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La riconquista cristiana della Sicilia (1061-1091)

7 Ottobre 2011 - Autore: Alleanza Cattolica

di Marco Tangheroni

 

1. La conquista musulmana

La conquista musulmana della Sicilia, operata a partire dall’827, con lo sbarco a Mazara di truppe composte da arabi, da berberi e da ispano-musulmani, fu il frutto di una lunga guerra combattuta contro l’impero romano d’Oriente, o impero bizantino. Tappe decisive sono la conquista di Palermo, nell’830, la capitolazione della piazzaforte di Enna, in posizione strategica, nell’859, la conquista sanguinosa — accompagnata da massacri e da deportazioni, dopo disperata ed eroica resistenza — di Siracusa, nell’878, anche se dopo questa data altri centri della parte orientale dell’isola continuano a resistere, e pure a lungo. Man mano che la conquista procedeva, i musulmani applicano ai vinti le condizioni dettate dal Corano nei confronti delle “genti del Libro”, cristiani ed ebrei, che, come cittadini non musulmani in uno Stato retto dalla legge islamica, sono nella condizione di dhimmi, di “protetti”: costoro sono esentati dalla zakât, la decima, ma sottoposti al pagamento della jizya, l’imposta di protezione, e potevano vivere indisturbati partecipando alla vita sociale e amministrativa dello Stato, ma non a quella politica. In particolari circostanze, o sotto alcuni capi, tale condizione non era rispettata e veniva, di fatto, assai aggravata. L’islamizzazione dell’isola è quasi completa nella parte occidentale, mentre la popolazione rimane in buona parte cristiana, di rito greco, in vaste aree della Sicilia Orientale, dove sopravvivono non pochi monasteri. Numerose, comunque, sono le conversioni di vassalli e di servi.

Alla dinastia degli Aghlabiti — fondata dall’emiro Ibrahim al-Aghlab, scomparso nell’812 — succede, dal 910, quella dei Fatimiti, di osservanza sciita — che faceva risalire le proprie origini a Fatima, figlia del profeta Muhammad (570 ca.-632) —, costretta a fronteggiare rivolte “interne”, in particolare di gruppi berberi. Fra il 948 e il 1053 s’impone in Sicilia la dinastia kalbita — discendente dalla tribù dei kalb —, dotata di ampia autonomia e creatrice di una civiltà fastosa. Ma la fine dell’unità politica è segnata, dopo il 1053, da turbolente lotte fra i capi militari, al termine delle quali il potere nell’isola resta diviso fra quattro kaid, “condottieri”, due dei quali berberi. Un quadro che si contrappone a un significativo sviluppo economico, conseguente sia all’introduzione di nuove tecniche agricole e artigianali, sia allo sfruttamento commerciale della posizione centrale occupata dalla Sicilia nel Mediterraneo.

 

2. L’arrivo dei normanni

Nel secolo IX, forti della loro superiorità marittima, i saraceni erano arrivati, oltre che a conquistare la Sicilia e a isolare la Sardegna, a costituire un emirato a Bari (840-870), a installarsi alle foci del Garigliano, nel basso Lazio, e, da qui, a compiere scorrerie contro la stessa Roma — con l’attacco alle basiliche di San Pietro e di San Paolo fuori le Mura, nell’846 —, e a insediarsi a lungo in Provenza. Tuttavia, quasi contemporaneamente, inizia la riscossa dei paesi cristiani.

Mentre il processo di riconquista della penisola iberica, occupata dai mori nel secolo VIII, parte dagli stessi abitanti, in Sicilia, dal punto di vista dei protagonisti, si dovrebbe forse parlare semplicemente di “conquista normanna”. I normanni, che poco conservavano delle loro tradizioni e forme di vita originarie — quelle delle terribili scorrerie vichinghe dei secoli VIII e IX —, provenivano dal ducato di Normandia, in cui si erano insediati stabilmente, cristianizzandosi e divenendo linguisticamente francesi. Giunti in Italia, dapprima come pellegrini, quindi come mercenari, già nella prima metà del secolo XI, con il loro valore militare, che coniugava astuzia e violenza, riescono a inserirsi nella complessa realtà politica dell’Italia Meridionale, divisa in ducati tirrenici — Napoli, Gaeta e Amalfi — di origine bizantina e di fatto autonomi, principati longobardi — Benevento, Salerno e Capua —, e territori sotto il governo dell’impero d’Oriente — Puglia e Calabria —, ripetutamente scossi da rivolte degli elementi locali e dalle conseguenti controffensive imperiali.

Fra i capi normanni emerge Roberto di Altavilla (1015 ca -1085), detto il Guiscardo, cioè l’astuto, che per affermare in modo definitivo la sua autorità sopra gli altri capi militari, ognuno dotato di uomini fedeli e di terre conquistate, aveva necessità di una legittimazione, che poteva venirgli solo da una delle due autorità universali: l’Impero d’Occidente e i suoi imperatori germanici, lontani ma spesso interessati alle vicende dell’Italia del Sud, e il Papato, con il quale i rapporti divennero ben presto decisivi. Da parte loro i Pontefici della metà del secolo XI e dei decenni successivi, pur preoccupandosi della situazione politica, innanzitutto di Roma e poi anche dell’Italia Meridionale, intendevano portare a termine la riforma ecclesiastica — detta impropriamente gregoriana dal suo più celebre esponente, Papa Gregorio VII (1073-1085) —, affermando la libertas Ecclesiae contro ogni ingerenza laica, compresi gli stessi imperatori che pure, con Enrico III (1017-1056), avevano imposto pontefici riformatori alla riottosa aristocrazia romana.

Papa Leone IX (1048-1054) organizza un esercito antinormanno, clamorosamente sconfitto a Civitate, in Puglia, nel 1053. Tale battaglia, però, è la premessa di un dialogo fra gli “uomini del Nord” e la curia romana, che si concretizza, dopo l’elezione di Papa Niccolò II (1059-1061), nell’accordo di Melfi, dell’agosto del 1059. In base a questo, mentre il Pontefice assolve i normanni Riccardo di Capua (m. 1078) e Roberto il Guiscardo dalle scomuniche precedenti e riconosce le conquiste da essi conseguite, dando a Roberto il titolo di “per grazia di Dio e di San Pietro duca di Puglia e di Calabria e, con l’aiuto dei due, futuro duca di Sicilia”, essi giurano fedeltà al Papa e alla Chiesa, impegnandosi a difendere non solo i territori pontifici ma anche le nuove modalità di elezione dei papi da parte dei cardinali, frutto della riforma ecclesiastica.

 

3. L’inizio della riconquista

Questo accordo è la premessa del progetto di riconquista della Sicilia, preceduto dalla conquista delle città bizantine di Reggio e di Squillace, nel 1059, e dall’accordo di Ruggero d’Altavilla (m. 1101), presto noto come “il Gran Conte”, con uno degli emiri dell’isola, Ibn al-Thumna (m. 1062). Le operazioni militari hanno inizio nel 1061 con l’audace assalto, per terra e per mare, alla città di Messina, conquistata quasi senza opposizione. Gli sviluppi successivi, tuttavia, non sono altrettanto semplici, sia per la resistenza opposta da Centuripe, sito fortificato che controllava dall’alto tutta la piana di Catania, e da Castrogiovanni, ove l’emiro Ibn al-Hawas (m. 1063/1064) guidava la difesa nella valle dell’Enna, sia per la partecipazione di Ruggero alle campagne di Puglia del fratello Roberto. L’intervento nell’isola di un esercito africano è reso vano dall’importante vittoria cristiana di Cerami, nell’estate del 1063, dopo la quale gli esponenti della nuova dinastia zirita — berberi già luogotenenti dei Fatimiti — rinunciano a sostenere la presenza musulmana in Sicilia. A quella data, tuttavia, i normanni hanno il controllo diretto soltanto di Messina e del Val Demone, mentre capi musulmani più o meno stabilmente a essi legati governano Siracusa, Catania e il Val di Noto; Ibn al-Hawas, invece, continua a dominare Caltanissetta, Girgenti e il Val di Mazara, mentre Palermo, dove si era affermato un governo cittadino autonomo, resta, con Trapani, il centro della resistenza anti-normanna. Palermo viene attaccata, nel 1064, da una spedizione pisana che, in assenza di un’intesa con Ruggero, si conclude con il saccheggio del porto e dei dintorni della città: il bottino verrà utilizzato dalla città toscana per avviare la costruzione di una nuova grande cattedrale.

La conquista della Sicilia riceve un nuovo e decisivo impulso soltanto dopo il definitivo successo della politica di unificazione dell’Italia Meridionale con la conquista di Bari, il 16 aprile 1071. Già nell’agosto di quell’anno i normanni — che, oltre a disporre di una propria flotta, avevano perfezionato le tecniche di assedio e utilizzavano macchine e scale perfezionate — possono stringere d’assedio Palermo, che capitola, il 10 gennaio 1072, in seguito all’attacco congiunto di Roberto e di Ruggero. Roberto aspetta quattro giorni prima di entrare solennemente in città, dove nella moschea, trasformata nella chiesa di Santa Maria, viene celebrato un rito solenne. Vengono restituiti beni e autorità all’arcivescovo, relegato dai saraceni nella piccola chiesa di San Ciriaco, che aveva mantenuto vivo il culto cristiano, sebbene fosse — annota il benedettino Goffredo Malaterra, cronista normanno del secolo XI — “timido e greco di nazionalità“.

Anche Mazara capitola in cambio della garanzia che, come a Palermo, i nuovi sudditi dei normanni potessero continuare a professare la propria religione e a vivere secondo i suoi dettami. Rientrato Roberto nella penisola, dove avvierà un tentativo di espansione nell’attuale Albania, resta nell’isola Ruggero, con forze limitate, che prosegue la guerra evitando scontri campali e alternando, nei confronti dei musulmani dell’isola, azioni terroristiche — distruzione dei raccolti, cattura di greggi e armenti, uccisione di gruppi di resistenti — e gesti di tolleranza, come la coniazione di monete con iscrizioni tratte dal Corano.

Egli mostra così di voler estendere la propria autorità a tutta l’isola, tenendo conto della sua complessa realtà etnica e religiosa. In quest’ottica, pur cominciando a creare diocesi di rito latino e obbedienza romana, favorisce pure le istituzioni ecclesiastiche “greche”, ancora particolarmente solide nella Sicilia Orientale. Il Papato si accontenta di sovrintendere alla rifondazione delle istituzioni ecclesiastiche latine attuata direttamente da Ruggero con scelte personali, in genere ratificate a posteriori, giudicando importante la rinascita di una rete ecclesiale legata a Roma e la diffusione della riforma. Non sfugge, dunque, ai Pontefici e alla curia romana il carattere particolare della rinata chiesa siciliana di rito latino, definita correttamente dallo storico Paolo Delogu come “chiesa di frontiera”.

Dal 1077 la spinta militare normanna riprende slancio, con vittorie prima a Trapani, poi nelle regioni orientali. Proprio qui, da Siracusa, un capo musulmano, Ibn Abbad “Benavert” organizza un’ultima controffensiva, riconquistando Catania e saccheggiando la Calabria meridionale. Essa, però, viene schiacciata da Ruggero con una risolutiva spedizione, nel maggio del 1086, e lo stesso Benavert perde la vita cercando di dare l’arrembaggio alla nave del conte. Dopo cinque mesi di assedio, capitola Siracusa, quindi Girgenti, Castrogiovanni, Noto e, nel 1091, l’isola di Malta.

 

4. Una riconquista cristiana

Gli storici moderni e contemporanei hanno molto discusso sulle motivazioni che spinsero i normanni alla conquista della Sicilia e al peso di quelle più schiettamente religiose. Secondo Malaterra, il rilievo delle contrapposizioni etnico-religiose fu notevole e non si ridussero al conflitto cristiano-musulmano: per il monaco cronista, se i musulmani sono la feccia della terra, i greci di Sicilia e di Calabria “gente perfidissima”, i longobardi del Mezzogiorno sempre pronti alla guerra, i pisani attenti solo al guadagno e privi di coraggio, i romani venali e dediti alla simonia. Ed egli non nasconde, fra le motivazioni che animavano Ruggero al momento di passare in Sicilia, la sua personale ambizione: “[…] due cose ritenendo utili per sé, cioè all’anima e al corpo, richiamare al culto divino una terra dedita agli idoli e prendere possesso temporale dei frutti e dei redditi usurpati da una gente ingrata a Dio”. Tuttavia, con il passar del tempo, mentre la guerra andava semplificandosi rispetto all’intreccio dei primi anni, nei quali forze musulmane erano alleate dei normanni, e assumeva marcati caratteri di contrapposizione religiosa, Ruggero ebbe una sorta di conversione secondo il modello del perfetto re cristiano: “[…] per non sembrare ingrato, cominciò a vivere come uno tutto dato a Dio; ad amare le giuste sentenze, a fare eseguire la giustizia, ad abbracciare la verità, a frequentare le chiese con devozione, ad assistere ai canti sacri, a pagare la decima di tutti i suoi redditi alle chiese, a consolare le vedove e gli orfani”.


Per approfondire: vedi Salvatore Tramontana, La monarchia normanna e sveva, in Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, vol. III della Storia d’Italia diretta da Giuseppe Galasso, Utet, Torino 1983, pp. 435-810.

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