José Pedro Galvão de Sousa, Cristianità n. 205-206 (1992)
Nel “[…] clima di “crisi” che attualmente investe […] le istituzioni pubbliche […] sulle quali la convivenza umana si fonda” (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla prima sessione della Conferenza permanente del Ministero dell’Interno della Repubblica Italiana su La cultura della legalità, dell’8-7-1991, n. 1, in L’Osservatore Romano, 8/9-7-1991), i paragrafi da 1 a 5 del secondo capitolo dell’opera Da representação política, Saraiva, San Paolo 1972, pp. 15-33. La traduzione è redazionale.
La rappresentanza della società politica/1
[“Sulla rappresentanza politica” II]
1. La rappresentanza della società da parte del potere
Poiché la rappresentanza, per quanto concerne l’attività umana in genere, è suscettibile di significati diversi, comporta anche diverse accezioni nel campo del diritto. Da questo la distinzione quanto al modo di intenderla nel diritto privato e nel diritto pubblico.
Limitandoci ora a quest’ultimo, o più strettamente al diritto politico, anche a questo proposito bisogna indicare diversi significati.
Si tratta di determinare in che cosa consista la rappresentanza di una società politica. Ebbene, questa si può dare con diversi aspetti, nei quali lo stesso termine — “rappresentanza” — non è applicato in modo univoco, ma per analogia.
In primo luogo, ogni società organizzata politicamente è rappresentata dal potere. Questo dà a essa unità, pace e sicurezza. Unione morale e stabile di diversi individui in vista di un fine, la società richiede un’autorità per rendere effettiva la collaborazione di tutti secondo l’obbiettivo comune da raggiungere. Il potere o l’autorità — la prima delle due espressioni sottolinea la forza o l’efficacia direttiva, la seconda il diritto o la superiorità morale — è un principio di unità sociale, che coordina l’attività dei singoli al conseguimento del bene comune. A queste due espressioni corrispondono anche, rispettivamente, le idee di legalità e di legittimità: la legalità stabilita dal potere in condizioni di farlo, cioè di promulgare norme giuridiche e di esigere la loro osservanza; la legittimità dell’ordine legale, cioè la sua conformità ai princìpi superiori della giustizia e alla costituzione storica della società.
Bisogna aggiungere che la società politica è formata da diversi gruppi o società minori, ciascuno dei quali è retto da un’autorità. Sulle autorità sociali si esercita il potere dell’autorità politica, centro di unità e di coordinazione. Un’autorità, a capo di un determinato gruppo, lo rappresenta davanti agli altri. È quanto accade a partire dalla prima delle società, la più naturale: il capofamiglia, nell’esercizio della patria potestà, la rappresenta. Nelle società patriarcali questo potere si dilata, e il capofamiglia più anziano passa a rappresentare tutti gli altri gruppi familiari costituiti attorno a lui. Nell’ambito della società domestica vi è una sovranità che diventa poi la sovranità politica. Presso i popoli moderni, l’autorità dello Stato rappresenta la comunità nazionale, e a essa si applica la nozione di sovranità politica, cioè l’attributo del potere supremo esercitato nell’ordine del bene comune di tutta la collettività e non nell’ambito di ciascuna delle società minori che la compongono.
Nel caso delle nazioni moderne, organizzate nella forma di Stato nazionale, il potere dello Stato rappresenta la nazione. Nel mondo antico della polis greca e della civitas romana, la società politica era rappresentata da coloro che governavano la città. Nella società feudale del Medioevo, la sovranità politica si frammentò fra i proprietari terrieri, che esercitavano funzioni dello Stato, ma a poco a poco il potere del re andò prevalendo su tali poteri che impedivano l’unificazione, e questa tornò a essere realizzata pienamente nelle monarchie assolute, quando il monarca poteva dire: “L’État c’est moi”, come i governanti di oggi possono dire: “L’État c’est nous”. In concreto, lo Stato sono gli uomini al potere e, poiché la società vede garantita la sua unità di corpo politico dallo Stato, ne segue che il potere rappresenta la società come un tutto.
Secondo Eric Voegelin, le “società politiche pronte per l’azione” devono possedere una struttura interna che permetta ad alcuni loro membri — il capo, il governo, il principe, il sovrano, il magistrato, e così via — di poter contare sull’ubbidienza abituale di quanti sono a esse soggetti, quando si tratti di atti o di misure tendenti a soddisfare le necessità esistenziali della società, come la difesa del territorio e l’amministrazione della giustizia. Queste società non sono esseri cosmici o esistenti dall’eternità, ma si formano nella storia, in mezzo a contingenze specifiche e variabili, dalle quali dipende la modalità di strutturazione di ciascuna (1).
Eric Voegelin chiama articolazione di un raggruppamento sociale il processo storico mediante il quale gli uomini costituiscono una società pronta per l’azione; e conclude: “Come risultato dell’articolazione politica noi troviamo degli esseri umani, i capi, che possono agire a nome della società, uomini i cui atti non sono imputati alle loro persone singole ma alla società nel suo complesso — con la conseguenza, per esempio, che la formulazione di una regola generale per un’area della vita umana non viene considerata alla stregua di una esercitazione di filosofia morale, ma è sentita dai membri della società come enunciazione di una norma che per loro ha una forza obbligante. Quando gli atti di una persona le vengono imputati in questo modo, quella persona diventa rappresentativa di una società” (2).
A questo punto, seguendo lo stesso autore, possiamo indicare la differenza fra rappresentanza e altri tipi di imputazione. Un agente, un delegato, un commissario, un mandatario non sono rappresentanti in questo senso. Ricevono poteri da un mandante per svolgere determinati compiti, secondo le istruzioni date loro. Il rappresentante — nel caso in esame — è la persona che deve realizzare certi atti in nome di una società, e questo in virtù della posizione che occupa nella struttura della comunità, senza dover ricevere istruzioni specifiche, né dipendere dall’approvazione o dalla possibile impugnazione di tali atti (3).
La rappresentanza è inerente al potere e deriva dall’articolazione della società. Questa si proietta nella storia, con unità e capacità d’azione, quando si è articolata nelle condizioni che le sono peculiari e che la distinguono dalle altre società quanto alla forma politica di cui concretamente si riveste.
Fra i detentori del potere e gli altri membri del corpo politico vi può essere una perfetta consonanza, oppure può anche accadere che questo accordo non esista. Un governo impopolare e perfino tirannico non cessa per questo di rappresentare una società politica. In questo caso si presenta un altro problema: quello del consenso popolare all’autorità. Senza un minimo di consenso non è possibile governare, ma questo consenso può essere strappato a forza o con metodi propagandistici o di suggestione oppure intimidatori, caratteristici delle moderne tecniche di dominio politico. Si può dare anche il caso di un’inerzia di consenso da parte della popolazione soggetta al giogo di un regime tirannico, e in questo senso si applica il detto secondo cui “Ogni popolo ha il governo che merita”.
Comunque, il potere è elemento indispensabile in una società politica, è il suo elemento rappresentativo per eccellenza, in quanto dà completezza all’esistenza di un corpo sociale che, senza di esso, non avrebbe unità e si disgregherebbe.
Perciò Sir John Fortescue, il famoso autore del De Laudibus legum Angliae, applicando alla società politica per analogia — come hanno fatto anche altri — la nozione di corpus mysticum, diceva che senza autorità il popolo sarebbe acefalo. Il regno è completo soltanto quando emerge un capo — rex erectus est — cui spetta governare il popolo (4).
Tutto questo indipendentemente dalla forma di governo, sia essa monarchica o repubblicana, dispotica o legale, ma avendo presente solamente la rappresentanza della società in quanto unità politica storicamente istituita. Problema diverso è sapere se l’autorità esistente è legittima oppure no, e se il governo corrisponde o meno alle aspirazioni del popolo.
2. La rappresentanza della società davanti al potere
L’idea della rappresentanza della società da parte del potere non comporta che vi siano organi rappresentativi del popolo presso il governo. Questo si verifica nei cosiddetti regimi rappresentativi — nei quali tali organi sono i parlamenti o le assemblee elette dal popolo —, ma bisogna notare che questi regimi appartengono alla tradizione greco-romana e occidentale e che sono stati sconosciuti nella storia dei popoli orientali, presso i quali non per questo il potere cessava di rappresentare la società.
Passiamo ora a un secondo tipo di rappresentanza politica, la rappresentanza della società davanti al potere. E, a questo proposito, si usa l’espressione “istituzioni rappresentative”.
Nel caso si configura la rappresentanza della società politica come un modo di comunicazione fra il popolo e il governo, come un legame istituito fra la comunità e il potere che la regge. Si tratta di uno dei grandi temi della teoria dello Stato, che può essere costruita completamente attorno a tre nozioni fondamentali, quella di società, quella di potere e quella di rappresentanza (5).
La società e l’ambiente in cui si forma lo Stato. Il potere è l’elemento che coordina la società, principio di unità sociale, centro propulsore dei diversi organi attraverso i quali si realizza l’attività dello Stato. La rappresentanza è legame fra la società e il potere, che mette in sintonia l’azione dei governanti e le aspirazioni dei governati portando a conoscenza delle sfere dirigenti gli interessi dei diversi gruppi costitutivi della società politica e le rivendicazioni dei suoi membri.
In questo senso la rappresentanza politica è certamente di carattere pubblico, come hanno sottolineato gli autori avversi alla sua assimilazione al mandato. Ma, perché tale rappresentanza sia autentica, deve combinarsi con gli interessi particolari dei gruppi e anche degli individui. In proposito si è prodotta molta confusione, che bisogna evitare. Negli organismi rappresentativi della società davanti al potere — cioè in quelli che assicurano la presenza del popolo, attraverso rappresentanti qualificati, presso il governo, per produrre la sintonizzazione di cui ho parlato — si deve riprodurre l’immagine della società realmente esistente, fare della rappresentanza quasi uno specchio di questa realtà. A quanti si vogliono vedere rappresentati politicamente non interessa nient’altro.
In questa sede non cerchiamo di sapere qual è il miglior sistema per garantire questa rappresentanza, se un regime unicamerale o bicamerale, se la rappresentanza attraverso partiti politici oppure a base corporativa, se attraverso il suffragio universale o quello ristretto. Indubbiamente tutti questi sono problemi importantissimi e, a loro volta, dipendenti da situazioni concrete e variabili, ma per le quali ora non dobbiamo cercare la soluzione. Mettendoci sul piano concettuale della rappresentanza della società politica, per distinguere i diversi aspetti che comporta, stiamo vedendo che il potere rappresenta la società e che la società si rappresenta presso il potere: nel primo caso, la società è rappresentata globalmente, come il corpus politicum, il cui capo è l’autorità; nel secondo caso, essa si rappresenta davanti allo Stato nella sua realtà esistenziale, portando all’istanza del potere gli interessi da soddisfare. Il potere rappresenta la società politica in quanto questa costituisce un’unità. La società si rappresenta davanti al potere come molteplicità, cioè nella pluralità dei gruppi che la compongono e delle aspirazioni dei suoi membri. Tali aspirazioni sono suscitate da interessi diversi e da opinioni divergenti. Nel regime dei partiti, si cerca di dare rappresentanza alle diverse correnti di opinione, e da questo nasce l’espediente della rappresentanza proporzionale, perché non siano escluse le minoranze. Nella rappresentanza corporativa, si hanno di mira soprattutto gli interessi dei gruppi che compongono la società politica. Ma, in una ipotesi e nell’altra, vi è sempre la varietà corrispondente alla realtà esistenziale della civitas, che non è un blocco monolitico, ma che si costituisce sulla base della pluralità.
La preoccupazione di dare un carattere pubblico alla rappresentanza della società davanti al potere e di fare dei rappresentanti o deputati degli autentici rappresentanti, e non mandatari, ha portato molti giuristi a interpretare il sistema rappresentativo nel senso di escludere totalmente la qualificazione dell’elettore attraverso la sua posizione nella struttura sociale, vedendo in lui solamente il cittadino, le citoyen della teoria dello Stato dominante nella Rivoluzione francese. E soprattutto — il che è più grave — la stessa preoccupazione ha sciolto il deputato dal legame ai suoi elettori, agli interessi reali che deve patrocinare, rendendolo rappresentante del popolo trasformato in una grande società anonima.
In questo modo si è istituita la stessa unità del corpo politico nella rappresentanza della società da parte del potere e nella rappresentanza della società davanti al potere. La società rappresentata attraverso istituzioni di tipo parlamentare doveva essere il corpus politicum nella sua unità, il popolo detentore della sovranità, massa di cittadini ciascuno dei quali sarebbe diventato, al momento delle elezioni, una vox populi che trasmette a ciascuno degli eletti la missione di agire al suo posto, come questa vox populi, e di rappresentare la collettività intesa come un tutto, alla stesso modo in cui il potere politico rappresenta tutta la società unitariamente considerata. Così le due idee — cioè i due concetti diversi, rappresentanza della società da parte del potere e rappresentanza della società davanti al potere — finiscono per fondersi in una sola e medesima idea. Si confondono rappresentanza e autorità. Si cade in un univocismo concettuale.
3. La rappresentanza della società nel potere:
a. partecipazione del popolo al governo
Un terzo aspetto della rappresentanza della società politica si presenta con due volti. Si tratta della rappresentanza della società nel potere, il che ci porta all’idea di un governo rappresentativo.
Il potere politico esiste per garantire la convivenza degli uomini in un ambiente di pace e di mutuo rispetto, dovendo anzitutto dare a tutti la certezza del diritto. Ragion d’essere elementare dell’autorità è il mantenimento dell’ordine giuridico, ma sono a essa proposti altri obbiettivi e la stessa espressione auctoritas — da augere, aumentare, accrescere, ampliare — sta a indicare che, per parte sua, deve contribuire, quando necessario, affinché i membri della società operino in modo complementare e abbiano tutti i beni e tutte le risorse di cui abbisognano.
Senza negare la parte decisiva svolta, in certe circostanze storiche, dai grandi capi condottieri e organizzatori di popoli (6), in verità il potere politico, nella persona di un uomo oppure esercitato da una élite dirigente, conferma un diritto esistente nella società. L’ordine giuridico non è una creazione ex nihilo del potere dello Stato, ma ha le sue fonti più profonde nei gruppi che costituiscono la comunità globale. Lo Stato non ha la missione di sostituire questi gruppi nella realizzazione della finalità e degli obbiettivi di ciascuno, ma di dare a essi aiuto o sussidio.
Perciò stesso, agli uomini che vivono e lavorano in questi gruppi si deve riconoscere il diritto di una comunicazione con il potere, attraverso cui cercano di rendere adeguatamente noti e rispettati i loro interessi, la loro capacità di iniziativa e, nel buon significato del termine, i loro privilegi. Questi raggruppamenti organici sperano di trovare nell’autorità statale, che coordina il loro operare in vista del bene di tutta la collettività, un rifugio che protegga i loro diritti e un aiuto per il proprio sviluppo. Allo Stato compete legittimamente questa duplice missione, ma esorbiterebbe dalle sue funzioni nel caso si arrogasse, autodeificandosi, la funzione di creatore dell’ordine giuridico e della provvidenza tutrice dei suoi subordinati, annientando la loro opera, sostituendosi a essi, assorbendoli in modo totalitario.
Da ciò il valore della rappresentanza politica, mezzo per rispettare e per soddisfare i legittimi interessi della comunità. L’assenza, il declino o l’inefficacia delle istituzioni rappresentative significa via libera alla tirannia e all’assolutismo statale, che attualmente si presenta nella forma radicale ed estrema dello Stato totalitario.
La rappresentanza — l’abbiamo visto nel paragrafo precedente — ci si configura come un processo di connessione fra la società e il potere, che permette a questo di conoscere lo stato reale di quella e che offre alla società uno strumento per cautelarsi dalle deviazioni dei governanti.
Ma il centro della decisione politica è sempre il potere e la semplice esistenza di organi rappresentativi della società di fronte al potere non basta perché vengano completamente soddisfatte le rivendicazioni della società. L’ideale di un sistema rappresentativo non consiste nel far conoscere una certa situazione, ma nel vedere soddisfatto quanto si prospetta attraverso di esso. In altri termini, il popolo aspira anche a influire sulle decisioni politiche, cioè a partecipare al governo.
Si possono immaginare istituzioni rappresentative puramente consultive, senza una partecipazione alla sfera di direzione della società propria del potere. E bisogna anche immaginare l’ipotesi di una collaborazione di tali organi all’attività governativa, in modo che allora si realizzi il governo rappresentativo. In questo caso, i rappresentanti del popolo — o della società davanti al potere — non si limitano a esporre fatti e a sollecitare misure. Più che presentare remontrance e doléance, come si faceva nel regime rappresentativo degli Stati Generali della Francia, giungono a deliberare o a influire positivamente sulle risoluzioni del potere.
L’idea che il potere associ a sé gli elementi che compongono la società politica è molto antica. Presso popoli primitivi il capo supremo si fa consigliare da sacerdoti e da altri capi, che rappresentano la comunità. Nella monarchia visigotica vi sono tracce di questa partecipazione offerta a elementi sociali significativi, rappresentanti della società presso il potere politico. E i regni medioevali, ai loro primordi, avevano conosciuto l’istituzione della curia regis, all’inizio composta solamente dai magnati del regno, ma poi allargata fino a costituire un abbozzo dei parlamenti o cortes, e che in una fase posteriore accolgono elementi provenienti dalle diverse classi sociali organizzate.
Questo era l’ideale del regime misto nel pensiero di san Tommaso d’Aquino, che combinava la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia, un ideale in parte corrispondente alle istituzioni del secolo XIII e soprattutto all’esempio che il Dottore Angelico aveva davanti a sé nella monarchia in Francia quando governava san Luigi. Con un grado più accentuato di rappresentanza popolare è il regime vigente nell’Inghilterra attuale, con la sua monarchia aristodemocratica e la preponderanza attribuita al parlamento, organo che rappresenta il popolo.
Si osservi adeguatamente la differenza fra i due esempi, affinché l’argomento sia illuminato in modo conveniente. Nelle monarchie temperate del Medioevo, prima dell’assolutismo, il popolo partecipava appena al potere, e questo, più che in Francia, si verificò nei regni iberici e cominciò fin da subito ad accentuarsi in Inghilterra. In quest’ultimo paese, il regime misto giunse a dare al popolo più di una semplice partecipazione al governo e, affermando che il principio della sovranità stava nel popolo, gli inglesi fecero del parlamento un organo di espressione della volontà popolare, fonte delle decisioni politiche.
4. La rappresentanza della società nel potere:
b. idea moderna di governo rappresentativo
Il secondo volto del governo rappresentativo si manifesta quando questo comincia a essere inteso non come semplice partecipazione del popolo al potere, ma come il governo del popolo attraverso i suoi rappresentanti eletti, che realizzano così, in modo indiretto, il “governo del popolo da parte del popolo”. In Inghilterra le trasformazioni politiche del sistema rappresentativo tradizionale hanno portato al parlamentarismo. Un’altra modalità di governo rappresentativo nello stesso senso — cioè di governo del popolo attraverso i suoi rappresentanti eletti — è nato negli Stati Uniti con il presidenzialismo, dal momento che ivi tanto il potere legislativo che quello esecutivo derivano dalla scelta popolare e si pensa che entrambi sono organi che eseguono la volontà del popolo.
Queste esperienze politiche — entrambe di fondamentale importanza — corrispondono all’idea della democrazia rappresentativa. Il popolo non governa direttamente sé stesso ma è al potere nelle persone di suoi rappresentanti. E non è al potere solamente per consigliare il capo di Stato, o anche per deliberare insieme a lui — come facevano i componenti della curia regis medioevale —, ma per decidere sovranamente.
La democrazia rappresentativa assume così la pienezza del suo significato. Non si tratta soltanto di un regime in cui il popolo è ascoltato e soddisfatto mediante istituzioni rappresentative adeguate a rappresentarlo davanti al potere, e neppure di una collaborazione del popolo con il governo a mezzo di suoi rappresentanti che sono al potere. Questi rappresentanti del popolo nel potere diventano i detentori del potere, ne coprono tutte le funzioni, si identificano con esso. Il popolo è il potere.
Da questo la concezione di Hans Kelsen: “Democrazia significa identità di governanti e di governati, di soggetto e di oggetto del potere, governo del popolo sul popolo” (7).
Pure da questo l’affermazione di Carl Schmitt che la democrazia realizza il principio di identità, opposto a quello di rappresentanza. A suo modo di vedere, il principio di rappresentanza è proprio della monarchia e il principio di identità caratterizza la democrazia. Quando tutto il popolo è soggetto al potere, vi è un’identità e non bisogna parlare di rappresentanza. Perciò Jean-Jacques Rousseau era irriducibilmente contrario alla rappresentanza, il che lo porta, in Du Contrat Social, a indirizzare al popolo inglese il rimprovero per cui — secondo le sue parole — pensava di essere libero, ma di fatto lo era solamente nel momento dell’elezione, divenendo poi schiavo del parlamento (8). Jean-Jacques Rousseau diceva che la volontà non si può rappresentare e perciò la volontà dei parlamentari non è la volontà del popolo.
Si noti che Carl Schmitt considera rappresentazione e identità come princìpi politici formali. Da questo punto di vista la democrazia esclude l’idea di rappresentanza, perché il popolo riunito non rappresenta il sovrano, ma è il sovrano, secondo l’espressione di Immanuel Kant ricordata dallo stesso Carl Schmitt: “So repräsentiert das vereignite Volk nicht bloss den Souverän, sondern es ist dieser selbst” . L’idea pura di democrazia come forma di governo — cioè governo da parte del popolo — sarebbe realizzata solamente se fosse possibile la democrazia diretta. È quanto ha compreso Jean-Jacques Rousseau criticando la rappresentanza della sovranità. Ma questa identità assoluta fra il popolo e il potere finirebbe per portare alla negazione del potere e della differenziazione fra governanti e governati, ossia fra potere e società. Sarebbe l’anarchismo, con esclusione dell’autorità assorbita nel popolo.
L’ideale del governo rappresentativo nelle democrazie moderne consiste appunto nel far dominare la volontà del popolo nel governo che lo rappresenta. Secondo Jean-Jacques Rousseau il problema si presenta come la quadratura del cerchio. E Carl Schmitt, indicando l’antagonismo fra l’idea di rappresentanza e l’idea di democrazia, mentre riconosce che “[…] non c’è nessuno Stato senza rappresentanza”, mostra che la democrazia pura è irrealizzabile, perché porterebbe all’annientamento dello Stato e alla disgregazione della società (9).
5. Considerazioni sulle forme di governo e di società politica
Proseguendo nell’analisi del pensiero di Carl Schmitt, è pure interessante notare che, considerando il principio della rappresentanza come caratteristico della monarchia, il discusso autore tedesco non ha presente le monarchie rappresentative, opposte a quelle assolute — cioè la monarchia temperata e limitata nel regime misto di governo —, ma mette soprattutto in risalto la rappresentatività esistente nelle monarchie assolute. In queste il monarca è in modo assoluto il rappresentante dello Stato in quanto unità politica. E Carl Schmitt conclude: “La monarchia assoluta è in realtà solo una rappresentanza assoluta” (10).
Da questa affermazione può sembrare che l’illustre giurista germanico cambi argomento. Dalla rappresentanza come mezzo di comunicazione del popolo con il governo — o di realizzazione della volontà popolare sugli organi del potere — passa alla rappresentanza della società da parte del potere come centro dell’unità politica. Non esiste certamente uno Stato senza rappresentanza, ma possono esistere Stati senza istituzioni rappresentative o senza che il popolo sia rappresentato nel governo. E tutto il problema di un ideale democratico di governo rappresentativo sta nel fatto che il potere non si limiti a rappresentare il popolo in quanto unità politica e venga esercitato secondo le aspirazioni popolari, manifestate talora in un modo diretto (plebiscito, referendum), ma ordinariamente attraverso rappresentanti designati dal popolo affinché siano i portatori di tali aspirazioni.
Carl Schmitt ha messo molto bene in risalto la non conciliabilità dell’idea pura di democrazia con il principio di rappresentanza. Proprio per questo la democrazia rappresentativa costituisce un regime misto in cui si riconoscono, accanto all’elemento democratico, altri elementi non democratici, per mettere in salvo l’unità del potere — che si annienterebbe se appartenesse a tutti — e anche per rendere possibile la formazione di élite dirigenti, dal canto loro veramente rappresentative, ma già con un carattere aristocratico.
Come abbiamo visto, il regime inglese è quello di un governo rappresentativo nella modalità aristodemocratica. Jean-Jacques Rousseau direbbe che il popolo inglese è schiavo del parlamento e che gli stessi inglesi potrebbero confermaglielo con quel famoso detto secondo cui il parlamento in Inghilterra può tutto, meno che trasformare un uomo in una donna e viceversa (11).
In realtà, però, qualunque democrazia che tenti di realizzarsi in quanto forma di governo, deve accettare la composizione di un regime misto, in cui un elemento personale — il capo del governo — o un elemento aristocratico — per esempio, la Camera Alta sul modello della House of Lords oppure del Senato americano — equilibri l’elemento propriamente democratico o popolare, con più o meno forza (12).
Uno dei primi teorizzatori del governo rappresentativo — e precisamente un inglese, John Stuart Mill —, preconizzandolo come “la miglior forma ideale di governo”, pensava che è necessario mantenere nei loro limiti razionali le funzioni dei corpi rappresentativi, distinguendo “[…] da un lato il compito di criticare e controllare, dall’altro la direzione effettiva della cosa pubblica”. Il primo di questi compiti — aggiungeva il noto autore — deve essere affidato ai rappresentanti della maggioranza, mentre la direzione degli affari pubblici può darsi in modo soddisfacente soltanto se viene affidata “[…] ad un piccolo numero di uomini eminenti, esperimentati, preparati da una educazione e da una esperienza particolare, personalmente responsabili di fronte alla nazione” (13).
Rappresentare la maggioranza e scegliere élite dirigenti sono state preoccupazioni costanti di quanti auspicano la realizzazione dell’idea democratica. La rappresentanza della società davanti al potere potrà essere tanto più perfetta quanto più sarà ampia. Ma la rappresentanza della società nel potere, per partecipare alla direzione della cosa pubblica, deve essere ristretta, e il governo sarà tanto più perfetto quanto più sarà stata rigorosa la selezione.
Queste considerazioni ci portano alla divisione delle forme di governo in monarchia, aristocrazia e democrazia, che viene dai greci, analizzata da Aristotele e tante volte ripetuta nel corso della storia delle idee politiche.
Fra le forme politiche possiamo distinguere forme di governo, di Stato e di società. Forme di governo sono la monarchia e la repubblica; Stato unitario e Stato federale sono forme di Stato; quanto all’aristocrazia e alla democrazia, sono piuttosto tipi di organizzazione sociale e non propriamente forme di governo: vi sono società più o meno aristocratiche (14), più o meno democratiche. La democrazia pura, come forma di organizzazione sociale, sarebbe una società completamente ugualitaria; sarebbe il comunismo assoluto, uno stato utopico. Dal punto di vista della forma di governo, una democrazia pura sarebbe l’anarchismo, a causa della totale identificazione del potere con la società, che porta con sé la scomparsa del potere.
Applicata al governo, la triplice divisione parte da un criterio quantitativo: la monarchia è il governo di uno solo; l’aristocrazia di alcuni, i migliori e i più atti a governare, che formano un’élite dirigente; finalmente la democrazia il governo di tutti, cioè di tutto il popolo.
Ma se prendiamo le parti di questa divisione non secondo un criterio quantitativo, ma qualitativo, cogliamo il suo significato più profondo. Bisogna anzitutto mettere in rilievo che queste parti non si escludono reciprocamente. Nella storia vi sono state monarchie rappresentative con partecipazione del popolo al potere e repubbliche aristocratiche in cui questi due elementi — l’aristocrazia e la democrazia — hanno coesistito. È importante superare il criterio quantitativo del numero per vedere in quella triplice divisione, dal punto di vista di una valorizzazione qualitativa, l’espressione di un ideale di governo. La monarchia significa unità e continuità; l’aristocrazia mette in risalto l’idea della selezione dei più capaci di governare; la democrazia apre al popolo la possibilità di partecipare al governo (15).
Unità, selezione e partecipazione popolare sono qualità di ogni buon governo, imprescindibili in un regime che sia autenticamente rappresentativo. Se vengono a mancare, l’operare del potere diventa precario e ne deriva l’interferenza di elementi estranei al potere politico nella sfera dell’azione che a questo compete.
È quanto accade, attualmente, in molti paesi nei quali le forze armate si vedono costrette a supplire alle mancanze del potere civile, quando questo compromette la continuità nazionale. Allora l’esercito cessa di essere il “grande muto” della tradizione francese d’anteguerra e passa a svolgere un’opera politica (16).
Per esempio, se manca la selezione, vediamo che gli organi istituzionali dello Stato subiscono la concorrenza di realtà più rappresentative e in grado di fornire uomini atti all’arduo compito di dirigere una nazione. In questo senso, l’attuale crisi del potere legislativo produce espedienti come la delega legislativa o riforme costituzionali che vanificano la separazione dei poteri e permettono al potere esecutivo di partecipare in modo più ampio all’elaborazione delle leggi, in altri tempi affidata esclusivamente ai parlamenti. Assumendo questa funzione, il potere esecutivo si serve di giuristi e di tecnici, questi ultimi legati a gruppi non ufficiali e che svolgono nel corpo sociale attività soprattutto di natura economica. Si può verificare anche la collaborazione di tecnici e di realtà non governative con i parlamenti, il cui compito, nel processo legislativo, tende ovunque a ridursi e a essere condiviso con altri organi statali o non statali (17).
Quanto alla partecipazione della società al governo, bisogna notare che tende a essere fatta proprio da alcuni di questo organismi non governativi, di carattere inequivocabilmente rappresentativo: ordini delle professioni liberali, associazioni di lavoratori, culturali o sportive, riunite in federazioni e in confederazioni.
Se, secondo Pontes de Miranda, l’idea di “rappresentanza” non è essenziale ai parlamenti, perché vi è stata “rappresentanza” senza parlamenti, bisogna anche dire che vi sono parlamenti senza rappresentanza. Può accadere che questa si trovi soltanto negli organismi rappresentativi della società reale, dalla quale coloro che vengono pomposamente definiti “rappresentanti del popolo” si sono separati completamente e si trovano a leghe di distanza (18).
José Pedro Galvão de Sousa
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(1) Cfr. Eric Voegelin, La nuova scienza politica, trad. it., Borla, Torino 1968, pp. 93-94.
(2) Ibid., p. 94.
(3) Cfr. ibid., pp. 94-95. L’autore fa un esempio: un delegato alle Nazioni Unite è agente del suo Governo e procede secondo le istruzioni ricevute; il governo che lo ha designato è rappresentante della rispettiva società politica.
(4) Cfr. ibid., pp. 99-100.
(5) Cfr. il mio Política e Teoria do Estado, Saraiva, San Paolo 1957, p. 133.
(6) Due esempi molto chiarificatori sono quelli del Portogallo, la cui nazione è stata tagliata a colpi di spada dal conte Henrique, a capo dei baroni di Entre-Douro e del Minho, e quello della Francia, la cui unità politica fu il risultato dell’opera costante e ferma dei suoi re. Ricordiamo il significato dei termini dux e rex, entrambe espressione di funzioni specifiche dell’autorità: il dux guida (da ducere), spinge, prende l’iniziativa; il rex regge, organizza, mantiene un ordine.
(7) Hans Kelsen, Essenza e valore della democrazia, in Idem, I fondamenti della democrazia e altri saggi, trad. it., il Mulino, Bologna 1966, pp. 18-19.
(8) Jean-Jacques Rousseau, Du Contrat Social, libro III, cap. 15: “La Souveraineté ne peut être représentée par la même raison qu’elle ne peut être aliénée”, e così via.
(9) “Una totale, assoluta identità del popolo di volta in volta presente con se stesso in quanto unità politica non esiste in nessun luogo e in nessun istante. Ogni tentativo di realizzare una democrazia pura o diretta deve osservare questi limiti dell’identità democratica. Altrimenti la democrazia diretta non significherebbe altro che la dissoluzione dell’unità politica” (C. Schmitt, Dottrina della costituzione, cit., p. 273). Sui due princìpi di identità e di rappresentanza, cfr. tutto il § 16, n. 2, di quest’opera, dove si trovano gli altri passi prima citati (p. 272).
(10) Ibid., p. 271.
(11) In teoria, i poteri del parlamento britannico non hanno limiti; nella realtà politica, stanno diminuendo di giorno in giorno.
(12) Nell’evoluzione del regime inglese, la rappresentanza aristocratica dei Lord è venuta cedendo terreno alla rappresentanza democratica della Camera dei Comuni, e il Governo è venuto guadagnando maggiore importanza (soprattutto, oggi, il primo ministro). Prendendo in considerazione l’elemento personale, il presidente della Repubblica, negli Stati Uniti, supera di molto, in potere, il re o la regina d’Inghilterra.
(13) John Stuart Mill, Considerazioni sul governo rappresentativo (1861), trad. it., Bompiani, Milano 1946, pp. 47 e 100.
(14) In questo contesto l’aristocrazia mira a esprimere categorie sociali influenti e rappresentative, uomini scelti. Le aristocrazie si sono formate sulla base del valore militare e di servizi prestati alla collettività (noblesse oblige). Da quando sono entrate in decadenza, si sono infiacchite e sono degenerate nella vita di corte. Le aristocrazie del sangue sono state sostituite da quella del denaro (plutocrazia) e dalle oligarchie politiche.
(15) Quando in una società politica non esiste la tradizione dinastica — che implica potere ereditario—, bisogna, per esprimere la stessa idea di unità politica, parlare di monocrazia. Così, nel regime americano, il presidente opera con più forza di molti monarchi. Negli Stati Uniti, come nella Russia sovietica, se non vi è monarchia, ne fa le veci, per assicurare l’unità sociale, una potente monocrazia.
(16) Non si confonda questo operare del potere militare, legittimato dalle mancanze del potere politico, soprattutto difronte all’attuale congiuntura mondiale della guerra rivoluzionaria, con i pronunciamientos o con le insurrezioni di eserciti coinvolti nelle lotte politico-partitiche.
(17) Nella sua introduzione alla 9a ed. della classica opera di Albert Venn Dicey, Introduction to the Study of the Law of the Constitution, Macmillan and Co., Londra 1952, pp. XLIV-XLV, Emlyn Capel Stewart Wade attira l’attenzione sulle numerose autorità sociali indipendenti dallo Stato (“indipendent statutory authorities”) che partecipano alla funzione legislativa, cita, come esempi, l’Unemployment Assistance Board e l’Agricultural Marketing Board, e conclude così: “In questo modo la supremazia politica del Parlamento come organo legislatore diventa sempre più inconsistente”; e aggiunge: “Un governo veramente rappresentativo può essere realizzato solo imperfettamente da un legislativo che opera in modo indipendente. Per produrre una coincidenza fra il potere legislativo e il suddito sono essenziali altre modalità”.
(18) Pontes da Miranda, Democracia, Libertade, Igualdade, José Olympio, Rio de Janeiro 1945, p. 180: “L’idea di rappresentanza non è essenziale ai parlamenti. Vi è stata rappresentanza senza parlamento. Tanto nel diritto privato quanto nel diritto pubblico, si è sempre parlato di rappresentanza senza mescolare a essa il concetto di scelta o di elezione da parte del rappresentato. Chi rappresenta fa le veci del rappresentato, senza nessun legame: in virtù di qualche fatto estraneo alla volontà del rappresentato o, almeno, senza che questa volontà sia qualcosa di più di una giustificazione esteriore, se non semplice metafora”.