdo­no, i sentimenti, gli istinti, la ra­gione e il sacrificio, insomma im­parare quale sia la verità dell’uo­mo e la strada della sua realizza­zione sono sfide che riguardano tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale”.

Foto da diocesi.re.it

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