GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 297 (2000)
1. “A dieci anni dalla caduta del Muro di Berlino”
La seconda parte del titolo — e del tema — della mia riflessione, “a dieci anni dalla caduta del Muro di Berlino”, sta a indicare una collocazione cronologica che è anche, contemporaneamente, una collocazione “ritmica”. Infatti, la storia non ha leggi; e, comunque, basterebbe la ricaduta sugli uomini dell’ultima pretesa relativa alla loro esistenza, quella avanzata dalla visione del mondo marxista-leninista, per diffidare — per dire il meno — di ogni affermazione perentoria circa l’esistenza di tali leggi a causa del loro provato contrasto non solo con la felicità umana, ma anche con la “felicità sostenibile”, cioè con quella compatibile con la situazione degli uomini in hac lacrimarum valle, quindi con la stessa condizione umana, dunque per la loro “disumanità”. Ma, se la storia non ha leggi, ha certamente ritmi, in relazione ai quali essa ha un terreno comune con la sociologia, fino a confondersi per qualche tratto con essa; si tratta di una sociologia “qualitativa”, che permette di qualificare come “sociologo” Giambattista Vico (1668-1744) (1), analogamente alla romanità “di quella Roma onde — come canta Dante Alighieri (1265-1321) — Cristo è romano” (2). Dunque, “a dieci anni dalla caduta del Muro di Berlino” sta per “dopo il 1989”, cioè dopo quell’avvenimento epocale che segna la fine del lungo periodo caratterizzato dal sovvertimento delle strutture socio-economiche del “mondo occidentale e cristiano” (3), della cristianità romano-germanica, operato in nome del socialcomunismo, il cui “[…] crollo […] mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo” (4). All’interno dello stesso segmento di titolo, la precisazione cronologica “a dieci anni dalla” indica puntualmente l’occasione di riflessione suggerita dalla ricorrenza.
2. “La presenza politica dei cattolici”
La prima parte del titolo, “La presenza politica dei cattolici”, ha una doppia valenza: la prima è strutturale, relativa al settore di presenza preso in esame, indicato come quello della politica; la seconda dice relazione a una condizione storica che non suggerisce, ma costringe all’identificazione dei cattolici come soggetti interessati e impegnati nell’organizzazione di una determinata società fra altri e con altri. Quanto alla prima valenza, si tratta appunto dell’impegno relativo all’organizzazione della società nel tempo in cui la società storica occidentale e cristiana porta a termine la sua trasformazione da “società civile”, cioè da società con un profilo organizzato nella prospettiva del bene comune, della pace sociale, a “società” come contrapposta, o almeno contrapponibile — anche se con diverse modalità dialettiche — a “Stato”, quindi alla sua condizione organizzativa, allo status societatis. Quanto alla seconda valenza, si tratta dell’effetto prodotto dalla contemporanea perdita dell’omogeneità culturale da parte della società, che apre la via a una presenza organizzata nella società delle diverse culture in essa viventi, non soltanto secondo modalità sociali, ma anche secondo modalità politiche. Così, la contemporanea e contestuale comparsa e rilevanza delle due valenze indicate prelude — quando i diversi mutamenti avranno percorso loro possibili itinerari di sviluppo — alla nascita dei partiti politici, quindi anche di quelli cattolici. Essi vengono detti “cattolici” prima sulla base dell’area culturale d’appartenenza dei promotori, degli adepti e dei sostenitori, quindi del riferimento dottrinale, poi dell’ispirazione, infine solo per rapporto all’area storica e sociologica nella quale questi soggetti politici ricercano prevalentemente il consenso, che li abiliti alla gestione della cosa pubblica. Di rilievo, comunque, il fatto che il quadro, il terreno della vita politica, si trasformi nell’arena della lotta politica, cioè che le diverse ipotesi di gestione dell’organizzazione della società acquisiscano i tratti di alternative di società, da costruire avvalendosi del potere della stessa organizzazione statale e sulla base dell’egemonia della visione di una parte — così è all’esordio —, che non tarda però a divenire una visione di parte, una visione del mondo parziale, cioè ideologica. Comunque, con “quadro” e “terreno” da una parte e con “arena” dall’altra intendo indicare il passaggio da una conflittualità ludica, esemplare, a una conflittualità radicale, mortale.
3. “Fra l’ininfluenza e la nuova evangelizzazione”
Finalmente, la terza parte del titolo descrive la condizione de “La presenza politica dei cattolici a dieci anni dalla caduta del Muro di Berlino” come sospesa, incerta, ondeggiante “fra l’ininfluenza e la nuova evangelizzazione”. Nei termini evocati e almeno parzialmente illuminati dalle precedenti pur brevi considerazioni definitorie, anzitutto, dopo l’implosione del sistema imperiale socialcomunista e la perdita di potenziale — per non dire semplicemente la scomparsa — del focus occidentale di tale sistema, quindi del principale motore mondiale della Rivoluzione socialcomunista, nel mondo politico occidentale si sono prodotti fenomeni che hanno depotenziato, poi svuotato anche la presenza politica dei cattolici. Si tratta di fenomeni di genere: come, in precedenza, la convivenza con partiti ideologici aveva portato alla sostituzione dell’identità cattolica con una prospettiva di compromesso con la modernità, il mutamento più recente è derivato dal cosiddetto “crollo delle ideologie”, che ha portato al ridimensionamento, quando non alla scomparsa, dei raggruppamenti politici di natura ideologica, espressioni di diverse realtà sociali, segmenti della società organizzata dallo Stato. A questo fenomeno se n’è affiancato o ha fatto seguito un altro — quale, per esempio, nella società organizzata dalla Repubblica Italiana, quello prodotto dall’operazione giudiziaria denominata Mani Pulite —, che ha segnato il giro di boa formale dalla partitocrazia alla tecnocrazia in genere e a quella finanziaria in specie. Così, con vistose analogie con le catastrofi naturali, quasi improvvisamente sono scomparse quinte importanti e imponenti della scena politica, lasciando aperte non solo ferite storiche, ma, a causa della consistenza e della durata storica di tali quinte, anche ferite percepite come “naturali”. Così — ancora — ha preso corpo una condizione che fonda senza dubbi di sorta l’uso del termine “ininfluenza”, la cui comprensione dev’essere però articolata — almeno — anzitutto come indicazione della scomparsa della rappresentanza politica convenzionale del mondo cattolico da parte del partito della Democrazia Cristiana; quindi come percezione del mutamento dello stesso mondo cattolico rappresentato attraverso la rilevazione o la denuncia — falsa nella sua radicalità — della scomparsa di questo mondo, così accreditando la non obbligata equivalenza fra la scomparsa della rappresentanza convenzionale e quella del rappresentato. Dunque, il crollo dell’ideocrazia socialcomunista ha prodotto un depotenziamento, fino allo svuotamento pressoché totale, di tutti gli organismi politici di tipo ideologico, anche di quelli di opposto segno contenutistico o vistosamente contrastanti con essa, a conferma tipica — anche se relativa alla fine piuttosto che alla nascita — della tesi di Ernst Nolte circa la relazione fra comunismo e nazionalsocialismo (5), cioè dei partiti politici per eccellenza così come configurati grosso modo nel corso del secolo XX. Con i partiti politici di tipo ideologico sono venuti meno anche quelli che, pur essendo ad alto tasso di farcitura ideologica, avevano una magari residua ragion d’essere sociale. Questa duplice scomparsa non ha però prodotto la fine del corpo sociale e della sua segmentazione, ma ha permesso e permette la rilevazione della perdita di consistenza dei diversi segmenti di esso, quello cattolico non escluso, quindi del passaggio dalla segmentazione alla frammentazione: in altri termini, la scomparsa delle coperture partitiche scopre la frantumazione del corpo sociale, non certo la scomparsa del tessuto sociale, ma ne mette in risalto le smagliature, talora particolarmente rilevanti, che hanno fatto seguito alle lacerazioni storiche.
4. Esiste ancora un “mondo cattolico”?
A questo punto ci si può chiedere se esista ancora un mondo cattolico: se la risposta è affermativa poiché la società non muore e i singoli continuano a essere inevitabilmente, naturalmente portatori di una visione del mondo, e alcuni, fra le altre, di quella cattolica, si fa però problematica la possibilità di una descrizione unitaria dei tratti culturali di questo mondo, quindi anche di quelli religiosi, dal momento che la sua religiosità è variamente, diversamente caratterizzata, comunque dis-omogenea. Al comune richiamo alla fede cattolica non corrispondono altrettanto coerenti prospettive, sì che il sociologo quasi intravede con difficoltà l’unità della Chiesa e del suo magistero riflessi nelle credenze del corpo dei fedeli, e neppure la pluralità delle teologie, ma deve rilevare l’esistenza di più mondi cattolici: al limite, di tanti mondi cattolici quanti sono coloro che si dicono cattolici. A questa condizione si propone di far fronte la cosiddetta “nuova evangelizzazione”, opera di riconquista dell’omogeneità culturale perduta, di cui è strumento dottrinale privilegiato il Catechismo della Chiesa Cattolica e segno inequivoco l’impegno per un progetto culturale cristianamente orientato, promosso dalla CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, un progetto da non leggersi assolutamente come promozione di una “cultura secondo Ruini” se non addirittura di una “civiltà cristiana del terzo millennio secondo Ruini”, con riferimento al cardinale presidente della stessa CEI, ma come sensibilizzazione tematica alle ricadute culturali del discernimento cristiano sulla condizione storica in cui i cristiani e gli uomini tutti si trovano a vivere, in specie in Italia e in genere nel mondo (6).
5. Quale rappresentanza politica per il mondo cattolico?
Se esiste ancora un mondo cattolico, benché nelle condizioni di diaspora strutturale descritte, quale rappresentanza politica immaginare per esso? I partiti ideologici, cioè i partiti per eccellenza, quando non sono scomparsi sono finiti, e l’eventuale permanere del termine si limita a coprire, se non a nascondere, i mutamenti sopravvenuti, mentre — di contro — l’eventuale mutamento del termine induce a maliziosamente sospettare senza fondamento la permanenza della realtà, cioè a conservare sicurezze che non hanno base in re. I partiti sono in via di sostituzione a opera non tanto di comitati elettorali quanto di collegi avvocatizi — richiamo il termine medioevale “avogadro”, titolo di magistrato politico, da advocatus, “persona chiamata presso di sé” in proprio aiuto —, che si offrono di rappresentare esigenze sociali presso poteri su cui sono ininfluenti, della stessa ininfluenza dell’avvocato sul diritto positivo all’interno del quale e sulla cui base opera: tali collegi costituiscono la “nuova classe” politica dello Stato postmoderno, inserito o in via d’inserimento in ordinamenti giuridici sovrastatuali — impropriamente detti sovranazionali — e di fatto di cui ha, a suo tempo, permesso oppure favorito o invano ostacolato l’istituzionalizzazione. Inoltre, tali collegi sono — o dovrebbero essere oppure dovranno essere — le corporazioni di esperti del Palazzo, meglio, del Castello; e il riferimento è all’opera di Franz Kafka (1883-1924) (7), non alla struttura architettonica medioevale: in un’opera di due studiosi della materia, non certo “euroscettici”, leggo questa preziosa notazione: “Struttura e funzionamento dell’Unione europea sono per la loro complessità e per le loro anomalie, rispetto all’organizzazione di un moderno Stato democratico, di difficile comprensione all’osservatore esterno, anche informato, sì da giustificare la definizione di un alto funzionario di Bruxelles di “labirinto impenetrabile ai non iniziati”” (8); e — sia detto ad abundantiam — l’osservazione dei due studiosi e la formula dell’”eurocrate” non riguardano il “mistero dell’obbedienza civile”, di cui trattava correttamente e con acume Bertrand de Jouvenel (1903-1987) all’inizio degli anni 1970 (9), ma del “mistero delle istituzioni”. E proprio in queste e da queste “misteriose” istituzioni la nuova classe politica e le sue organizzazioni devono tentare di ricavare il soddisfacimento delle esigenze del corpo sociale. Sia detto di passaggio, con l’aggettivazione “misteriose” e con il riferimento — per altro di terzi — agli “iniziati” non intendo far concessioni di sorta a un complottismo dozzinale, ma semplicemente sporgere — per così dire — una “denuncia contro ignoti”, che però non elimina né la realtà del crimine né la speranza di veder fatta giustizia. Poiché le esigenze in questione non trovano più la loro rappresentazione organizzata nel partito ideologico o simil-ideologico, e neppure in strutture fiancheggiatrici, sempre però dipendenti dal partito ideologico o a esso orientate, vivono come fili residui di tessuto sociale, raccolti attorno a rigidi fusi monotematici. Sì che — tornando dal genere alla specie — la rappresentanza politica del mondo cattolico è offerta da soggetti per i quali l’esser cattolici è eventualmente e certamente condizione privilegiata di comprensione delle esigenze del mondo in questione, che aspirano a patrocinare, ma di cui non possono essere considerati guide autorizzate solamente in quanto cattolici. In ogni modo, chiunque sia disponibile e si riveli atto a rappresentare esigenze identificabili e dimostri la propria capacità nel trovarne il soddisfacimento istituzionale, è possibile destinatario del lobbing esercitato dalle diverse filière socio-culturali. Come, per esempio, un avvocato che sceglie il proprio ambito di attività, penale o civile, o che, ancor più nel dettaglio ma di nuovo per esempio, dichiara la propria indisponibilità a patrocinare cause miranti alla realizzazione del divorzio, in qualche modo ponendo in essere un comportamento analogo all’obiezione di coscienza.
6. Considerazioni finali fra disorientamento e ri-orientamento, o “nuova evangelizzazione”
Il quadro che ho descritto può disorientare. Non lo dubito, dal momento che confesso senza difficoltà — per quel che vale — d’essere il primo disorientato; ma non per questo mi lascio tentare dall’ipotesi di falsificare la situazione attraverso una descrizione dell’agone politico in termini non più reali. Allo stato, le decisioni politiche significative, le scelte di alto profilo, le decisioni politiche vero nomine, sono state sottratte e sono sottratte sia agli elettori che agli eletti: il che viene talora indicato come “deficit di democrazia“.
La struttura del Palazzo sfugge — e non sempre in misura troppo diversa — sia agli elettori che agli eletti. Nella migliore delle ipotesi l’unica possibilità reale d’incidenza da parte di entrambe le categorie dice relazione all’arredamento del Palazzo, non certo alla sua struttura: si tratta di un possibile modo per descrivere l’abbassamento, la “riduzione” amministrativa della politica, il fatto che la politica sia stata ampiamente derubricata ad amministrazione; e di un presupposto diverso da quello ottocentesco per “semantizzare”, cioè per dar significato al liberalismo, al quale da più parti — pressoché da tutte — si rimanda o ci si richiama. E i possibili rifugi della “vecchia” politica — ma fino a quando, dopo l’istituzione del Comitato per le Regioni presso l’Unione Europea? — sono costituiti dalle “seconde case”, dalle “case di campagna”, cioè dai Palazzi minori, a scalare da quelli regionali compresi, più trasparenti e meno esposti alle conseguenze dei fenomeni sismici che si sono prodotti “dopo il 1989”.
L’esautoramento del cosiddetto Stato nazionale, la sua trasformazione in corso d’opera in Stato postmoderno — per distinguerlo da “Stato moderno” come concentrazione di sovranità indivisa e non condivisa —, permette d’identificare non più una o due categorie di politici, quelli nazionali e quelli locali, ma obbliga a considerarne tre, quelli europei, quelli nazionali e quelli locali, in una gamma arricchita dalle autorità regionali e dai “piccoli” — ma quanto “piccoli” nelle aree metropolitane? — poteri circoscrizionali. E, mentre il potere nazionale cala, crescono i poteri minori, soprattutto quello regionale, e il potere europeo rivela piuttosto il suo carattere di esplorazione nel Palazzo Europeo del Potere che di potere vero e proprio. I politici, destinati principalmente a far da guida nel Palazzo, a far da ciceroni nel senso corrente del termine, prima che da avvocati come lo storico Marco Tullio (106-43 a. C.), devono anzitutto imparare a conoscerlo. Dal canto loro, i cittadini devono imparare a chiedere indicazioni, non come iscritti a partiti, ma come componenti di una o più lobby, confessi e non occulti “gruppi di pressione”, la cui forza è la capacità di negoziazione e la consistenza della ricaduta propagandistica dell’esito di tali trattative, premessa al consenso elettorale. E le risposte positive o negative alle domande permettono di rilevare le caratteristiche e le dimensioni del Palazzo e le intenzioni di chi, eventualmente anonimo, lo ha costruito e non lo muta. Perciò il recente episodio di cronaca socio-politica, relativo alla parità scolastica, che si è realizzato nella manifestazione a Roma il 30 ottobre 1999, non deve esser considerato come un’eccezione, ma come prima espressione di una nuova regola.
Poi, per certo ma all’orizzonte, va posto il problema della modifica del Palazzo, non mai della sua distruzione, della “riforma sociale” — per dirla con Frédéric Le Play (1806-1882) (10) — e non della rivoluzione dell’esistente, evitando però di cadere nella trappola in cui — sia detto con il massimo rispetto e con l’affetto e la comprensione più totali — sempre più mi pare siano caduti i miei — i nostri — antenati cattolici italiani, per parlare solo di loro, trappola consistente nel pensare che, poiché erano molti, avevano anche molto potere o molto più potere di quello di cui disponevano realmente.
Si tratta del miraggio che trasforma i molti prigionieri di un campo di concentramento in dominatori delle poche guardie. Ma, appunto, si tratta di un miraggio. Che ritarda l’avanzata nel deserto e, soprattutto, l’eventuale fuoriuscita da esso; e che come tale va denunciato ed evitato. Ma — ancora e ancor prima — perché ogni gesto politico, presente e venturo, abbia una seria e consistente base sociale, l’opera di nuova evangelizzazione deve rafforzare i singoli fili del tessuto sociale cattolico e far riprendere consapevolezza della globalità di tale tessuto, sia nella prospettiva della gestione dell’esistente storico che in quella della trasformazione di tale esistente.
Infatti, non vi è cristianità senza cristiani e cristiani culturalmente omogenei e il problema della loro rappresentanza politica — si perdoni l’affermazione lapalissiana — segue e non precede quello della loro esistenza; infatti — ancora — “certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali“ (11). Non bastano i battesimi, la semina, ma sono indispensabili le conversioni, e anzitutto quelle dei battezzati: “L’evangelizzazione dei non credenti infatti presuppone l’autoevangelizzazione dei battezzati, ed anche in certo senso dei diaconi, dei sacerdoti e dei vescovi” (12); e, se è vero che “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” (13), non è meno vero che una fede adulta (14) può diventare più facilmente cultura: quindi — attraverso la formazione della coscienza sociale alla luce della dottrina sociale della Chiesa — anche cultura politica.
Giovanni Cantoni
* Testo, rielaborato e annotato, della relazione con lo stesso titolo presentata al convegno Dalla “cristianità perduta” alla “nuova evangelizzazione”. Origini e problemi della presenza dei cattolici nella storia politica italiana, promosso da Cristianità e da Alleanza Cattolica, in collaborazione con la Regione Lombardia. Settore Trasparenza e Cultura, e svoltosi a Milano il 6-11-1999 (cfr. Giuseppe Bonvegna, Dalla “cristianità perduta” alla “nuova evangelizzazione”. Origini e problemi della presenza dei cattolici nella storia politica italiana, in Cristianità, anno XXVII, n. 295-296, novembre-dicembre 1999, pp. 14-17).
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(1) Cfr. Paolo Ammassari (1931-1991), Vico, Croce e la sociologia, in Alberto Izzo e Carlo Mongardini (a cura di), Contributi di storia della sociologia. Atti della sezione di storia della sociologia del 1° Convegno italiano di sociologia “Consenso e conflitto nella società contemporanea”. Roma, 15-18 ottobre 1991, Franco Angeli, Milano 1993, pp. 31-41.
(2) Dante Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, canto XXXII, v. 102.
(3) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, parte I, cap. II, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, p. 67.
(4) Sinodo dei Vescovi. Assemblea speciale per l’Europa, Dichiarazione “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato”, n. 1, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1991, p. 7.
(5) Cfr. Ernst Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945, con un saggio di Gian Enrico Rusconi, trad. it., Rizzoli, Milano 1999.
(6) Cfr. Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana (a cura di), Progetto culturale orientato in senso cristiano. Una prima proposta di lavoro, del 28-1-1997, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1997; e Conferenza Episcopale Italiana. Servizio Nazionale per il Progetto Culturale, Tre proposte per la ricerca, Elledici, Leumann (Torino) 1999; nonché Servizio Nazionale della CEI per il Progetto Culturale e Associazioni Teologiche Italiane, Identità nazionale, culturale e religiosa, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999.
(7) Cfr. Franz Kafka, Il Castello, ed. integrata con varianti e frammenti, con un’introduzione di Roberto Fertonani, trad. it., Mondadori, Milano 1998.
(8) Giuseppe Mammarella e Paolo Cacace, Le sfide dell’Europa. Attualità e prospettive dell’integrazione, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 49.
(9) Cfr. Bertrand de Jouvenel des Ursins, Del Potere. Storia naturale della sua crescita, trad. it., SugarCo, Milano 1991, pp. 31-33.
(10) Cfr. Frédéric Le Play, Textes choisis, con una prefazione di Louis Baudin (1887-1964), Dalloz, Parigi 1947, pp. 68-86 e 309-314.
(11) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, del 30-12-1988, n. 34.
(12) Sinodo dei Vescovi. Assemblea Straordinaria Celebrazione, verifica, promozione del Concilio Vaticano II, 24-11/8-12-1985, Relazione finale La Chiesa, nella parola di Dio, celebra i misteri di Cristo, per la salvezza del mondo, 7-12-1985, II. B. a. 2.
(13) Giovanni Paolo II, Lettera autografa di Fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura, del 20-5-1982, cit. in Pontificio Consiglio della Cultura, Per una pastorale della cultura, documento del 23-5-1999, n. 1.
(14) Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et ratio circa i rapporti tra fede e ragione, del 14-9-1998, n. 31.