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La Questione Romana (1860-1929)

7 Ottobre 2011 - Autore: Renato Cirelli

di Renato Cirelli

 

La II Guerra d’Indipendenza, scoppiata nel maggio 1859 fra l’Impero d’Austria e l’alleanza franco-piemontese, termina il 23 giugno 1859 con l’armistizio di Villafranca che pone fine ai combattimenti dopo la sconfitta austriaca a San Martino e Solferino. Durante la guerra le vicende militari avevano costretto il granduca di Toscana, il duca di Parma e il duca di Modena ad abbandonare i propri Stati, coinvolgendo anche il neutrale Stato Pontificio. Nel giugno del 1859 i Legati Pontifici abbandonano quindi Bologna, Ferrara e Ravenna, dove s’insediano giunte rivoluzionarie provvisorie. Il trattato di pace, firmato dai belligeranti a Zurigo nel novembre del 1859, decide di ristabilire la sovranità pontificia sulle Legazioni romagnole, che però non solo non viene attuata, ma anzi, nel marzo del 1860, si organizzano in quelle provincie plebisciti che, violando i dettati del trattato, ne sanciscono l’annessione al Regno di Sardegna.

Il 26 marzo 1860 Papa Pio IX (1792-1878) promulga il Breve Cum Catholica Ecclesia con cui scomunica i governanti italiani responsabili dell’annessione delle Legazioni; con questo atto inizia ufficialmente la Questione Romana e con essa il problema dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. In tutti i suoi interventi Papa Pio IX ricorda che la Questione Romana è un problema soprattutto religioso e non politico e che il “civile principato” dei Papi, indipendentemente dall’estensione territoriale, non è di diritto divino, ma una garanzia indispensabile di libertà religiosa. Lo scontro fra la Chiesa e lo Stato italiano appena nato sorge, soprattutto, perché la classe politica e intellettuale di quest’ultimo è un prodotto non occasionale di un processo rivoluzionario che affonda le sue radici quanto meno nell’illuminismo e nel giansenismo del Settecento. Gli uomini formati nelle logge massoniche, nei salotti illuministi, nei cenacoli giansenisti si trovano uniti sotto le bandiere giacobine quando i francesi invadono l’Italia nel 1796 e sotto la dittatura napoleonica e in quella burocrazia e in quell’esercito si forgia una classe di nobili e di borghesi imbevuta delle idee della Rivoluzione francese che diviene, per filiazione ideologica, l’élite protagonista del Risorgimento italiano. Gli uomini, sia della sinistra radicale che del liberalismo moderato, hanno i propri riferimenti nel giacobinismo, nel regime napoleonico e nel governo costituzionale inglese, tre modelli contrari alla dottrina cattolica sullo Stato ed estranei alla tradizione politica e culturale italiana. Una classe dirigente che crede nella religione del progresso delle scienze e della ragione umana, convinta di dover creare un italiano di tipo nuovo e che per far questo sia indispensabile impedire ogni influenza sociale della Chiesa sul popolo, instaurando una radicale separazione fra Chiesa e Stato.

Già a partire dal 1850 nel Regno di Sardegna i governi guidati da Massimo Taparelli D’Azeglio (1798-1866) e da Camillo Benso di Cavour (1810-1861) avevano messo in atto una serie di iniziative anti-cattoliche, ispirate al giurisdizionalismo, che avevano portato all’espulsione dei gesuiti e alla soppressione di ordini e congregazioni religiose. Con il 1861 la legislazione piemontese si estende in tutta Italia, con caratteristiche di vera e propria persecuzione contro la Chiesa, provocando gravi contrasti sia con il clero che con la stessa popolazione. Agli inizi del 1860 quarantatrè vescovi risultano in esilio, venti in carcere, sedici espulsi, mentre centinaia di sacerdoti sono incarcerati e decine sono fucilati nelle operazioni di repressione nell’Italia Meridionale.

In questa situazione di gravissimo scontro si inquadrano i primi tentativi di comporre la Questione Romana, almeno diplomaticamente. La questione è complessa, perché formata da almeno due aspetti separati, ma allo stesso tempo strettamente intrecciati fra loro. In primo luogo esiste il problema delle relazioni fra Stato e Chiesa e poi, su un altro piano, il conflitto fra Regno d’Italia e Stato Pontificio, a causa dell’invasione militare del primo e della successiva annessione dei territori a danno del secondo. Lo scontro, di difficile soluzione in termini politici e diplomatici, diventa insormontabile se prima non si risolve il conflitto religioso fra Stato e Chiesa, che ha a monte una motivazione ideologica che rende strettissimo il margine di manovra dei rispettivi diplomatici.

Pressato da re Vittorio Emanuele II (1820-1878), Cavour, conscio della necessità della pace religiosa e del consenso del popolo cattolico alla nuova Italia, apre una proposta di dialogo alla quale la Chiesa, non potendo restare indifferente davanti alla persecuzione, risponde positivamente. Le trattative sono condotte attraverso due canali, uno ufficiale e uno rigorosamente segreto. Il primo è condotto per conto di Cavour da Diomede Pantaleoni (1810-1885) e dall’ex gesuita Carlo Pazzaglia (1812-1887), ma naufraga nel marzo 1861. Il secondo è probabilmente portato avanti personalmente da Cavour e dal segretario di Stato cardinale Giacomo Antonelli (1806-1876) attraverso canali segreti e giunge a un “progetto di concordia” in tredici articoli che prevedono il ritiro della legislazione anti-cattolica e il riconoscimento del re d’Italia anche per gli Stati Pontifici, sui quali veniva riconosciuta la sovranità pontificia, sia pure formale. La morte di Cavour mette fine a tutto e il suo successore Bettino Ricasoli (1809-1880) affronta la questione con astioso spirito giansenista provocando l’irrigidimento pontificio. Ad aggravare la situazione avvengono gli accordi italo-francesi, che prendono il nome di Convenzione di Settembre, con i quali nel 1864, all’insaputa del Papa, i rispettivi governi si accordano perché la Francia evacui militarmente Roma e l’Italia rinunci a essa spostando la capitale a Firenze.

La proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione l’8 dicembre 1864 e la promulgazione dell’enciclica Quanta cura con allegato il Syllabus è quasi la simbolica risposta alla Convenzione di Settembre da parte di Papa Pio IX, che si sente tradito e abbandonato da Napoleone III.

Lo scontro frontale con la classe politica italiana e il mondo liberale, che provoca il documento, evidenzia come il Risorgimento non sia soltanto un avvenimento politico e militare, ma soprattutto uno scontro ideologico. Il tentativo di risolvere i gravi problemi esistenti fra Stato e Chiesa, in particolare modo quello concernente le numerose sedi episcopali vacanti, fra cui Torino, Milano e Bologna, è ripreso dallo stesso Vaticano, dopo che don Bosco convince il Papa a scrivere al re in tal senso. La trattativa, nel 1865, è condotta dal deputato cattolico Saverio Vegezzi (1805-1888), ma l’ostilità della maggioranza del Parlamento e delle logge massoniche fa naufragare il tentativo. Intanto nel 1866 entra in vigore il nuovo codice civile, che toglie ogni effetto civile al matrimonio religioso oltre al provvedimento che incamera i beni di altre duemilacinquecento comunità religiose, decisioni che aggravano ulteriormente i rapporti fra Governo italiano e Santa Sede.

Al termine della III Guerra d’Indipendenza, nel dicembre 1866, riprendono le trattative, condotte da parte italiana da Michelangelo Tonello, dell’università di Torino, ma che vedono come intermediario ufficioso lo stesso don Bosco. Ancora una volta, pur riuscendo a comporre importanti contenziosi di carattere amministrativo, come la restituzione dell’abbazia di Montecassino, il Parlamento impedisce ogni composizione politica, costringendo anche alle dimissioni il governo guidato da Bettino Ricasoli.

Con il governo di Urbano Rattazzi (1808-1873), di più accentuata impostazione anti-clericale, la legislazione anti-cattolica subisce un’accelerazione. Nel 1867 viene approvata la legge “per la soppressione degli enti ecclesiastici e la liquidazione dell’asse ecclesiastico”, che comporta la soppressione di altri venticinquemila enti ecclesiastici, l’incameramento dei loro beni e la vendita all’asta di circa un milione e trecentomila ettari di terreno. Quest’asta apre la possibilità di grandi affari per la Banca Nazionale e per gli speculatori privati della grande borghesia liberale. Essa contribuisce a portare a compimento il progetto di laicizzazione dello Stato e della società civile, iniziato nel tempo dell’assolutismo illuminista e continuato in quello napoleonico, e contribuisce ad aprire la strada all’infiltrazione socialista in vasti strati della popolazione economicamente più debole. Nell’ottobre del 1867, sull’onda di una crescente campagna anti-cattolica orchestrata in tutta Italia, Giuseppe Garibaldi (1807-1882), alla testa di bande di volontari, invade lo Stato Pontificio, mentre il governo italiano mantiene un atteggiamento ufficialmente neutrale, ma sostanzialmente benevolo. L’esercito garibaldino viene però duramente sconfitto il 3 novembre 1867 a Mentana dalle truppe pontificie comandate dal generale Hermann Kanzler (1827-1888) e ricacciato oltre confine. L’anno successivo vede ancora un tentativo di dialogo per ricomporre la grave frattura fra Stato e Chiesa. L’iniziativa è promossa dallo stesso re Vittorio Emanuele II, cui Papa Pio IX risponde ancora una volta positivamente, ma ancora una volta il governo italiano, ora guidato da Luigi Federico Menabrea (1809-1896), interrompe bruscamente le trattative facendole fallire. Si conclude così l’ultimo tentativo di ricomporre la Questione Romana. A parte la prima trattativa condotta da Cavour, tutti gli altri approcci di conciliazione cadono perché condotti senza vera convinzione di concludere da parte italiana, iniziati più per compiacere i desideri e le pressioni di re Vittorio Emanuele II che con sincera intenzione conciliativa.

Quando, l’8 dicembre 1869, Papa Pio IX apre solennemente a Roma il Concilio Ecumenico Vaticano I, che proclamerà il dogma dell’infallibilità pontificia, lo scenario europeo sta per essere sconvolto dalla guerra franco-prussiana, che scoppia nel luglio del 1870, provocando, fra l’altro, l’abbandono di Roma da parte delle ultime truppe francesi. Approfittando della favorevole congiuntura internazionale, il Governo italiano ordina all’esercito, comandato dal generale Raffaele Cadorna (1815-1897), d’invadere lo Stato Pontificio e il 20 settembre 1870 Roma viene attaccata e bombardata. L’esercito pontificio è costretto ad arrendersi dopo aver organizzato, nonostante gli ordini contrari del Papa, un’iniziale resistenza che provoca vittime da entrambe le parti. Alla Chiesa viene così a mancare il potere temporale, considerato da essa come supporto necessario alla sua libertà e alla sua indipendenza e Papa Pio IX e i suoi successori si rinchiudono per protesta in Vaticano, dichiarandosi prigionieri dello Stato italiano. La legge delle Guarentigie, approvata dal Parlamento nel maggio del 1871, che regola le prerogative del Sommo Pontefice e le relazioni dello Stato con la Chiesa in modo unilaterale, non viene riconosciuta dalla Santa Sede e resta quindi priva di forza giuridica in mancanza di assenso negoziato di una delle parti. Questo assenso arriverà solo con i Patti Lateranensi del 1929 e soltanto con essi la Questione Romana potrà considerarsi chiusa dal punto di vista istituzionale.

Ma la Questione Romana, diventata ormai “questione cattolica”, resterà aperta per decenni perché lo Stato liberale e laicista mantiene una pesante guerra di religione contro una Chiesa, che continua a non riconoscerlo e che esorta i cattolici ad astenersi dalla partecipazione alla vita nazionale, situazione che pone le basi di una grave frattura fra il popolo italiano e la classe politica. Questa assenza di legittimità delle istituzioni politiche, mai ricomposta, è stata spesso la fonte di gravi conseguenze nella storia italiana post-unitaria fino ai nostri giorni. Oggi, chiuso definitivamente il contenzioso della Questione Romana, dal punto di vista politico-territoriale, anche con il nuovo Concordato del 1984, il conflitto fra la Chiesa e lo Stato laicista italiano permane come conflitto culturale.


Per approfondire: vedi una lettura della storia italiana contemporanea in Giovanni Cantoni, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, trad. it., 3a ed. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 7-50; specificamente sulla Questione Romana, vedi Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1997; inoltre Giuseppe Bonfanti, Roma Capitale e la Questione Romana. Documenti e testimonianze di storia contemporanea, La Scuola, Brescia 1977; una testimonianza di parte pontificia Piero Raggi, La nona crociata. I volontari di Pio IX in difesa di Roma (1860-1870), a cura della libreria Tonini, Ravenna 1992.

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