ERMANNO PAVESI, Cristianità n. 263 (1997)
Introduzione
Il riferimento alla psichiatria da parte dei movimenti cosiddetti anti-sette presenta molteplici aspetti, che, in parte, possono essere compresi solo in una prospettiva più ampia (1). Perciò, prima di affrontare il tema specifico, mi pare di indubbia utilità descrivere anzitutto alcuni sviluppi del rapporto medico-paziente, quindi i problemi della diagnosi psichiatrica e del trattamento coatto, e successivamente l’influenza delle teorie psicanalitiche nel campo della critica alla religione.
I. Aspetti del rapporto medico-paziente in medicina e in psichiatria
Negli ultimi decenni il rapporto medico-paziente si è modificato considerevolmente. Questo cambiamento può essere ben caratterizzato dalla trasformazione di una massima fondamentale della pratica medica: il passaggio da salus aegroti suprema lex a voluntas aegroti suprema lex.
Non è possibile prendere in considerazione tutti gli aspetti di questo cambiamento. Per il tema in esame è importante precisare che, in passato, forse non esisteva necessariamente un conflitto fra uno stile di tipo paternalistico da parte del medico e la volontà del paziente: in molti casi esisteva un rapporto di fiducia fra paziente e medico, e quest’ultimo conosceva le condizioni generali di salute del suo paziente, la malattia attuale, le possibilità terapeutiche: quindi, grazie anche alla conoscenza personale del malato, era in grado di prendere decisioni a suo nome e nel suo interesse. In altri termini, gli obiettivi terapeutici del medico curante corrispondevano alla volontà del paziente.
Oggi, in una società pluralista, non si può dare per scontato che medico e paziente facciano riferimento allo stesso sistema di valori, mentre le trasformazioni nel campo dell’assistenza sanitaria hanno modificato profondamente il loro rapporto, sì che molto spesso non si conoscono e la loro relazione si limita ad alcuni brevi incontri in occasione di una determinata malattia.
Il cambiamento del rapporto medico-paziente, un atteggiamento più critico nei confronti delle istituzioni in genere, della competenza degli specialisti e della scienza ufficiale, e una maggiore sensibilità relativamente ai diritti dell’uomo e alla dignità della persona hanno portato a un maggiore coinvolgimento del paziente nelle decisioni riguardanti accertamenti e cure, riconoscendogli il diritto di dare o meno il proprio consenso dopo essere stato informato adeguatamente. La deontologia medica considera attualmente il consenso informato del paziente presupposto indispensabile di ogni intervento, e lo prevede anche in documenti ufficiali, per esempio nell’articolo 4 dei Principi di etica medica europea (1987): “Salvo il caso d’urgenza, il medico illustrerà al malato gli effetti e le conseguenze prevedibili della terapia. Acquisirà il consenso del paziente, soprattutto quando gli atti proposti comportino un rischio serio. Il medico non può sostituire la propria concezione della qualità della vita a quella del suo paziente” (2).
Lo psichiatra si trova non raramente nella situazione di dover trattare con malati che non si rendono conto, totalmente o in modo adeguato, della propria malattia e quindi non sono d’accordo con la valutazione del loro stato di salute fatta dallo psichiatra e tantomeno con le terapie proposte. Perciò lo psichiatra viene a trovarsi in una situazione di conflitto: pone una diagnosi, è consapevole dell’efficacia di certe terapie ma non riesce a convincere il paziente a sottoporsi alle cure. Anche operatori di altre discipline si trovano in una situazione analoga: pazienti sofferenti di pressione alta, di diabete, di patologie cardiache che sottovalutano i rischi connessi alla loro malattia e non si curano adeguatamente. Ma il caso dello psichiatra è anche diverso in quanto, mentre relativamente ad altre malattie si può dare per scontata la capacità d’intendere e di volere dei pazienti, a proposito di disturbi psichici è doveroso chiedersi se essi compromettano tale capacità, per cui il paziente non è in grado di dare né un consenso valido alle cure, né di opporre a esse un valido rifiuto.
1. Terapia di disturbi o ricerca della “salute”
Molte volte la medicina e la psichiatria moderne vengono accusate d’interessarsi solo di disturbi, di limitarsi al massimo a riparare i difetti della “macchina del corpo”, senza prendere in considerazione l’uomo nella sua totalità. A questo tipo di pratica medica viene contrapposto un approccio olistico, che ha di mira non tanto singoli disturbi quanto la salute dell’uomo nella sua totalità.
In teoria questo orientamento è senz’altro auspicabile ed è profondamente radicato nella storia della medicina, in quanto già nella Grecia antica l’igiene, cioè la teoria e la pratica di una sana condotta di vita, costituiva una delle tre colonne dell’arte medica insieme alla farmacopea e alla chirurgia. D’altra parte si deve sottolineare che il concetto di salute dipende dalla concezione che si ha dell’uomo, e presuppone una visione antropologica, filosofica e religiosa ben definita. Nella situazione attuale — già indicata — è possibile che l’ideale di salute del terapeuta faccia riferimento a una concezione dell’uomo diversa da quella del paziente, con il rischio che il medico — per usare l’espressione dei Principi di etica medica europea citata — sostituisca “[…] la propria concezione di qualità della vita a quella del suo paziente”.
Nonostante tutti i suoi limiti e il suo riduzionismo, il fatto di limitarsi a prendere in considerazione e a trattare solo disturbi ben definiti può presentare vantaggi ed essere più trasparente.
Si deve anche sottolineare che, nel corso della storia della psichiatria, vi sono state divergenze relativamente alla classificazione dei disturbi, alle loro cause, ai fattori favorenti e all’approccio terapeutico.
Già per quanto riguarda i criteri diagnostici vi sono state talvolta divergenze considerevoli. In certi casi si è trattato di questioni accademiche e d’interesse puramente specialistico, altre volte queste differenze hanno avuto ripercussioni anche gravi. Basti pensare, per esempio, alla differenza esistente negli anni passati fra paesi occidentali e Unione Sovietica a proposito dei criteri per la diagnosi di schizofrenia, sulla base dei quali dissidenti politici vennero diagnosticati come “schizofrenici” e sottoposti a trattamento coatto in ospedali psichiatrici (3).
Negli ultimi anni si è cercato di trovare un consenso sulle diagnosi psichiatriche, allo scopo elaborando criteri diagnostici operazionalizzati, in modo da escludere, per quanto possibile, elementi soggettivi.
Sono stati sviluppati, per esempio, la ICD — International Classification of Diseases/Classification Internationale des Maladies-CIM — dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e il DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association, giunto nel 1994 alla quarta edizione (4).
L’uso di criteri diagnostici operazionalizzati dovrebbe consentire che una determinata diagnosi — anche se posta da diverse persone — corrisponda sempre allo stesso quadro clinico e non dipenda invece dalla concezione personale che ciascuno ha della malattia.
2. Ripercussioni della diagnosi
Il profano tende molto spesso a semplificare i problemi connessi ai provvedimenti che possono essere presi nel caso di disturbi psichici: la diagnosi stessa consentirebbe automaticamente di prendere una serie di provvedimenti, come interdizione, ritiro della patente di guida, trattamento sanitario obbligatorio, e così via. Decisioni automatiche di questo tipo non sono possibili, in quanto ogni volta è necessario un esame accurato del singolo caso, delle manifestazioni cliniche e delle loro ripercussioni a riguardo di una determinata condotta. Solo allora sarà possibile dare un giudizio, per esempio, sull’idoneità, sulla capacità, sulla responsabilità di una persona, e proporre od ordinare provvedimenti precisi. Provvedimenti e trattamenti psichiatrici devono tanto più essere giustificati e fondati su conoscenze certe quanto più vengono decisi contro la volontà dell’interessato. Quindi, trattamenti psichiatrici contro la volontà dell’interessato sono giustificati solo da motivi molto gravi: non è sufficiente porre una diagnosi psichiatrica, ma è necessario che esista una condizione di pericolosità per sé o per gli altri, per esempio una grave tossicodipendenza o il fatto che il paziente, a causa della sua malattia, si trovi in condizioni di grave abbandono.
Se gli specialisti sono in linea di massima d’accordo che tali situazioni giustificano un intervento coatto, esistono divergenze sulla natura e sulla portata di questo intervento. Mentre per alcuni una tale situazione autorizza un trattamento psichiatrico vero e proprio, altri distinguono nettamente fra la cura della malattia e interventi mirati unicamente a impedire certe conseguenze di tale malattia: per esempio, nel caso di pericolosità momentanea nel corso di un episodio schizofrenico, sarebbero giustificati solamente quegli interventi limitativi della libertà o compromettenti l’integrità della persona atti a proteggere la società dall’aggressività del soggetto, come — ancora per esempio — il ricovero in un reparto chiuso o la somministrazione di farmaci per sedare gravi crisi di agitazione, ma non sarebbe legittimo un trattamento della malattia di base contro la volontà del soggetto. In altri termini, la società ha il diritto tanto di proteggersi contro la pericolosità del malato quanto di proteggere l’ammalato contro la propria autoaggressività, ma questi ha il diritto di rifiutare il trattamento della propria malattia.
Il fatto che l’autorità competente abbia ordinato un trattamento coatto non esime poi dal dovere di rispettare, per quanto possibile, la volontà dell’interessato, per esempio circa la scelta del medico curante o dell’istituto di cura.
II. Psicopatologia della religione
È noto da tempo che vi sono rapporti fra patologia psichica e vita religiosa. Si possono citare, per esempio, le istruzioni per l’esorcismo previste dal Rituale romanum della Chiesa cattolica del 1614: esso richiedeva che l’esorcista conoscesse i sintomi della malinconia e di altri stati patologici. Questo riferimento è molto interessante in quanto nel secolo XVI si era diffusa una concezione che considerava la malinconia come una manifestazione di possessione diabolica. Di qui la necessità per la Chiesa cattolica di fornire criteri per evitare che malattie psichiatriche fossero demonizzate e persone sofferenti di disturbi psichici, in particolare di depressione, venissero sottoposte a esorcismo.
Un tema trattato molto frequentemente dalla teologia morale è quello della “scrupolosità”, cioè di quei sensi di colpa eccessivi che non trovavano sollievo né nella direzione spirituale, né nella confessione sacramentale, riconducibili a una patologia della coscienza morale. Come si vedrà più avanti esiste una diversità sostanziale fra questa concezione e la critica psicanalitica, in quanto per quest’ultima ogni conflitto morale è di tipo nevrotico.
1. Alcuni temi controversi: conversione, fede e delirio
La psichiatria moderna, nata nel secolo XIX, si è occupata di diversi temi di psicologia religiosa. In questa sede è possibile solo accennare a qualcuno:
— la conversione religiosa determina un cambiamento spesso radicale della visione del mondo e del comportamento di una persona. La conversione è stata talvolta interpretata in senso patologico: la trasformazione rapida e talvolta radicale di una persona, con un cambiamento d’interessi e di abitudini, sarebbe riconducibile a un processo morboso.
Effettivamente nel corso di disturbi psichici possono comparire anche temi religiosi. Per esempio, i sensi di colpa di un paziente depresso possono portarlo a confrontarsi in modo molto più intenso del solito con il problema della colpa e della pena in senso religioso. Nel corso di certe forme di schizofrenia la trasformazione della percezione abituale della realtà circostante induce a sospettare dietro alla realtà percepita l’esistenza di una dimensione nascosta, di un complotto ma anche di una dimensione trascendente; in certi casi il paziente cerca di spiegare la sua percezione patologica della realtà con teorie scientifiche, ma anche filosofiche o religiose, spesso mal comprese. In alcuni casi può essere difficile stabilire se questo particolare interesse per la religione sia prodotto da una malattia psichica da cui consegue un cambiamento della personalità, oppure se si tratti di una conversione autentica.
Lo psichiatra tedesco Hans Jörg Weitbrecht, in uno studio molto convincente, sottolinea come ogni persona sia in un continuo processo di maturazione, con un mutamento corrispondente della personalità, per cui anche la trasformazione psichica in seguito a una conversione non può essere considerata di per sé come patologica, ma solo se esistono contemporaneamente sintomi che corrispondono a un determinato disturbo psichico (5).
— Delirio, fede e superstizione: vi sono psichiatri che hanno considerato tutte le concezioni metafisiche come proiezioni di contenuti psichici, come illusioni senza un correlato reale. Essi hanno quindi negato una differenza sostanziale fra fede, superstizione e idee deliranti. Già in passato i criteri diagnostici per le malattie mentali erano sufficientemente elaborati e non si prestavano ad abusi; recentemente anche il DSM-IV ha preso posizione al proposito, come si vedrà successivamente.
La critica alla religione con argomenti psichiatrici e psicologici non sembra essere diminuita nel corso del tempo, anzi pare piuttosto crescere di livello. Ma non per questo si può affermare tout court che la psichiatria o la psicologia costituiscano un pericolo per la religione, ma solamente che sono pericolose alcune correnti psicologiche, psicoterapeutiche e psichiatriche, soprattutto quelle che si ispirano alle teorie di Sigmund Freud, cioè alla psicanalisi. Al contrario, il richiamo a categorie e a criteri diagnostici psichiatrici riconosciuti internazionalmente può fornire un valido aiuto per prevenire abusi.
Basti ricordare le importanti precisazioni contenute nel DSM-IV e altrove (6):
— nel glossario dei termini tecnici, dopo aver definito il delirio come falsa credenza, viene precisata un’importante condizione perché si possa parlare di delirio, cioè che “la convinzione non è di quelle ordinariamente accettate dagli altri membri della cultura o sub-cultura della persona (per es., non è un articolo di fede religiosa)” (7). È un grave errore considerare una credenza religiosa di questo tipo come un delirio e quindi come un sintomo di una malattia;
— nel capitolo dedicato alla schizofrenia viene precisato che “idee che possono sembrare deliranti in una cultura (per es., stregoneria e arti magiche) possono essere considerate comuni in un’altra. In certe culture, le allucinazioni visive o uditive con un contenuto religioso possono rappresentare una parte normale dell’esperienza religiosa (per es., vedere la Vergine Maria o udire la voce di Dio)” (8).
Benché come psichiatra ritenga che certi tipi di “allargamento di coscienza”, magari indotti artificialmente, possano presentare rischi per l’equilibrio psichico (9), e indipendentemente dal giudizio enunciabile a proposito di forme di religiosità che attribuiscono un grande valore a fenomeni particolari — visioni, fenomeni somatici, glossolalia, e così via —, non si possono affatto equiparare, come il DSM-IV giustamente precisa, tali fenomeni ai sintomi di una malattia mentale, eventualmente di tipo schizofrenico.
2. L’apporto della psicanalisi
L’importanza della psicanalisi nell’attuale critica alla religione è stata sottolineata, almeno in riferimento alla Chiesa cattolica, dal teologo-psicoterapeuta tedesco Eugen Drewermann: “Pare che oggi sia essenzialmente la psicanalisi a corrodere all’interno e a far crollare il sistema clericale della Chiesa cattolica, e questo non perché i suoi rappresentanti (un pugno di medici) siano particolarmente aggressivi nel criticare la Chiesa, ma perché l’esperienza della terapia psicoanalitica, tesa a rendere possibile una vita più sana, conferma ogni giorno le tesi filosofiche espresse nell’Ottocento da Feuerbach, Marx e Nietzsche: la religione cristiana rappresenta una forma di alienazione della coscienza, uno stato patologico tanto della società quanto dell’individuo” (10).
Secondo la teoria psicanalitica la coscienza morale, il Super-Io, di ogni individuo si formerebbe nella prima infanzia, nella situazione di soggezione, di dipendenza e di paura nei confronti del padre. Questa istanza morale interiorizzata impedirebbe al bambino di vivere i propri istinti, mantenendo inconsce le rappresentazioni mentali corrispondenti. Si avrebbe così la prima scissione psichica fra conscio e inconscio, con la formazione di una coscienza non corrispondente alla totalità della psiche e con la nascita del conflitto psichico fra istanze morali ed esigenze istintuali. Questa situazione costituirebbe il nucleo originario della religione e della nevrosi. Nelle fasi successive dello sviluppo la scissione psichica sarebbe aggravata dall’influenza di altre istanze, come la scuola, lo Stato e la Chiesa.
Le teorie di origine psicanalitica attribuiscono un’importanza fondamentale alla fase adolescenziale, nella quale il giovane incomincia a emanciparsi dai genitori e a mettere in discussione i valori e i modelli che gli sono stati proposti nel corso dell’educazione.
Anche una psicologia della religione non di tipo psicanalitico sottolinea la necessità di una maturazione della persona pure nel campo della fede, con il passaggio da una forma di religiosità infantile a una più matura, ma gli psicologi di orientamento psicanalitico sono estremamente critici nei confronti di ogni forma di trascendenza per cui considerano come patologico il fatto che l’adulto creda a realtà trascendenti e alla Provvidenza, come intervento di Dio nella storia, preghi un Essere assoluto indipendente dall’uomo, e si assoggetti a un ordine morale di valore assoluto e universale.
Ancora: secondo le teorie di tipo psicanalitico il giovane dovrebbe non solo emanciparsi esteriormente dai genitori, ma anche da tutti i valori recepiti nel corso dello sviluppo, quindi dovrebbe rinunciare alla morale del Super-Io, eliminando la scissione psichica prodotta dalla rimozione. Per quanto riguarda la religione il giovane dovrebbe riconoscere che i contenuti della religione sono solo proiezioni psichiche e che non hanno un correlato reale.
Ma se il giovane resta legato ai valori morali della religione e continua a praticare una religiosità di tipo tradizionale questo viene interpretato in senso patologico, come una mancata emancipazione, come un arresto dello sviluppo psichico dovuto a insicurezza, a sensi di inferiorità e alla paura di affrontare da solo la realtà. Secondo certi autori proprio queste caratteristiche porterebbero alcuni giovani ad aderire a nuovi movimenti religiosi: incapaci di assumere le responsabilità da adulti e di diventare autonomi, cercherebbero rifugio in un nuovo movimento religioso. Mortimer Ostow ha teorizzato l’esistenza di una “cultic personality”: “Il giovane teme la società aperta con i suoi obblighi senza fine e pericoli indefiniti e si sente protetto in un gruppo piccolo e chiuso con la sua disciplina rigida e compiti ben definiti” (11).
Queste considerazioni possono essere accettate al massimo come ipotesi di lavoro per l’interpretazione di alcuni casi, in quanto si può riscontrare addirittura il contrario: può essere necessaria una buona dose di coraggio per entrare in conflitto con la propria famiglia e con i valori fondamentali della società in cui si vive e per aderire a un piccolo gruppo che si oppone in modo energico alla società circostante.
Alcuni autori attribuiscono un valore assoluto all’autonomia dell’individuo: l’uomo o sarebbe autonomo, cioè agirebbe in base alla propria convinzione e secondo norme proprie, o si sottometterebbe a leggi che gli vengono dettate dall’esterno, cioè sarebbe eteronomo. In quest’ultimo caso l’uomo rinuncerebbe alla propria libertà, sarebbe “dipendente”, e il suo comportamento non sarebbe più libero. Al concetto di dipendenza viene attribuito poi un significato più generale, così allargato da comprendere anche quello di tossicodipendenza.
La persona non autonoma è quindi dipendente e questa dipendenza si può manifestare tanto nei confronti di persone, di idee, quanto di sostanze chimiche. Questa equiparazione consente pure di applicare le categorie della tossicodipendenza a ogni tipo di rapporto di dipendenza, per esempio all’adepto in un nuovo movimento religioso: “Fra la tossicodipendenza e il settarismo esistono somiglianze palesi” (12); “Chi è soggetto alla setta non può più agire liberamente; viene coinvolto in una spirale di dipendenza e d’assuefazione all’organizzazione che lo guida” (13). Tesi simili possono giustificare provvedimenti contro un adepto di un nuovo movimento religioso, considerato come “dipendente” che deve essere curato da questo particolare tipo di dipendenza. Si può notare inoltre che il confronto della fede religiosa con forme di tossicodipendenza ha un precedente famoso nell’espressione di Karl Marx “La religione […] è l’oppio del popolo” (14).
3. Erich Fromm e la distinzione fra religioni “autoritarie” e “umanistiche”
La critica attuale alla religione e ai nuovi movimenti religiosi può essere compresa meglio avendo presenti le teorie formulate dallo psicanalista Erich Fromm e, in particolare, la sua distinzione fra religioni “autoritarie” e “umanistiche”.
Fromm definisce le religioni autoritarie nel modo seguente: “Il principio su cui si basano le religioni autoritarie è espresso assai chiaramente nella definizione della parola religione che si può leggere nell’Oxford Dictionary. L’intenzione è di definire la religione in generale; e questa sarebbe “il riconoscimento da parte dell’uomo di un potere superiore e invisibile da cui dipende il suo destino e che ha diritto a essere obbedito, riverito e adorato”.
“[…] L’elemento essenziale nelle religioni autoritarie è l’abbandono a un potere trascendente. In esse la virtù cardinale è l’obbedienza, il vizio capitale la disubbidienza” (15).
Le religioni umanistiche sono completamente diverse: “Invece la religione umanistica fa perno sull’uomo e sulle sue possibilità […]. Al centro di questa specie di religione c’è l’esperienza della propria unità col Tutto […]. Qui lo scopo ultimo è quello di diventare il più forti possibile, e non già l’opposto; la virtù chiave è la capacità di autorealizzarsi, non quella di obbedire; la fede si definisce una convinzione sicura basata sulle proprie esperienze di creatura che pensa e che sente, non già assenso a certe proposizioni di fonte infinitamente autorevole. Il clima dominante della religione umanistica è un clima di gioia; in quella autoritaria, di dolore e di colpa.
“Quelle tra le religioni umanistiche che sono anche teistiche, propongono l’immagine di un Dio che è simbolo del potere dell’uomo, e non già un emblema di forza tirannica di cui l’uomo è in potere.
“Religioni umanistiche sono il buddismo, il taoismo, gli insegnamenti di Isaia, di Gesù, di Socrate, di Spinoza; e inoltre certi tratti della religione ebraica, certi tratti di quella cristiana (il misticismo, soprattutto), e il culto della Ragione della rivoluzione francese. Non importa qui che alcuni di questi sistemi siano teistici e altri no; né che soltanto alcuni siano religiosi in senso stretto” (16).
Una forma di religiosità autoritaria presuppone un carattere autoritario, ma “i nostri pensieri e sentimenti sono radicati in ciò che chiamiamo il nostro carattere; e questo dipende dalla struttura generale della vita che viviamo, ossia dall’ambiente sociale, economico e politico a cui appartiene” (17).
Il carattere autoritario è quindi il prodotto di una particolare struttura di tipo autoritario tanto della famiglia quanto della società, che ha prodotto anche un’educazione autoritaria.
Le considerazioni di Fromm sull’interdipendenza fra famiglia, carattere del singolo, struttura sociale e comportamento religioso di tipo autoritario aiuta a comprendere certi aspetti della critica alla religione, che viene inserita in un contesto più ampio del problema dell’”autoritarismo”. Interventi anti-autoritari sono possibili a tutti i livelli:
— intervento sulla famiglia, anche legislativo;
— critica di forme tradizionali di educazione, screditate come autoritarie e come focolaio di violenza, a favore di uno stile anti-autoritario;
— psicoterapia del singolo;
— intervento a livello politico;
— interventi all’interno della religione a vari livelli, teologico, pastorale, e così via.
L’adesione a un nuovo movimento religioso viene considerata come un’accentuazione degli elementi autoritari del carattere, che sarebbero rinforzati tanto dal tipo di religiosità quanto dalla struttura del nuovo movimento religioso. L’adepto di un nuovo movimento religioso viene quindi visto come un potenziale pericolo sociale a causa del suo carattere “autoritario”.
4. Una proposta per inquadrare la critica psicologica alla religione
Massimo Introvigne propone una “[…] tipologia di carattere dottrinale che distingue diverse ondate di nuove religioni, a seconda del loro rapporto con la visione del mondo cattolica e con i suoi elementi caratteristici: la Chiesa, il ruolo unico di Gesù Cristo, Dio, il senso religioso come modo specifico di porsi in rapporto con il sacro” (18).
Ho già applicato questa tipologia per inquadrare anche la critica psicologica alla religione, non solo a quella cattolica (19). Infatti:
— il rifiuto della Chiesa viene giustificato con il fatto che l’appartenenza alla Chiesa costituirebbe una forma di regressione, di infantilismo. Il rapporto di dipendenza dall’autorità ecclesiastica impedirebbe lo sviluppo della personalità;
— il rifiuto di Cristo è motivato dal fatto che la Cristologia e, soprattutto, la Teologia della Croce porterebbero all’accettazione del sacrificio e della sofferenza. Si tratterebbe di un atteggiamento di tipo masochistico, ostile alla vita, a tutte le sue manifestazioni e alle sue gioie;
— il rifiuto di Dio è la conseguenza della tesi secondo cui Dio sarebbe solo una proiezione, l’immagine paterna idealizzata. Il rapporto Dio-uomo viene rovesciato. Non è l’uomo a essere creato da Dio, ma Dio dall’uomo;
— il rifiuto della religione dipende dalla convinzione che ogni forma di trascendenza è il prodotto di una scissione psichica, che a sua volta contribuirebbe a stabilizzare tale scissione. Ogni religione sarebbe una forma di alienazione.
Come accennato, questa tipologia è valida anche per la religione in generale, in quanto vengono criticati, per esempio:
— il riconoscimento di un’autorità spirituale;
— l’accettazione di norme morali che pongono limiti all’”autorealizzazione”;
— la fede in un Essere assoluto;
— la fede in una realtà trascendente.
Queste forme di religiosità sarebbero di tipo regressivo e impedirebbero all’individuo di maturare psichicamente compromettendone l’autonomia.
L’utilizzo di categorie di tipo psicanalitico si può rivelare molto pericoloso, in quanto vengono patologizzati comportamenti religiosi correnti:
— Drewermann sostiene, per esempio, che “[…] l’uomo, quando prega il suo Dio, dal punto di vista psicodinamico rafforza prima di tutto il suo Super-Io” (20).
— dal punto di vista della psicologia analitica di Carl Gustav Jung la petizione nel Padre nostro cristiano “ma liberaci dal male” fissa solamente la scissione interiore fra coscienza e ombra, ostacolando l’integrazione di quest’ultima e la cosiddetta coniunctio oppositorum.
In questa prospettiva non vi è solo il pericolo che la vita religiosa venga patologizzata, ma anche che ogni forma di patologia venga considerata di origine religiosa. Non mancano al proposito esempi inequivocabili come l’affermazione di Fromm secondo cui, “osservando e interpretando i pensieri e i sentimenti del paziente — che è poi il suo “laboratorio” — lo psicanalista s’accorge che, quando si mette a studiare le nevrosi, ciò che egli studia è in realtà la religione” (21).
Un’affermazione simile mostra la totale divergenza fra l’approccio psicanalitico e quello psichiatrico al problema del rapporto fra religione e salute mentale: l’approccio psicanalitico parte da un concetto proprio della nevrosi e la considera come di origine religiosa.
La psichiatria invece prende in considerazione quadri clinici ben definiti, con criteri diagnostici operazionalizzati e accettati a livello internazionale, e affronta così il rapporto fra religione e disturbi psichici nei singoli casi. Per esempio, un gruppo di ricercatori ha esaminato tutti gli articoli pubblicati su due delle più importanti riviste psichiatriche americane dal 1978 al 1989 nei quali veniva preso in considerazione il ruolo svolto dalla religione su disturbi psichici. Questo studio ha mostrato che nel 72% dei casi veniva riportata un’influenza positiva, nel 16% negativa, mentre nel 12% non era stata né positiva né negativa (22).
III. Uso della psichiatria nella problematica dei nuovi movimenti religiosi
La comparsa e la diffusione di nuovi movimenti religiosi è un fenomeno più o meno costante nella storia della civiltà umana, ma è possibile che esso assuma nelle varie epoche caratteristiche peculiari. L’attuale fase di diffusione dei nuovi movimenti religiosi, messa in relazione fra l’altro con la crisi della fede nella razionalità e con il passaggio dalla modernità alla post-modernità, può essere fatta risalire agli inizi degli anni 1970.
1. La teoria del “lavaggio del cervello”
La fioritura dei nuovi movimenti religiosi ha disorientato tanto i fautori della modernità, che consideravano il processo di secolarizzazione come un’acquisizione definitiva e irreversibile, quanto i rappresentanti delle confessioni maggioritarie, che dovevano prendere atto da una parte di segni di disaffezione dei propri fedeli e dall’altra dei successi crescenti di alcuni nuovi movimenti religiosi. Di questo fenomeno non riuscivano a dar conto l’analisi corrente della società e gli scenari previsti per il futuro — espressi per esempio nell’opera La città secolare di Harvey G. Cox (23) —, e già nel 1971 le tecniche di reclutamento e di formazione dei nuovi movimenti religiosi vennero paragonate a quelle descritte come “riforma del pensiero” e “lavaggio del cervello”, utilizzate da alcuni autori per spiegare lo stato mentale di soldati americani dopo un lungo soggiorno in campi di prigionia (24). Per spiegare il successo di alcuni nuovi movimenti religiosi per molti anni è stata utilizzata questa teoria, basata su alcuni presupposti fondamentali:
— l’adesione a un nuovo movimento religioso è irrazionale e non può essere spiegata in termini di psicologia normale;
— un atto come l’adesione a un nuovo movimento religioso non potrebbe essere il frutto di una scelta libera e responsabile, ma si deve dare per scontato che tale scelta sia stata estorta per mezzo di una manipolazione massiccia, di coercizione psichica se non addirittura di un “lavaggio del cervello”;
— i nuovi movimenti religiosi non presentano aspetti positivi, il loro unico scopo è quello di fare proselitismo per aumentare la propria potenza e influenza nella società;
— per mantenere la coesione del gruppo e per evitare defezioni il nuovo movimento religioso si è dotato di un apparato e di un regime coercitivo particolare, che mantengono gli adepti in uno stato di dipendenza e di soggezione;
— gli adepti sono unicamente strumenti per la realizzazione delle idee di grandezza del fondatore del gruppo e vengono sfruttati a tale scopo.
Fin dagli inizi vi sono stati però anche altri autori che hanno messo in discussione tanto la validità del concetto di “lavaggio del cervello” quanto la sua applicazione indiscriminata a situazioni totalmente diverse dai campi di prigionia. Non si tratta di negare gli effetti di condizionamenti psichici, e neanche i danni psichici prodotti da gravi condizioni di prigionia, ma solo che queste tecniche siano davvero adottate dai nuovi movimenti religiosi accusati di impiegarle e che possano trasformare una persona, contro la sua volontà, in un adepto modello, che si identifica totalmente con il nuovo movimento religioso.
Nel corso degli anni i sostenitori della teoria del “lavaggio del cervello” hanno cercato di evidenziare tutti i fattori favorevoli a un’accettazione acritica dell’indottrinamento, spostando l’accento dalla costrizione fisica a fattori psicologici più sottili, come la separazione dal proprio mondo d’origine, creando una condizione di deprivazione, e l’uso di tecniche di suggestione. In questo modo sarebbe possibile indurre uno stato di alterazione dello stato di coscienza, che diminuirebbe o impedirebbe l’uso della ragione, il senso critico e la capacità di giudizio, rendendo il soggetto totalmente manipolabile. Tale stato alterato di coscienza viene paragonato a quello che può essere indotto per mezzo dell’ipnosi.
Secondo lo psicologo tedesco Bernhard Grom, anche se l’ipotesi del “lavaggio del cervello” non è più sostenibile, essa “[…] ha attirato l’attenzione su tecniche d’influenzamento che vengono applicate in gruppi autoritari” (25).
Se è apprezzabile il fatto che la teoria del “lavaggio del cervello” non venga più considerata come sostenibile, si deve denunciare il pericolo che lo stesso concetto venga proposto sotto un’altra etichetta, come per esempio quello di “persuasione coercitiva”. La questione fondamentale è se vi sono tecniche d’influenzamento tali da consentire di soggiogare completamente la volontà di una persona.
Lo psichiatra francese Jean-Marie Abgrall ha pubblicato nel 1996 l’opera sul tema più diffusa negli ambienti anti-sette francofoni, La Mécanique des sectes. Benché essa, destinata al grande pubblico, non sia particolarmente originale — si limita a ripetere tesi del movimento anti-sette americano, già oggetto di severe critiche negli ambienti scientifici negli anni 1980 e oggi ampiamente screditate —, il dottor Abgrall è stato chiamato a far parte dell’Osservatorio delle Sette costituito dal governo francese nello stesso 1996 e le sue teorie, divulgate dalle associazioni anti-sette di vari paesi, hanno influenzato decisioni di tribunali e proposte di legge, come quella formulata nell’Audit sur les dérives sectaires, preparato da un gruppo di giuristi per il Dipartimento di Giustizia e Polizia e dei Trasporti del Cantone di Ginevra, in cui si ipotizza la creazione di un delitto di “destabilizzazione mentale” (26).
Abgrall considera la persuasione coercitiva come una caratteristica fondamentale delle cosiddette “sette coercitive” — “Una setta coercitiva (SC) è una struttura di gruppo chiuso, fondata sulla manipolazione mentale, organizzata attorno a un maestro (guru) e a un’ideologia” (27) —; ma, in un passaggio successivo, viene attribuita a tutte le cosiddette sette: “La setta coercitiva, SC, si qualifica per il suo carattere costrittivo e per l’assenza di libertà che ne deriva. Tuttavia questa differenza è aleatoria, perché la sopravvivenza di ogni setta comporta l’applicazione agli adepti di una disciplina perfetta; è ineluttabile che evolva verso la coercizione” (28).
Queste considerazioni sono molto problematiche, in quanto il paradigma della “persuasione coercitiva” viene esteso a tutte le cosiddette “sette”, perché Abgrall dà per scontato che esse non potrebbero sopravvivere senza tali tecniche. Vi è il rischio che situazioni limite diventino il modello per interpretare e per giudicare non solo tutti i nuovi movimenti religiosi, ma anche determinate forme di religiosità all’interno delle grandi religioni.
2. Informazione o manipolazione
Le opere contro i nuovi movimenti religiosi descrivono senz’altro alcuni elementi importanti. È indubbiamente utile, per esempio, mostrare che certe “offerte” come diete, tecniche di rilassamento, terapie “dolci” e così via non sono sempre neutrali, ma comportano talvolta una visione dell’uomo e del mondo di natura religiosa. Effettivamente vi è il rischio che un consumatore ignaro venga accostato gradualmente a un contesto culturale, che forse avrebbe respinto se agli inizi gli fosse stato mostrato chiaramente (29).
A questo proposito si possono evidenziare alcune questioni.
a. Informazione incompleta, scorretta e sleale
A questo livello può essere già utile l’applicazione di leggi a protezione del consumatore, di modo che l’informazione sui prodotti offerti sia completa.
È pure senz’altro auspicabile che centri specializzati approfondiscano il retroterra culturale e religioso di certe offerte e mettano a disposizione del potenziale consumatore ulteriori informazioni.
b. Tecniche utilizzate per la propaganda
In alcune opere anti-sette viene denunciato il fatto che propaganda e proselitismo non vengono lasciati al caso o all’improvvisazione dei singoli, ma seguono tecniche precise e sofisticate.
Nell’opera di proselitismo le tecniche di persuasione usate sarebbero tali da compromettere l’autonomia del singolo, arrivando alla persuasione coercitiva e alla manipolazione totale.
3. Limiti di questa concezione
La critica ai nuovi movimenti religiosi denuncia spesso che:
— l’adesione sarebbe dovuta a motivi irrazionali;
— l’adepto si troverebbe in un rapporto di dipendenza;
— la presenza di disturbi psichici dimostrerebbe la pericolosità del nuovo movimento religioso per la salute psichica.
Tali critiche si prestano però ad alcune considerazioni.
a. Razionalismo
L’attività razionale qualifica l’uomo, ma non esaurisce la complessità della sua natura e della sua attività psichica. Fattori come l’intuizione, l’affettività e la fantasia possono, in molti casi, svolgere un ruolo fondamentale nelle scelte umane. L’adesione a un gruppo religioso, per esempio, può dipendere non solo da considerazioni razionali sulla sua dottrina, ma anche dall’atmosfera del gruppo con cui si entra in contatto, dal modo di stare insieme e dal tipo di liturgia.
In questo contesto può anche rientrare il problema del love bombing: l’accoglienza calorosa che un gruppo riserva alla persona che vi si accosta.
Abgrall sostiene ripetutamente la totale irrazionalità dei nuovi movimenti religiosi: “Queste aberrazioni di giudizio si ritrovano in ogni settore del pensiero, e attorno a esse si costruiscono i ragionamenti paralogici della setta” (30). L’affermazione è insostenibile: se i nuovi movimenti religiosi presentassero solo elementi irrazionali non sarebbero stati in grado di creare organizzazioni internazionali e articolate in attività molteplici come comunità religiose, centri culturali e imprese commerciali. E proprio queste attività esterne, con le loro finalità e con la loro efficienza, possono impressionare e attirare persone estranee al nuovo movimento religioso.
b. Sopravvalutazione del concetto di autonomia dell’individuo
Talvolta viene dato molto risalto all’autonomia dell’individuo, e al fatto che la fede e le regole di un nuovo movimento religioso ridurrebbero il neofita in uno stato di dipendenza. Certe considerazioni presuppongono una netta dicotomia: autonomia/dipendenza. Come se esistessero solamente una condizione di totale autonomia o di dipendenza completa. Di fatto l’uomo è sottoposto per tutta la sua vita a una serie di influenze, momentanee o durature. Questo vale tanto per i giovani che entrano in un nuovo movimento religioso quanto per gli altri: gli uni si ispirano a modelli proposti dal nuovo movimento religioso, gli altri sono sottoposti alle influenze e alle pressioni della società, delle mode e dei gruppi di cui fanno parte. Ogni persona però è caratterizzata da un nucleo centrale della propria individualità, da un Io che non subisce supinamente le influenze esterne, ma che è capace di confrontarsi con i modelli che gli vengono proposti ed eventualmente di rifiutarli.
c. Utopia della salute perfetta
Caratteristica di molte ideologie moderne è la cosiddetta utopia della salute perfetta. La malattia sarebbe di natura sociale o culturale e quindi eliminabile (31). Il riscontro di disturbi indicherebbe l’esistenza di fattori patogeni nell’ambiente.
La scienza medica sa che certe patologie sono diffuse e che varia solo la loro incidenza a seconda dei paesi, dei gruppi sociali, delle professioni e così via. Il fatto di riscontrare casi di disturbi in un determinato gruppo non autorizza a ipotizzare fattori patogeni nel gruppo stesso. Solo un confronto con l’incidenza in altri gruppi può mostrare se esistono fattori che favoriscono o meno una determinata patologia.
Di fatto alti e bassi, ansie, preoccupazioni, entusiasmi e frustrazioni, insicurezze, bisogno impellente di autonomia e nostalgia di una situazione di dipendenza sono elementi costitutivi della natura umana.
In un capitolo dell’opera La Mécanique des sectes, intitolato Le patologie indotte dalla manipolazione settaria, Abgrall elenca una serie di disturbi che possono essere riscontrati negli adepti durante la loro appartenenza a un nuovo movimento religioso o dopo una eventuale uscita (32). Non è corretto considerare automaticamente tali disturbi come causati dalla “manipolazione settaria”, in quanto per alcuni di questi quadri non esiste necessariamente un rapporto causale con l’appartenenza alla “setta”, in altri tale rapporto può non aver nulla a che fare con la manipolazione, vera o presunta.
Si prendano in considerazione, per esempio, i “fenomeni depressivi” dopo l’abbandono della “setta” (33). Ci si trova di fronte a una reazione psichica che si può osservare con una certa frequenza dopo la rottura di una rapporto di una certa importanza: per esempio, in giovani che si sono impegnati e anche sacrificati per anni nello studio, nello sport o in un’associazione sperando di poter conseguire certi risultati quando cessano l’attività dopo aver riconosciuto di non aver raggiunto il loro scopo. Non è quindi legittimo attribuire tale reazione a una presunta azione manipolatrice del nuovo movimento religioso.
Per alcuni disturbi psichici Abgrall indica in nota a quale disturbo si riferisce secondo la classificazione del DSM-IV, che però viene utilizzato talvolta in modo arbitrario, senza tener conto delle raccomandazioni contenute nel testo. L’autore sostiene, per esempio, che la scissione fra “irreale settario” e reale sociale, così come esperienze mistiche o pseudo-mistiche intense porterebbero a “[…] un’alterazione del vissuto, una modificazione della percezione di sé e un senso di estraneità e d’irrealtà caratteristiche dei disturbi di depersonalizzazione” (34). Nella nota corrispondente Abgrall classifica questi stati psichici come “Disturbi dissociativi dell’identità, DSM IV: 300.14. Disturbi della depersonalizzazione, DSM IV: 300.6” (35).
Ora, il Disturbo Dissociativo dell’Identità designa quanto nelle edizioni precedenti del DSM e nella letteratura psichiatrica viene definito come disturbo da personalità multipla; però i fenomeni citati dall’autore in questo passo non corrispondono ai criteri diagnostici del Disturbo Dissociativo dell’Identità.
Mentre gli autori del DSM-IV tengono a precisare che certi stati di alterazione della coscienza provocati volontariamente non devono essere confusi con il Disturbo di Depersonalizzazione descritto sotto il codice 300.6, Abgrall utilizza proprio questa diagnosi per patologizzare tali stati. È dunque problematico anche il riferimento alla diagnosi del Disturbo di Depersonalizzazione in quanto il testo avverte che “esperienze di depersonalizzazione e di derealizzazione indotte volontariamente fanno parte di pratiche di meditazione e di trance presenti in molte religioni e culture e non devono essere confuse col Disturbo di Depersonalizzazione” (36).
Di fatto qui non abbiamo a che fare in primo luogo con un problema psichiatrico, ma filosofico-religioso. Vi sono filosofie che considerano illusoria la distinzione fra Io e realtà esterna, e pretendono che l’uomo cerchi di superare la distinzione fra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, giungendo a un’esperienza di fusione con il Tutto. Non si può equiparare tout court l’ideale di queste filosofie a uno stato patologico di depersonalizzazione.
Arrivato ai disturbi psicotici, cioè a quelli più gravi, Abgrall ne propone una suddivisione in sei stadi di crescente gravità: l’autore avanza l’ipotesi che tale sviluppo si innesti su una personalità di tipo schizoide (37), descrive alcuni sintomi, ma non pone diagnosi precise e non indica neppure a quali quadri del DSM-IV possano essere riferiti. Questa omissione è tanto più deprecabile in quanto proprio i disturbi più gravi possono dar adito a provvedimenti e a terapie coatte. L’autore invece affianca alle patologie conclamate anche “patologie psicotiche silenti”, un concetto questo molto problematico, in quanto consente di etichettare come psicotici quadri che non presentano sintomi conclamati e che quindi può prestarsi ad abusi.
Abgrall sostiene che il nuovo movimento religioso avrebbe una influenza negativa su una personalità già disturbata in precedenza. Al proposito può essere interessante riportare il parere di Silvio Arieti, uno dei maggiori specialisti di schizofrenia a livello mondiale. Dopo aver dichiarato che un certo numero di persone sofferenti di schizofrenia sono attirate da un nuovo movimento religioso, e che la militanza in questi gruppi non ha un effetto terapeutico vero e proprio, ma che, d’altra parte, può aiutare queste persone a non regredire ulteriormente, Arieti svolge osservazioni interessanti: “Per me uno degli aspetti più deplorevoli di questo problema è il fatto che le sette sono riuscite a raggiungere un gran numero di queste persone squilibrate, mentre noi, gli esperti nel settore della salute mentale non ci siamo riusciti. Un altro aspetto deplorevole della situazione è che noi in coscienza non possiamo sconsigliare alcune persone (direttamente o tramite i genitori) dall’associarsi a questi gruppi, poiché la conseguenza sarebbe che un numero considerevole di queste persone vagherebbe per le strade senza meta, […] dal momento che con le attuali tecniche di riabilitazione per malati cronici disponiamo solo di istituzioni scarse e insufficienti. Se la società mostrasse maggiore interesse per le necessità di queste persone, le sette avrebbero meno seguito. Forse noi non dovremmo condannare a priori questi gruppi, ma studiarli in tutta umiltà, in modo da poter adottare quanto esse hanno di utilizzabile e di applicabile ad altre comunità” (38).
4. Alcuni aspetti problematici
a. Esperienze psichiche normali assimilate a quadri patologici
Per esempio, il particolare stato emotivo della persona che incontra la guida spirituale del nuovo movimento religioso a cui appartiene viene considerato addirittura come uno stato alterato di coscienza. La tesi secondo cui “il leader è sufficientemente abile da produrre stati alterati di coscienza durante i quali è possibile sottoporre il soggetto a una suggestione autoritaria” (39) è basata sulla relazione di un adepto: “Quando mi toccava, sentivo vibrazioni che irradiavano dal suo corpo e che mi colmavano completamente di un senso di pace e di benessere” (40).
È del tutto normale che una persona che ha la possibilità di vedere da vicino e di toccare una personalità che ammira particolarmente provi una forte emozione, con manifestazioni neurovegetative come un tremito interno, che riconduca questo effetto all’aura particolare del personaggio, magari interpretata in modo fisico, e che questa esperienza lo riempia di gioia. Il normale ammiratore di un cantante o di un attore non reagisce in modo differente se ha la possibilità d’incontrare il suo beniamino, di stringergli la mano e di scambiare qualche parola con lui.
Nel caso descritto, a meno di non considerarlo come un’estasi o una trance, non si può parlare assolutamente di uno “stato alterato di coscienza”.
b. Casi limite utilizzati come modello generale
In certi casi la descrizione di manifestazioni estreme può essere d’aiuto per comprendere anche i casi meno gravi; d’altra parte, però, si devono riconoscere tutti i limiti di un tale metodo.
Per sottolineare il fatto che la manipolazione dell’adepto sarebbe facilitata dalla situazione di deprivazione dovuta alle condizioni di vita all’interno del nuovo movimento religioso, Abgrall prende a modello studi basati su osservazioni fatte in caso di regime carcerario speciale, secondo i quali il 25% dei detenuti “[…] sottoposti a una deprivazione sensoriale relativa presentano disturbi psichiatrici dopo quattro mesi di detenzione. Il 14% dei detenuti è soggetto a disturbi deliranti e allucinatori maggiori, mentre la loro personalità era stata giudicata previamente non affetta da disturbi psichici rilevanti.
“È interessante notare che i temi di questi deliri erano essenzialmente di ordine cosmico, religioso” (41).
L’autore dà per scontato non solo che questi fenomeni si verifichino anche nei nuovi movimenti religiosi, ma che i particolari temi deliranti siano utilizzabili per l’indottrinamento: “Si vede immediatamente tutto il vantaggio che una SC [setta coercitiva] potrà trarre dai temi religiosi o cosmici che sottendono numerosi deliri, ma anche modificazioni di percezione, che sono interpretate come altrettante manifestazioni soprannaturali” (42).
Abgrall mette in rilievo tutti gli aspetti che in un nuovo movimento religioso possono creare una condizione di deprivazione sensoriale, come la vita in cella, canti ritmici alternati a silenzio, vitto uniforme e così via.
Di fatto, il regime carcerario speciale, soprattutto quando si protrae per settimane e per mesi, può destabilizzare l’equilibrio psichico e provocare disturbi (43).
Uno studio condotto in Svizzera su un gruppo di detenuti in isolamento e un gruppo di controllo di detenuti in regime carcerario normale ha mostrato che “[…] la sintomatologia psicopatologica era determinata soprattutto dall’isolamento” (44).
Può essere utile ricordare le caratteristiche del regime di isolamento adottato nei casi esaminati nello studio citato:
— il detenuto vive da solo in una cella, spesso di dimensioni molto ridotte, per 23-24 ore al giorno;
— l’isolamento viene interrotto solamente per la passeggiata e per gli interrogatori, mentre altri contatti — come con il personale di vigilanza, il difensore e i visitatori — sono ridotti al minimo e può capitare che il detenuto rimanga in cella durante tutto il fine settimana, in quanto in questi giorni l’ora d’aria non è garantita;
— l’accesso alle fonti d’informazione può essere ridotto, la posta è censurata;
— eventualmente la persona viene esposta a stimoli monotoni di intensità diversa, come una luce artificiale giorno e notte, e così via.
Questo studio conferma le conoscenze empiriche, cioè che l’effetto sulla psiche umana di un regime carcerario anche duro è molto diverso da quello di un regime “speciale” con isolamento. Per le condizioni psichiche del detenuto non sono tanto gravi l’isolamento dal mondo esterno al carcere e l’inserimento in una comunità chiusa e con un ritmo di vita monotono e scandito da regole proprie, quanto il fatto di essere isolato anche dal personale e dagli altri detenuti. Basta un alleviamento del regime speciale, per esempio consentendo maggiori contatti e la partecipazione ad attività comunitarie, a ridurre il rischio di complicazioni psichiatriche.
Abgrall riporta alcuni aspetti di vita comunitaria nei nuovi movimenti religiosi che metterebbero l’adepto nella stessa condizione di detenuti a regime speciale. Un tale raffronto è legittimo solo se si riesce a dimostrare che le condizioni all’interno del nuovo movimento religioso somigliano più a quelle di un regime carcerario speciale o di quelli che Abgrall definisce “vecchi centri di alta sicurezza” piuttosto che a un regime carcerario normale. Si deve constatare che nei nuovi movimenti religiosi manca il fattore ritenuto dagli studi citati come il più importante per scatenare disturbi psichici: l’isolamento praticamente totale.
Si tratta di considerazioni valide anche per altri fattori elencati: per esempio “la privazione alimentare”. Anzitutto, il fatto che in un nuovo movimento religioso venga praticata una dieta non significa automaticamente che gli adepti si trovino in una condizione di denutrizione. In secondo luogo, se un grave stato di denutrizione può provocare un’alterazione della personalità fiaccando le resistenze e la volontà — come hanno mostrato, per esempio, esperienze su prigionieri di campi di concentramento nella seconda guerra mondiale —, si deve sottolineare che un’alimentazione insufficiente, prima di arrivare a un indebolimento generale, provoca piuttosto insoddisfazione, nervosismo e aggressività, il che può rendere più difficile l’indottrinamento (45).
c. Lo stato ipnotico
Dopo aver riferito il fatto che non tutte le persone sono ipnotizzabili e che solo nel 3-5% della popolazione può essere provocato uno stato di trance profonda, Abgral riporta che, “secondo testimonianze di ex adepti, la scientologia fonda il suo potere su circa 3-5% di soggetti che hanno accettato di sottoporsi ad “audizioni”.
“La correlazione delle due percentuali mostra che gli adepti che perseverano sono soggetti accessibili all’ipnosi, senza che questi pazienti presentino necessariamente disturbi psichici precedenti” (46).
A parte il deprecabile uso dell’etichetta “paziente” per designare adepti di nuovi movimenti religiosi, si deve notare che l’autore trae conclusioni non giustificate: constatare che la percentuale delle persone ipnotizzabili corrisponde a quella delle persone che, dopo essersi sottoposte ad audizioni, s’impegnano nella scientologia, non significa che nei due casi si tratti dello stesso gruppo di persone. Si tratta di un’ipotesi interessante, ma che deve essere dimostrata; il riferimento successivo a osservazioni personali dell’autore non è corredato né da indicazioni bibliografiche, né da indicazioni più precise sul numero delle persone osservate, sui criteri adottati e così via.
Il tema dell’ipnotizzabilità costituisce un punto centrale della polemica contro i nuovi movimenti religiosi, in quanto consente di sostenere che la conversione non è libera ma coatta.
Abgrall sostiene che proprio certi disturbi psichici come le “allucinazioni psicotiche” sono fattori predisponenti, che facilitano l’instaurazione di un rapporto di sottomissione all’ipnotizzatore, e quindi che “i soggetti più malleabili sono gli individui sfruttati o i malati mentali non critici” (47).
Di fatto, personalità di tipo isterico o, per utilizzare la terminologia del DSM-IV, “individui con Disturbo Istrionico di Personalità” sono spesso caratterizzati da “suggestionabilità” e “[…] vengono facilmente influenzati dagli altri e da momentanei entusiasmi” (48). La questione dell’ipnotizzabilità dei malati mentali è invece controversa. In base alle loro esperienze personali i grandi maestri dell’ipnosi dell’Ottocento sostenevano per lo più che i malati mentali non erano ipnotizzabili (49); molti studi degli ultimi quarant’anni hanno confermato questa tesi mentre altri “[…] descrivono relazioni di casi in cui l’ipnosi è stata usata con successo nel trattamento di pazienti schizofrenici” (50).
d. Patologizzazione del nuovo movimento religioso
Nella descrizione dei guru Abgrall sembra dapprima prendere le distanze da una loro patologizzazione completa: “Il guru è talora descritto come uno psicopatico i cui tratti di personalità sono la mitomania, l’impulsività, l’amoralità e l’inemendabilità. Non condividiamo completamente questa interpretazione. Se alcuni fra loro rispondono a questi criteri nosografici, […] altri sembrano semplici ciarlatani o individui “mossi” da interessi finanziari o politici che lasciano poco spazio alla psichiatria” (51).
Nella pagina seguente l’autore descrive quattro gruppi di guru:
“— Guide intellettuali nel senso nobile del termine, il che tuttavia non esclude deviazioni ideologiche e comportamentali;
“— ciarlatani che sanno sfruttare la credulità umana proponendo prodotti “commercializzati”;
“— malati mentali, molto spesso paranoici, deliranti e allucinati (mistici interpretativi o nevrotici isterici maggiori);
“Infine soggetti intermedi fra i tre precedenti” (52). Se in queste prime descrizioni non vi è già una patologizzazione completa del guru, al quale viene ancora riconosciuta la buona fede, seppure con la precisazione che ciò non impedisce sviluppi negativi, successivamente vengono fatte affermazioni più categoriche come: “Non vi è guru senza paranoia” (53), che contraddice apertamente quelle precedenti: o vi sono guru in buona fede, ciarlatani e pilotati da altri, o si tratta sempre e solo di paranoia!
L’affermazione è estremamente discutibile dal punto di vista scientifico in quanto pretende di formulare un principio che dovrebbe avere valore assoluto, ma non è per nulla dimostrabile — come si può escludere così categoricamente che non vi sia nemmeno un guru non paranoico? — e si basa su un concetto aleatorio come quello di guru. La tesi di Abgrall si può prestare a gravi abusi: è sufficiente etichettare come guru il dirigente di un gruppo per ritenerlo affetto da paranoia.
Secondo un principio fondamentale dell’etica professionale — formulato esplicitamente, per esempio, nel codice etico dell’American Psychiatric Association — “non è corretto per uno psichiatra emettere una diagnosi senza aver effettuato un esame e senza l’autorizzazione per farlo” (54). L’affermazione “Non vi è guru senza paranoia” contraddice questo principio in quanto pretende di diagnosticare una persona come malata di mente senza conoscerla, senza averla sottoposta a visita e ai necessari accertamenti, ma solamente in base alla qualifica di guru, sia che questa sia accettata dall’interessato oppure che gli sia stata attribuita non si sa bene sulla base di quali criteri.
Questa tesi è completamente arbitraria in quanto guru significa semplicemente “maestro spirituale” e indica spesso soltanto una persona progredita sulla via spirituale all’interno di una determinata tradizione, che non soffre di idee di grandezza, ma che, grazie alla sua esperienza, è in grado di fare da guida a persone intenzionate a percorrere lo stesso cammino. Non è corretto attribuire a ogni guru idee megalomaniche e costituisce quindi un abuso della psichiatria considerare ogni guru in quanto tale come un paranoico.
L’esperienza clinica insegna che il vissuto psicotico lascia perplesso e incredulo il prossimo, per cui lo psicotico tende a isolarsi e non riesce a crearsi un seguito — unica eccezione è la cosiddetta folie à deux, in cui l’idea delirante viene accettata anche da altri — mentre l’esperienza mistica può essere preziosa anche per altri. Abgrall espone questo fenomeno, ma lo mette in discussione subito dopo, ammettendo che un’esperienza psicotica possa essere ricuperata all’interno del nuovo movimento religioso: “Se vi è autentica esperienza mistica, s’inscrive in una storia personale o di gruppo che permette di reintegrarla in un vissuto religioso o iniziatico, dandogli un senso. Se, al contrario, è di ordine psicotico, non potrà essere fagocitata dalla storia del gruppo ed evolverà per conto proprio, trascinando il suo autore verso la depersonalizzazione, l’allucinazione, il delirio e la psicosi permanente: salvo essere ricuperata e utilizzata dalla setta come testimonianza di una pseudo-rivelazione o di uno pseudo-potere” (55).
Ora, se l’esperienza psicotica può essere distinta da quella mistica per il fatto di portare all’isolamento della persona e di non poter essere integrata nella vita di un gruppo, come si può considerare psicotica l’esperienza di una persona se in seguito si forma e si sviluppa un movimento?
Conclusioni
L’attività dello psichiatra nel campo dei nuovi movimenti religiosi deve essere ispirata all’attenzione e alla prudenza.
L’attenzione è senz’altro necessaria per poter riconoscere quegli aspetti che possono influenzare l’equilibrio psichico, ma è necessaria anche prudenza per non abbandonare il terreno della scienza patologizzando concezioni ed esperienze spirituali.
Ermanno Pavesi
* Testo della relazione presentata al convegno internazionale Les controverses en matière de “sectes” ou nouveaux mouvements religieux: un regard sur les mouvements anti-secte, promosso dal CESNUR France — Centre d’Études sur les Nouvelles Religions —, Parigi 17-9-1996, rielaborato dall’autore.
***
(1) La letteratura sociologica distingue fra movimenti anti-sette, di ispirazione laica — spesso laicista —, che criticano i nuovi movimenti religiosi sulla base di alcuni loro comportamenti prescindendo dalle dottrine, e movimenti contro le sette, di ispirazione cristiana — spesso protestante —, che propongono una critica di carattere prevalentemente dottrinale. Cfr. la distinzione, in Massimo Introvigne, Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, Gribaudi, Milano 1996, pp. 142-156.
(2) Documento approvato il 6 gennaio 1987 dalla Conferenza degli Ordini professionali dei medici di 12 Paesi della Comunità Europea, riportato in Dionigi Tettamanzi, Bioetica. Nuove frontiere per l’uomo, 2a ed. riveduta e ampliata, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1990, pp. 565-569 (p. 565).
(3) Cfr., per esempio, Walter Reich, Psychiatric Diagnosis as an Ethical Problem, in Sidney Bloch e Paul Chodoff (a cura di), Psychiatric Ethics, 2a ed., Oxford University Press, Oxford-New York-Melbourne 1991, pp. 101-133; e S. Bloch, The Political Misuse of Psychiatry in the Soviet Union, ibid., pp. 493-515.
(4) Cfr. American Psychiatric Association, Diagnostical and Statistical Manual of Mental Disorders, 4a ed., American Psychiatric Association, Washington 1994; trad. it., DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, terza edizione italiana a cura di Vittorino Andreoli, Giovanni B. Cassano e Romolo Rossi, Masson, Milano-Parigi-Barcellona 1996.
(5) Cfr. Hans Jörg Weitbrecht, Beiträge zur Psychopathologie. Insbesondere zur Psychopathologie der Bekehrung [Contributi di psicopatologia. In particolare di psicopatologia della conversione], Scherer, Heidelberg 1948.
(6) Cfr. David Lukoff et alii, Toward a More Culturally Sensitive DSM-IV. Psychoreligious and Psychospiritual Problems, in The Journal of Nervous and Mental Desease, vol. 180, n. 11 (1320), novembre 1992, pp. 673-682.
(7) American Psychiatric Association, op. cit., p. 826.
(8) Ibid., p. 314.
(9) Cfr. l’esame di vari aspetti dell’”allargamento della coscienza”, nei miei Alle origini dello spiritismo: Franz Anton Mesmer e il “magnetismo animale”, in CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Lo Spiritismo, a cura di M. Introvigne, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1989, pp. 97-119; Filosofia del New Age e psicopatologia, in AA.VV., La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello, a cura di Mario Di Fiorino, Psichiatria e Territorio, Forte dei Marmi (Lucca) 1990, pp. 133-141; Maghi da legare? Psichiatria, psicologia del profondo ed esoterismo, in CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Il ritorno della magia a cura di M. Introvigne, Effedieffe, Milano 1992, pp. 71-103; La teoria del “Magnetismo animale” di Franz Anton Mesmer e i suoi sviluppi, in AA.VV., Energia e significato, a cura di Mario Di Fiorino e di Lorenzo Lami, Psichiatria e Territorio, Forte dei Marmi (Lucca) 1993, pp. 31-39; Reincarnazione e ricordo di vite passate: la posizione dello psichiatra, in CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, La sfida della reincarnazione, a cura di M. Introvigne, Effedieffe, Milano 1993, pp. 123-158; Regressioni ipnotiche e ricordi di esistenze passate. Considerazioni critiche di uno psichiatra, in AA.VV., Quante vite viviamo? Dibattito sulla reincarnazione, a cura di don Eugenio Fizzotti S.D.B., LAS, Roma 1995, pp. 119-134; e Sostanze psicotrope, allargamento della coscienza e religione: tra ricerca scientifica ed esoterismo, relazione al convegno internazionale del CESNUR Varieties of prayer, Roma maggio 1994, manoscritto.
(10) Eugen Drewermann, Funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale, trad. it., Raetia, Bolzano 1995, p. 457; cfr. un’analisi di quest’opera, nel contesto della critica psicanalitica alla religione, nel mio Eugen Drewermann “Kleriker. Psychogramm eines Ideals” und die tiefenpsychologische Religionskritik, Gustav-Siewerth-Akademie, Weilheim-Bierbronnen 1992.
(11) Mortimer Ostow, Religion and Psychiatry, in Harold I. Kaplan et alii, Comprehensive Textbook of Psychiatry, Williams & Wilkins, Baltimora 1983, pp. 3197-3208 (p. 3206).
(12) Jean-Marie Abgrall, La Mécanique des sectes, Payot, Parigi 1996, p. 18.
(13) Ibid., p. 10.
(14) Karl Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, trad. it., Ludwig Feuerbach, Karl Marx e Friedrich Engels, Materialismo dialettico e materialismo storico, introduzione, traduzione e note a cura di padre Cornelio Fabro C.S.S., La Scuola, Brescia 1987, pp. 250-258 (p. 251).
(15) Erich Fromm, Psicanalisi e religione, trad. it., Mondadori, Milano 1987, pp. 35-36.
(16) Ibid., pp. 37-38.
(17) Ibid., p. 48.
(18) M. Introvigne, Autoguarigione e autoredenzione, in AA.VV., Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, a cura di E. Pavesi, Di Giovanni, San Giuliano Milanese (Milano) 1994, pp. 59-78 (p. 66).
(19) Cfr. il mio The Psychiatrist and Religious Experience, in Proceedings of the 18th World Congress of FIAMC, Held in Porto, 8-12 sep. 1994. The Doctor and the New Evangelisation, in Decisions. Journal of Fédération Internationale des Associations Médicales Catholiques, ed. speciale, pp. 75-78.
(20) E. Drewermann, op. cit., pp. 460-461.
(21) E. Fromm, op. cit., p. 29.
(22) David B. Larson et alii, Associations Between Dimensions of Religious Commitment and Mental Health Reported in the “American Journal of Psychiatry and Archives of General Psychiatry”: 1978-1989, in American Journal of Psychiatry, vol. 149, n. 4, aprile 1992, pp. 557-559.
(23) Cfr. M. Introvigne, Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, cit., pp. 5-20.
(24) Cfr. James T. Richardson et alii, Classical and Contemporary Application of Brainwashing Models. A Comparison and Critique, in David G. Bromley e James T. Richardson (a cura di), The Brainwashing/Deprogramming Controversy. Sociological, Psychological, Legal and Historical Perspectives, Mellen, New York e Toronto 1983, pp. 29-45.
(25) Bernhard Grom, Religionspsychologie [Psicologia della religione], Kösel, Monaco di Baviera 1992, p. 57.
(26) Cfr. Audit sur les dérives sectaires. Rapport du groupe d’experts genevois au Département de Justice et de Police et des Transports du Canton de Genève (Février 1997), Éditions Suzanne Hurter, Ginevra 1997, p. 293. Il documento di Ginevra, nei suoi aspetti più discutibili, riprende il rapporto parlamentare francese Les Sectes en France. Documents de l’Assemblée Nationale, Parigi 1996, su cui cfr. — in chiave critica — Giovanni Cantoni e M. Introvigne, Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”. Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996, e — più ampiamente — AA.VV., Pour en finir avec les sectes. Le débat sur le rapport de la commission parlementaire, a cura di M. Introvigne e J. Gordon Melton, 3a ed., Dervy, Parigi 1996.
(27) J.-M. Abgrall, op. cit., p. 20.
(28) Ibid., p. 16.
(29) Cfr. una notazione analoga, in Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, del 15-10-1989, n. 2: vi si sottolinea come talora ci si rivolga a tecniche di meditazione soprattutto orientali per motivi terapeutici, per trovare la via della pace interiore e dell’equilibrio psichico e — prescindendo dagli aspetti psicologici della questione — vi si constata che gli aspetti teologici e spirituali di questi metodi non sono sempre conciliabili con i princìpi del cristianesimo; cfr. un’esposizione del documento in don Pietro Cantoni, “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana”, in Cristianità, anno XVIII, n. 178, febbraio 1990, pp. 6-8.
(30) J.-M. Abgrall, op. cit., p. 251.
(31) Cfr., per esempio, Lucien Sfez, La santé parfaite. Critique d’une nouvelle utopie, Seuil, Parigi 1995.
(32) Cfr. J.-M. Abgrall, op. cit., pp. 273-287.
(33) J.-M. Abgrall, op. cit., p. 279.
(34) Ibid., pp. 283-284.
(35) Ibid., p. 284, nota 11.
(36) American Psychiatric Association, op. cit., p. 537.
(37) J.-M. Abgrall, op. cit., p. 331.
(38) Silvio Arieti, Schizophrenie. Ursachen – Verlauf – Therapie – Hilfen für Betroffene [Schizofrenia. Cause – decorso – terapie – aiuti per gli interessati], trad. tedesca, Piper, Monaco di Baviera e Zurigo 1986, p. 222.
(39) J.-M. Abgrall, op. cit., pp. 157.
(40) Ibid., p. 158.
(41) Ibid., p. 217.
(42) Ibid., p. 218.
(43) Cfr., per esempio, Reto Volkart, Einzelhaft: Eine Literaturübersicht [Il regime di isolamento: un esame della letteratura], in Schweizerische Zeitschrift für Psychologie, vol. 42 (1), 1983, pp. 1-24.
(44) Idem et alii, Eine kontrollierte Untersuchung über psychopathologische Effekte der Einzelhaft [Una ricerca sugli effetti psicopatologici dell’isolamento carcerario con un gruppo di controllo], ibid., pp. 25-46.
(45) Cfr. Hans K. Kornhuber, Psychologie und Psychiatrie der Kriegsgefangenschaft [Psicologia e psichiatria della prigionia di guerra], in Psychiatrie der Gegenwart, Springer, Berlino 1961, vol. 3, pp. 631-742, soprattutto il capitolo dedicato all’alimentazione, pp. 666-675.
(46) J.-M. Abgrall, op. cit., p. 183.
(47) Ibidem.
(48) American Psychiatric Association, op. cit., p. 715.
(49) Cfr., per esempio, Otto Binswanger, Therapeutische Verwertung der Hypnose in Irrenanstalten [Uso terapeutico dell’ipnosi negli ospedali psichiatrici], in Allgemeine Zeitschrift für Psychiatrie, n. 48, 1892, pp. 494-528.
(50) Helen M. Pettinati et alii, Hypnotizability of Psychiatric Inpatients According to Two Different Scales, in American Journal of Psychiatry, vol. 147, gennaio 1990, pp. 69-75.
(51) J.-M. Abgrall, op. cit., p. 59-60.
(52) Ibid., p. 61.
(53) Ibid., p. 249.
(54) Sez. 10 dei Principi di etica medica e loro applicazioni alla psichiatria: Associazione degli Psichiatri Americani, in Documenti di deontologia e etica medica, a cura di Sandro Spinsanti, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1985, pp. 210-217 (p. 217).
(55) J.-M. Abgrall, op. cit., p. 256.