Irene Pivetti, Cristianità n. 232-233 (1994)
Il 27 agosto 1994 il presidente della Camera dei Deputati, on. Irene Pivetti, è intervenuta a Rimini al Meeting per la Pace e l’Amicizia fra i Popoli, intitolato E il popolo esiliato continuò il suo cammino, presentata dal dottor Giorgio Vittadini, presidente nazionale della Compagnia delle Opere. All’intervento ha fatto seguito una violenta e articolata aggressione da parte dei mass media. Trascriviamo, con un titolo redazionale, il testo diffuso dalla segreteria del Meeting come comunicato n. 120.
Il testo all’origine di polemiche dottrinali e di fatto
La riconquista oltre l’esilio e la regalità dolorosa di Cristo
Amici del Meeting, grazie. Grazie per avermi invitato a condividere questa festa, grazie per avermi invitato a condividere la vostra gioia insieme, una volta di più e con ancora maggiore forza. Grazie per avermi invitato ad essere uno, uno con voi; insomma grazie di avermi invitato ad essere «noi». Noi siamo un popolo solo, abbiamo una fede sola, una speranza sola e una sola carità: per tutto questo grazie. Tutti noi che siamo popolo per questo fatto, per questa realtà forte, dirompente della fede in un fatto, quell’atto di amore sconvolgente che è l’incarnazione, siamo qui per continuare sia pure indegnamente questo fatto nella nostra vita.
Siamo qui per essere un pezzo di Chiesa: la Chiesa Cattolica è il fatto dell’Incarnazione che continua nella storia. Anche per questo ammiro la vostra scelta di avere voluto, quest’anno con particolare decisione, essere soprattutto un avvenimento ecclesiale con questa vostra festa del Meeting perché il fatto della fede non può sopportare la gabbia della traduzione automatica in politica, della riduzione a sola politica. Lo ha appena ricordato con tanta energia Vittadini.
Ebbene, insieme, essere fatto ecclesiale, pubblicamente, vigorosamente, un fatto di cui non si può non tenere conto, un fatto di cui non si può non parlare sulla stampa e anche nella vita politica. Perché se la Chiesa è un popolo, è un popolo che si vede e che si deve vedere, e come lo si vede qui questo popolo.
Avete detto Il Popolo Esiliato, si è parlato tanto di questo popolo esiliato che avete messo a titolo di questo Meeting, e certo il popolo cristiano è in esilio sulla terra, siamo tutti noi esiliati dalla Patria Celeste in cui torneremo forse un giorno, se saremo in Grazia di Dio; ma San Paolo dice anche, e il libro delle ore lo ricorda ogni giovedì, che non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei Santi e familiari di Dio. Dunque, nell’esilio ci è offerta la possibilità di una nuova cittadinanza.
Qualcuno in questo Meeting ha voluto ricordare alcuni dei molti esilii del Popolo di Dio, ma guai a noi se traessimo dalla condizione di esiliati l’alibi per un’etica rinunciataria, guai a noi se con la scusa dell’esilio rinunciassimo anche solo un momento a combattere la buona battaglia di cui parla San Paolo. Perché il cristiano sarà anche esiliato nella storia, ma mai perdente. Perché l’inizio dell’esilio di solito è in una colpa, ma l’esilio ha anche una fine, di solito, per una redenzione. Perciò, se permettete, ho il privilegio oggi di parlare nella giornata conclusiva del Meeting e subito prima di questa vostra assemblea che non potrà non essere fortemente propositiva, rilancio il titolo del Meeting leggendolo così: il popolo esiliato, cioè che è stato esiliato, e non che è in esilio, il popolo che ha passato un periodo di sofferenza, di smarrimento, di perdita di identità, ma che ha adesso l’occasione di ritrovarsi.
L’esilio da cui usciamo in questo momento come cattolici nel nostro paese è anche il grande equivoco politico che dava il nome di cristiano ad un partito nel quale tutti noi come cattolici avremmo dovuto riconoscerci e invece ha consentito, nei fatti, la vera scristianizzazione di questa società tradendo quei valori per cui era nato. Un equivoco che si è fatto forte della buona fede, della buona volontà di tanti che hanno creduto la traduzione politica dei valori in cui credevano e in cui continuano a credere: ma quella politica ha portato il nostro paese lontano da quei valori, valori che non sono più oggi garantiti, e faccio un esempio per tutti, che è molto chiaro: la difesa della vita. Si parla quindi di laicità della politica, certo, ma il laicismo della società, quello no.
Ora l’equivoco si è chiarito nei fatti e noi possiamo dire che l’esilio ideologico, largamente in terra d’altri, è finito, ha l’occasione di essere finito ed è finita l’epoca in cui ci si doveva quasi vergognare di affermare la propria irriducibile identità di fede perché l’esilio è anche il non avere chiara la propria identità, è perdere le radici della propria tradizione e l’orgoglio della propria storia in quanto storia del popolo di Dio, del grande popolo di Dio raccontata anche nelle mostre di questo Meeting.
Bene, voi sapete che cosa dice il Signore a Giosuè alla fine dell’esilio di Egitto; si trovano da questa parte del Giordano, e gli dice: attraversa questo Giordano tu e questo popolo verso quel paese che io do loro. Solo sii forte e molto coraggioso cercando di agire secondo tutta la Legge che ti ha prescritto Mosè, mio servo, non deviare da essa né a destra né a sinistra perché tu abbia successo in qualunque tua impresa. Dunque, alla fine dell’esilio c’è da conquistare la Terra Promessa rimanendo fedele a Dio, e nel Nuovo Testamento tutto il mondo è la Terra Promessa, compresa la nostra società. Questo significa per tutti noi cattolici oggi riprendere l’iniziativa. Significa essere una presenza forte come tutti voi siete a questo Meeting, e non solo a questo Meeting. Nelle opere sociali, nelle scuole libere, negli ospedali e nelle tante opere di assistenza a chi ha bisogno, a chi non ha un lavoro e a chi non ha una casa. Questo la Chiesa lo ha sempre fatto. E stata, nei secoli, maestra di carità e voi nella Chiesa continuate a farlo specialmente con questa Compagnia delle Opere.
Io ho nel cuore un esempio, un esempio che mi avete dato, una testimonianza generosa degli amici dell’AVSI [Associazione Volontari per i Servizi Internazionali, di Cesena, in provincia di Forlì (ndr)]. Voi conoscete la questione del Ruanda. Bene, di fronte alla tragedia del Ruanda c’è stata l’indifferenza della politica e ci sono stati gli ostacoli della burocrazia. Sono stati loro, gli amici dell’AVSI, che hanno opposto a tutto questo il coraggio e la forza di prendere il dolore degli altri, e di portarne un pezzo sulla propria spalla. Grazie amici dell’AVSI. Se lo meritano questo applauso; grazie perché adesso le cose stanno andando un po’ meglio, grazie a questa forza, a questo coraggio e a questa fedeltà.
Però tutto questo non basta, la Chiesa non è una società filantropica.
La Chiesa con la carità regala la verità e la giustizia divina, perché non basta arginare il disagio sociale frutto di regole ingiuste, bisogna governare le regole, bisogna rifare le regole, se è necessario, per ordinare la società alla volontà di Dio. Questo bisogna fare: non lasciamoci rinchiudere nella riserva delle buone opere, anche se sono buone. «Tutto è vostro, dice San Paolo, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio»; tutto, quindi anche la regola. Ecco, questo vuol dire fare politica per un cristiano che sa che ogni ordinamento sociale, che ogni autorità viene da Dio e ha in lui il suo fondamento. Questa non è l’opinione dei cattolici, questo è l’ordine delle cose, per il bene di tutti, i cattolici e i non cattolici.
Fare politica per un cattolico vuol dire in ultima analisi affermare visibilmente la regalità di Cristo sulla società e sulla storia. Anche per questo il cattolico rispetta le istituzioni, anche per questo il giorno del mio insediamento alla Camera ho detto: «Mi inchino alla Costituzione», perché la sovranità popolare che le istituzioni rappresentano è pur sempre un segno, per quanto transitorio e imperfetto, di quella regalità divina che è fonte di ogni regalità.
Ora con questo io potrei anche concludere: un invito insomma a non fare dell’esilio un alibi per abbandonare il campo, anzi chiedendovi di partire tutti insieme per la riconquista. Invece, quasi in confidenza, vorrei leggere una cosa. Voi sapete che quest’anno sono stata in Vandea, una terra e un popolo di martiri della fede. Tra le molte cose che ho visto, ho visto il memoriale di Le Lucs sur Boulogne, uno dei molti, moltissimi villaggi distrutti. Un villaggio che ha visto il massacro di tutti gli abitanti, quasi 500 persone, di tutte le età, compreso un neonato di 15 giorni e una donna di 94 anni. Nel memoriale di Le Lucs sono conservate diverse reliquie di questo martirio, e in particolare una reliquia della fede. Durante il Terrore, ai sacerdoti che non avessero prestato giuramento, naturalmente allo Stato, era impedito di celebrare in chiesa, erano costretti a nascondersi. Bene, questa gente celebrava nei boschi. Nel memoriale di Le Lucs è conservato un ostensorio di questi preti refrattari, che celebravano la Messa nel bosco, un ostensorio di cartone, miracolosamente sopravvissuto, e che porta ancora i segni di qualche piccola decorazione, che i paesani di Le Lucs avevano voluto applicare su questo cartone: qualche fiorellino secco, per abbellire, una minuscola colomba dello Spirito Santo, fatta di mollica di pane.
Ho pensato, guardando questo ostensorio, non d’oro ma di cartone, che tutte le volte che hanno voluto farlo re Gesù è scappato e ha accettato una sola corona nella sua vita, quella di spine. È nel modo misterioso, e proprio attorno a questa regalità dolorosa di Cristo che si costruisce il popolo di Dio. Quest’ostensorio di cartone era come il segno della corona di spine, la regalità dolorosa di Cristo che si afferma nella storia. Quell’ostensorio segno della fede che è sempre perseguitata ma è sempre vincente, e dell’eroismo del popolo che la difende. Un ostensorio che è durato più di duecento anni.
Io penso che tutti noi, forse specialmente chi di noi fa politica, ma comunque ogni cattolico, dovrebbe essere un po’ come quell’ostensorio di cartone: modesto fin che si vuole, ma trasparente di Dio in qualche modo. E proprio per quello dura attraverso i secoli una adesione alla regalità dolorosa di Cristo, che è capace di passare il testimone. E allora e soltanto allora, irriducibilmente e ostinatamente, il popolo è stato esiliato, allora si continua il suo cammino. Grazie.
Irene Pivetti