Marco Invernizzi, Cristianità n. 161 (1988)
Un primo inquadramento dei nodi palesi e di quelli meno noti nel rapporto fra il mondo cattolico e la sua rappresentanza partitica, dal Partito Popolare alla Democrazia Cristiana
Dentro la polemica esplosa al Meeting di Rimini
La problematica dottrinale, culturale e politica dei cattolici italiani
A Rimini, nel mese di agosto del 1988, si è svolto l’ormai consueto Meeting per l’amicizia fra i popoli e, nell’occasione, ha avuto inizio un dibattito originato dall’ipotesi di un’intesa più che congiunturale fra il Movimento Popolare e il Partito Socialista italiano. Tale dibattito ha toccato il nodo, fondamentale e perciò delicato, dell’unità politica dei cattolici italiani. E la stampa ha immediatamente immaginato il passaggio al PSI dei quadri e del milione di voti che sarebbero «controllati» da MP, fra l’altro prescindendo completamente dalle precisazioni del suo presidente, Giancarlo Cesana, secondo cui le convergenze con il PSI si erano verificate sulla base dello slogan «Più società, meno Stato», che era stato scandito dal movimento durante la campagna elettorale precedente la consultazione politica del 14 giugno 1987 (1).
Ma la fantasia di molti — giornalisti e no — si e scatenata soprattutto dopo una conversazione con la stampa del cardinale Achille Silvestrini, successivamente ripresa e spiegata dallo stesso porporato in una lettera al segretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Camillo Ruini (2), e ne è nato un moto riflesso in difesa di pretesi diritti della Democrazia Cristiana a rappresentare politicamente i cattolici italiani (3).
Che cos’ha detto il cardinale Silvestrini? Semplicemente che l’unità politica dei cattolici non è un dogma, ma una conseguenza storica della coerenza fra fede e impegno civile e politico, a cui il cattolico è tenuto in via di principio. Perciò, l’unità politica è un patrimonio da non dissipare e — soprattutto — da non disprezzare, ma da sottoporre a una prudenziale valutazione storica.
Perché la semplice possibilità di cominciare questa valutazione preoccupa tanto? Perché la sola ipotesi della nascita di un altro partito cattolico — eventualità teoricamente molto più verosimile della improbabile confluenza di cattolici, consapevoli di che cosa significhi essere tali, nelle file del PSI — suscita oggi, come nel secondo dopoguerra, tanto allarme e tanta ostilità?
Ancora: è lecito porre il problema dell’unità politica dei cattolici senza aver prima affrontato quello della loro unità culturale, che si fonda e si articola attorno alla dottrina, cioè alla morale sociale? Su un piano meno elevato, tale unità politica può essere vissuta nella sua espressione partitica all’interno di un quadro organizzativo intollerante di ogni diversità culturale, se non in pendenza di uno stato di necessità da continuamente verificare? in altri termini — lasciando impregiudicato il problema dell’ortodossia della DC e della conformità della sua prassi ai princìpi della dottrina sociale della Chiesa, nonché della liceità dell’opzione culturale dei sedicenti «cattolici democratici» —, vi è spazio — in concreto — all’interno della stessa DC per cattolici portatori di una cultura politica diversa da quella, appunto, dei «cattolici democratici» (4)?
Per poter impostare correttamente questa vastissima problematica è indispensabile risalire almeno alla sua ultima prospettazione storica significativa.
Nel 1936, diversi anni dopo la fondazione del Partito Popolare — costituito nel 1919 —, don Luigi Sturzo scriveva che, all’epoca della sua fondazione, «non potevamo pretendere che tutti i cattolici italiani avessero le medesime preferenze nostre» (5), sì che avendo il partito un programma democratico-popolare, quei cattolici che non condividevano tale programma non avrebbero potuto trovarvi posto: «Se ci sono cattolici antidemocratici, non faranno parte del nostro partito» (6). Posta questa premessa, ad extra del PP l’organizzarsi di altre opzioni dipendeva dalla loro esistenza storica, dalla loro capacità operativa e, soprattutto, dal giudizio di prudenzialità enunciato in proposito dalla gerarchia ecclesiastica: ad intra, il mantenimento di una concezione della democrazia che non si esaurisca nel suo significato politico moderno — in conformità con le indicazioni del Magistero — sarebbe dipeso dal puntuale riferimento a tale Magistero, di cui però mancava, se non forse l’intenzione, certo un vincolo esplicito. Così, progressivamente, alla concezione della democrazia come «benefica in populum actio christiana» (7) subentra quella dipendente dalla cultura liberale e progressista, quando non «popolare» nel senso social-comunista del termine (8).
Indubbiamente, don Luigi Sturzo fece un’opera di divisione nel Movimento Cattolico, costituendo un partito per soli «cattolici democratici» come corpo a sé stante, indipendente, aconfessionale (9), la cui attività cessava di far parte di un più grande progetto apostolico come era accaduto, fino ad allora, nel caso dell’unione Elettorale Cattolica Italiana o in quello dell’opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici in Italia (10).
La stessa problematica non avrebbe trovato soluzione dopo la seconda guerra mondiale con la fondazione della DC, che ebbe un legame cospicuo con il mondo cattolico soprattutto a causa del pericolo costituito dall’ipotesi di una vittoria elettorale del Fronte Popolare socialcomunista nelle elezioni del 1948 e perché si servì delle strutture di tale mondo almeno fino al 1954. Ma anche allora i giudizi dottrinali vengono elusi e, di conseguenza, anche quelli culturali si rivelano insufficienti, sì che ci si pone unicamente il problema — da parte dei cattolici — di come orientare e controllare la loro espressione politica di fatto, tentando di recuperare con pressioni quanto il mancato pluralismo faceva perdere. Così, le scelte dei cattolici, determinate più da esigenze storiche che animate dal riferimento ai principi della dottrina sociale della Chiesa vissuti in diversi contesti culturali, trovano in un disagevole e insoddisfacente collateralismo l’esito della pressione a tenaglia costituita dalle indicazioni della gerarchia ecclesiastica e dal pericolo socialcomunista, mentre la DC opera senza deflettere dal proprio orientamento, definito da una sempre più svigorita «ispirazione cristiana». E così, ancora, si spiegano sia la costituzione dei Comitati Civici, per un sempre più massiccio influsso sulla DC da parte del mondo cattolico, sia — in senso contrario — l’azione svolta da Amintore Fanfani, segretario di questo partito dal 1954, per dotarlo di strutture autonome e, quindi, per renderlo, di fatto, sempre meno condizionabile da parte appunto del mondo cattolico, nelle sue diverse articolazioni.
Ma oggi il quadro va sostanzialmente mutando, solo che lo si voglia osservare con qualche attenzione. Viene anzitutto meno, grazie al declino del Partito Comunista Italiano, la possibilità del ricatto costituito dall’eventualità del «sorpasso» della DC da parte del PCI. Né è irrilevante il new look di cui si riveste il PSI, realmente o millantatamente sempre meno marxista se non antimarxista. Inoltre, la vigorosa riproposizione della dottrina sociale della Chiesa fornisce il metro di giudizio sia per l’opera pubblica di ogni cattolico, sia per la valutazione di chi gli si propone come rappresentante civile. Né vanno trascurati episodi come quello che si è prodotto alla vigilia della tornata elettorale del 14 giugno 1987, quando trentanove candidati nelle liste della DC hanno sottoscritto un documento proposto da MP, nel quale si faceva esplicito riferimento al «Magistero della dottrina sociale cattolica» e alla «passione per il dilatarsi della Chiesa come corpo sociale» (11).
Mi rendo perfettamente conto che ogni affermazione meriterebbe ben altro sviluppo, ma spero di aver almeno fatto intuire che — dietro al «voto cattolico in libera uscita» e alla conseguente caccia per accaparrarselo (12) — stanno nodi storici, e ancor prima dottrinali, che — forse — si possono ignorare od occultare per decenni o anche per secoli, ma che non perdono né la loro attualità né la loro urgenza, e per la cui soluzione deve ritenersi mobilitato in coscienza ogni cattolico non ignaro di storia e di dottrina. E quanto è accaduto a Rimini e dopo non è altro che un richiamo delle «cose» perché non si dimentichi di rispondere — un giorno o l’altro — a interrogativi da cui non dipende poco né della vita dei singoli, né di quella della nazione italiana, né della stessa condizione storica della Chiesa.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. il comunicato conclusivo del Meeting, in Il Sahato, anno XI, n. 36, 3-9-1988, p. 1. La polemica, nel corso del suo sviluppo, ha registrato anche dichiarazioni che meritano di essere ricordate solo come oggettivamente mistificanti la vera problematica: l’on. Giulio Andreotti, per esempio, afferma che «Garibaldi, del resto, a parte lo scippo delle elezioni del 1948, è davvero di tutti» (Europeo, anno XLIV, n. 37., 9-9-1988, p. 63); mentre l’on. Flaminio Piccoli scrive senza incertezze che «la Dc ha sempre ottenuto i consensi maggioritari dei cattolici non per una unità politica quasi dogmatica che non è mai esistita, ma perché l’azione dei democratici cristiani ha trovato e trova perenne e coerente riferimento nei valori cristiani» (Avvenire, 1-9-1988).
Passando ad altro, non mi pare esatto il giudizio positivo enunciato da Giancarlo Cesana a proposito del Concordato, «merito di Craxi che ha ricostruito su una base accettabile i rapporti tra Chiesa e Stato» (Panorama, anno XXVI, n. 1168, 4-9-1988, p. 50), perché, se in tale accordo viene ancora riconosciuta una certa libertà alla Chiesa e alla proiezione sociale della sua missione, è d’altra parte indubbio che esso si inserisce «nel quadro del processo di secolarizzazione che la società italiana ha subìto in modo doloroso, particolarmente nel secondo dopoguerra» (MAURO RONCO, Concordato: una revisione nella linea della separazione, in Cristianità, anno XII, n. 107-108, marzo-aprile 1984).
(2) Cfr. Avvenire, 30-8-1988.
(3) cfr. MONS. CARLO MACCARI, arcivescovo di Ancona, Quel garofano che non fiorisce, ibid., 26-8-1988; il corsivo non firmato Identità cristiana e convergenze culturali, ibid., 25-8- 1988; e GIANFRANCO MORRA, La coerenza degli orizzonti, ibid., 28-8-1988. Contra, cfr. la dichiarazione del responsabile dell’ufficio culturale della DC, Paolo Prodi: «Spero che questo fidanzamento tra Cl e Psi si concluda con il matrimonio. Magari già alle prossime elezioni europee. Sarebbe un duplice chiarimento, da un lato per il pluralismo dei cattolici, dall’altro per colpire alle fondamenta il tentativo di trasformare la DC da partito di ispirazione cristiana in partito confessionale» (ibid., 28-8- 1988). È da notare come — ben consapevole almeno di uno dei termini della problematica — il padre gesuita Bartolomeo Sorge abbia chiamato i vescovi italiani a salvaguardare l’unità politica dei cattolici nella DC: «Con la loro autorevolezza potrebbero infatti riuscire, attraverso una serie di colloqui e di mediazioni, a sbloccare questa incresciosissima situazione. […] Purtroppo tutto nasce da una diversa interpretazione del rapporto tra fede e storia» (ibid., 28-8-1988). Come si vede, il problema non nasce da poco né da un contenzioso, almeno in tesi, facilmente trasformabile in oggetto di transazioni all’insegna del pragmatismo!
(4) Cfr. il mio Appunti sulla storia e sul «progetto» dei «cattolici democratici», in Cristianità, anno XVI, n. 156-157, aprile-maggio 1988.
(5) DON LUIGI STURZO, Scritti storico-politici (1926-1949), Cinque Lune. Roma 1984, p. 104.
(6) Ibid.. p. 105.
(7) «Benefica azione cristiana in favore del popolo»: è la definizione proposta da PAPA LEONE XIII. Enciclica Graves de communi, del 18-1-1901, in Il laicato, Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1962, pp. 178-179.
(8) cfr. ESTANISLAO CANTERO NUNEZ, Evoluzione del concetto di democrazia, in Quaderni di «Cristianità», anno 1, n. 3, inverno 1985, pp. 14-33.
(9) Secondo Danilo Veneruso. «l’impostazione di Sturzo aveva la caratteristica di dividere l’Azione Cattolica. Era stato il segretario della giunta direttiva dell’Azione Cattolica a emarginare l’attività di coloro che non condividevano il suo programma o la necessità di fondare un partito»; così «restavano fuori dall’appello di Sturzo sia coloro che non desideravano la fondazione di un partito, per di più aperto ai soli cattolici democratici, sia coloro che desideravano orientare l’Azione Cattolica verso la sola direzione formativa e culturale» (L’Azione cattolica Italiana durante i Pontifìcati di Pio X e di Benedetto XV, A.V.E., Roma 1984. p. 106).
(10) Cfr. il mio L’Unione Elettorale Cattolica Italiana, in Cristianità, anno VIII, n. 67, novembre 1980. Cfr. anche le brevi indicazioni in GIOVANNI CANTONI, La «lezione italiana». Premesse. manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia del1’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980, p. 16.
(11) Il Sabato, annoX, n.24, 13-6-1987, p. 3.
(12) Per quanto riguarda i socialisti, cfr., per esempio, GIANNI BAGET BOZZO, La crisi della DC, in MondOperaio, rivista mensile del Partito Socialista Italiano, anno 41, n. 3, marzo 1988, pp. 4-8; per quanto concerne il Movimento Sociale Italiano-DestraNazionale, cfr. l’intervista al segretario nazionale Gianfranco Fini, in Corriere della Sera, 18-8-1988.Cfr. anche LUCIO COLLETTI, Il voto cattolico in libera uscita, ibid., 28-8-1988.