Jean Dumont
La conoscenza cattolica della Rivoluzione francese ricompare dopo molto tempo.
Sono soltanto di questi ultimi anni la mirabile sintesi di Jean de Viguerie, Christianisme et Révolution, comparsa nel 1986 (1), e il corposo volume documentario che io stesso ho pubblicato nel 1984 con il titolo La Révolution française ou les prodiges du sacrilège (2). Fino ad allora regnavano incontrastati sulla conoscenza cattolica della Rivoluzione un democratismo cristiano e un giacobinismo clericale gravemente deformanti, con conseguenze che sono state pesanti e che continuiamo a pagare.
Le paghiamo chiaramente in quel modo di concepire e di presentare il Concilio Ecumenico Vaticano II che ha fatto esclamare a Maurice Clavel, un “cristiano di sinistra”, che la “filosofia” rivoluzionaria aveva ispirato tale concilio e che si era impadronita della Chiesa. E questo modo di presentare questo concilio ha portato gli uni alla rottura in nome della Tradizione, gli altri all’avventura neo-rivoluzionaria.
Fra gli amici e gli ispiratori di questi ultimi si trovano Robert Christophe, prete e storico di Lilla, e soprattutto Bernard Plongeron e Pierre Pierrard, professori al molto progressista Institut Catholique di Parigi, propagandisti con altri progressisti del gallicanesimo giacobino, quindi della sua Chiesa Costituzionale del tempo della Rivoluzione, condannata da Papa Pio VI.
Questi preti neo-giacobini trovano oggi un uditorio più preparato, e i cattolici possono formarsi un’opinione contraria ai loro giudizi a senso unico.
La violenza dei “pamphlet” antireligiosi
Non era questa la situazione negli anni in cui fu preparato e si è svolto il Concilio Ecumenico Vaticano II. Allora a rappresentare la storiografia cattolica sulla Rivoluzione vi erano quasi soltanto due democristiani: il docente universitario André Latreille, autore de L’Église catholique et la Révolution française, pubblicato a Parigi nel 1946-1950 (3), collaboratore “d’avanguardia” di Le Monde; e lo storico a grande diffusione Henri Daniel-Rops, che si ispirò a André Latreille nei suoi L’Église des Temps classiques. L’Ère des Grands Craquements e L’Église des Révolutions. En face des nouveaux destins, editi a Parigi rispettivamente nel 1958 e nel 1960 (4).
Volendo vedere a ogni costo nella Chiesa e nella Rivoluzione, come pure nella fede e nella Rivoluzione, sorelle gemelle che non potevano far altro che amarsi d’un tenero amore, questi due autori sono giunti a enunciare le più enormi contro-verità. Così André Latreille scriveva: “La Rivoluzione in Francia è cominciata in un’atmosfera d’accordo e d’armonia fra la Chiesa e la Nazione. […] Ne danno testimonianza tutte le pubblicazioni che pullulano durante il periodo di preparazione degli Stati Generali” (5). Al contrario, come ho mostrato dettagliatamente nel mio volume documentario del 1984 (6), ciò che più colpisce nel diluvio di opuscoli diffusi nel 1788 e nel 1789 è il gran numero, la violenza, la grossolanità dei pamphlet antireligiosi, che non risparmiarono nulla e nessuno della Chiesa e della fede. Di contro vi è precisato che tale diluvio non comprende nessun pamphlet antimonarchico e soltanto lievi e generalmente rispettose critiche antiaristocratiche, per esempio il Discours aux habitants de Draguignan del rivoluzionario tipico Maximin Isnard. Invece uno dei pamphlet che attaccano la Chiesa di Roma, che ha come sottotitolo L’Église gallicane ed è datato 10 marzo 1789, constata che di fatto la Chiesa è allora “una piazzaforte assediata da ogni lato con ostinazione”, e nelle quale si rischia di essere “trattati a discrezione”, cioè liquidati. Ed è quanto effettivamente si appresta a fare la Rivoluzione.
Certo, il pamphlet che ho appena citato, come la maggior parte dei pamphlet anticristiani del tempo, non figura alla Bibliothèque Nationale di Parigi, dal momento che è ignorato dal Catalogue de l’Histoire de la Révolution di questa biblioteca. Fra l’altro, questo fatto fa riflettere sugli occultamenti operati nella documentazione relativa alla Rivoluzione. Ma uno storico come André Latreille, così scrupolosamente democratico e cristiano, aveva il dovere di controllare le sue fonti. Se l’avesse fatto, avrebbe scoperto, come ho fatto io, e fra tanti altri, un secondo pamphlet della primavera del 1789, intitolato Le Diable dans l’eau bénite ou l’iniquité retombant sur elle-même, anch’esso mancante alla Bibliothèque Nationale. Si tratta di un pamphlet ridondante di formule poco “armoniose” nei confronti della fede e della Chiesa: “il fanatismo credulone insinuato nelle anime”, “le menzogne religiose”, “la stupidità della morale” cristiana, i monaci e i religiosi dei due sessi “parassiti divoratori dei beni della nazione”, e così via.
Il programma di distruzione della Chiesa
Si tratta inoltre di un pamphlet di un interesse storico considerevole in quanto giunge a lanciare il programma preciso della prima fase della distruzione della Chiesa, che sarà realizzata dalla Rivoluzione negli anni dal 1789 al 1792, prima della distruzione totale del 1793: soppressione di tutte le congregazioni e di tutti i monasteri, soppressione della decima l’imposta ecclesiastica , riduzione massiccia del numero dei vescovadi e degli arcivescovadi. Questo si aggiunge al sequestro dei beni della Chiesa reclamato da un altro pamphlet, anch’esso non più esistente alla Bibliothèque Nationale, Conversation entre Mgr A e Mgr B, e all’elezione dei vescovi da parte della Nazione, reclamata nel pamphlet L’Église gallicane, già citato, e in Le Clergé dévoilé, che invece figura alla Bibliothèque Nationale.
Tutto questo si deve comprendere nello spirito del più grande successo editoriale dell’epoca, l’Histoire philosophique et politique des établissements et du commerce des Européens dans les deux Indes, di Guillaume-Thomas- François Raynal, la cui seconda edizione riveduta è del 1780 e nel quale si legge: “Lo Stato non è fatto per la religione, ma la religione per lo Stato” (7). Nella stessa opera la religione cristiana é definita in questi termini: “Invenzione di uomini abili e fanatici che […] cercarono in cielo la forza che mancava loro e ne fecero scendere il terrore” (8).
Così la Rivoluzione si annunciava, ancor prima di nascere, con precisione e con violenza, per quello che sarebbe stata, cioè sostanzialmente anticristiana, mentre le sue altre caratteristiche si sarebbero rivelate superficiali o secondarie. Da questo si può ben valutare l’aberrazione di André Latreille che scrive anche: “Nulla poteva essere più estraneo ai deputati della Nazione della volontà di entrare in conflitto con la Chiesa tradizionale” (9); oppure l’aberrazione di Henri Daniel-Rops che ripete: “Ai suoi inizi la Rivoluzione non sarà assolutamente ostile alla Chiesa” (10), mentre i fatti, in gran numero, e i loro testimoni più attendibili mostrano proprio il contrario.
In meno di un anno dalla presa della Bastiglia
Il primo atto di violenza della Rivoluzione non è la presa della Bastiglia, ma il saccheggio e la distruzione compresi la biblioteca, il laboratorio di fisica, le porte e le finestre della casa religiosa di San Lazzaro, fondata da san Vincenzo de’ Paoli, avvenuti il giorno prima, il 13 luglio 1789. La sera dello stesso giorno il cronista di Nuits de Paris, Nicolas Anne Edme Rétif detto Réstif de la Bretonne, per poco non viene massacrato perché è stato scambiato per un prete. Il 4 agosto l’Assemblea Costituente sopprime la decima e blocca ogni versamento della Chiesa di Francia a Roma, “per qualsiasi ragione”. Il 28 ottobre l’Assemblea “aggiorna” i nuovi voti monastici. Il 2 novembre l’Assemblea decide che i beni del clero saranno messi a disposizione della Nazione. Il 22 dicembre l’Assemblea toglie ai vescovi la direzione dell’insegnamento. Il 13 febbraio 1790 l’Assemblea sopprime i voti monastici e scioglie le comunità religiose. Il 12 luglio 1790 l’Assemblea impone unilateralmente una Costituzione Civile del Clero che riduce di molto il numero delle diocesi e delle parrocchie, sopprime i capitoli, fa eleggere i vescovi e i parroci dalle assemblee politiche, cioè anche dai non cattolici, separa la Chiesa di Francia da Roma ed esige dai preti e dai vescovi, ormai stipendiati dello Stato, il giuramento di fedeltà alla Costituzione.
I fatti, dunque, non possono contraddire in modo più completo le affermazioni di André Latreille e di Henri Daniel-Rops. I fatti manifestano che la Rivoluzione “ai suoi inizi”, a meno di un anno dalla presa della Bastiglia, si è mostrata, mese dopo mese, sistematicamente ostile alla “Chiesa tradizionale”, che ha distrutto da cima a fondo. Così è perfettamente realizzato il programma lanciato dai violenti pamphlet anticristiani che pullulavano nel 1788 e nella primavera del 1789.
I “nemici giurati” del Vangelo
Quanto ai testimoni dell’epoca più attendibili e rappresentativi di ogni punto di vista, neppure loro hanno notato l’ “atmosfera d’accordo e d’armonia” fra la Rivoluzione e la Chiesa, sognata dai nostri democristiani, ma hanno ben notato i fatti che ho appena rilevato. L’ex primo ministro Charles Alexandre de Calonne, monarchico, rivolgendosi nel 1790 alla maggioranza “filosofica” della Costituente, l’apostrofa: “Il vostro obbiettivo, ne converrete, consiste nel togliere ogni speranza al clero, nell’operarne la rovina”. Il suo successore, l’ex primo ministro Étienne Charles de Loménie de Brienne, vicino al partito “filosofico”, mette in guardia Papa Pio VI contro i costituenti, suoi amici, “che presenta molto adeguatamente come nemici giurati del Vangelo” (11).
Lo stesso Papa Pio VI non ne è stupito giacché, nel Breve del 10 marzo 1791 in cui condanna la Costituzione Civile del Clero, scrive: “Dunque, questa uguaglianza, questa libertà tanto esaltate dall’Assemblea Nazionale, pervengono solamente a rovesciare la religione cattolica”. L’ha ben colto anche il grande testimone inglese della Rivoluzione, il deputato e storico protestante Edmund Burke, che, fin dall’autunno del 1790, a proposito della confisca dei beni del clero nota: “Si è usato il pretesto del vantaggio dello Stato per distruggere la Chiesa […] Questi signori [hanno] una fede imperturbabile nei prodigi del sacrilegio”. Serve un giudizio massonico? Ecco, sui primi cinque anni della Rivoluzione, il giudizio dei uno dei capifila, all’epoca, della massoneria spiritualista, Louis-Claude de Saint-Martin, detto il “filosofo sconosciuto”: “La guerra della Rivoluzione, che sembra essere soltanto una guerra politica, in fondo è una guerra religiosa”.
E, infatti, proprio di guerra si tratta, cioè della guerra della Rivoluzione contro la Chiesa, che diventerà più violenta e più totale dopo gli anni 1790 e 1791. Nel 1792 dall’Assemblea Legislativa verrà decisa, poi eseguita, la deportazione dei sacerdoti refrattari alla Costituzione Civile del Clero, che sono la maggioranza. A partire dal 14 luglio dello stesso anno cominceranno un po’ ovunque i massacri di questi sacerdoti, che continueranno in gran numero con i massacri di Settembre.
1793: scristianizzazione totale
Ma i sacerdoti refrattari non saranno i soli a essere presi di mira. La Chiesa Costituzionale, questa Chiesa caudataria del giacobinismo, peraltro sempre meno numerosa, non ha dovuto aspettare molto. Vedrà ben presto crollare le sue illusioni, nonostante disgustosi servigi ideologici o polizieschi da essa sovente resi al nuovo regime, dal momento che ha spesso collaborato alla “defanatizzazione”, cioè alla scristianizzazione, delle campagne, come ha mostrato lo storico comunista Michel Vovelle (12). E ha spesso denunciato sacerdoti e fedeli refrattari, come ho rilevato nella mia opera attraverso numerose testimonianze (13). Questa Chiesa Costituzionale sarà ora distrutta nello stesso modo in cui l’è stata e continua a esserla, nella clandestinità, la Chiesa tradizionale.
Nell’autunno del 1793 si produrrà dunque la scristianizzazione totale sul tema: “Il culto muore nel ridicolo”. Spettacoli mascherati con i paramenti e con gli oggetti di culto vengono presentati nelle vie in processioni grottesche, questi stessi oggetti e questi stessi paramenti vengono bruciati sulle piazze, in pompa magna, con autodafè, preti spretati e talora sposati, di loro volontà oppure a forza, chiese chiuse, culto proibito.
Vertiginosamente alla deriva
A questo punto la deriva del clero costituzionale si rivela vertiginosa. La sua fede, imbevuta di rivoluzionarismo parolaio e di attivismo esistenziale, ha abbandonato il cristianesimo. Questo clero mostra ora “una reale permeabilità […] al sistema dei valori che anima gli scristianizzatori” (14). Esso rinuncia in massa, abbandonando le proprie funzioni e spesso apostatando clamorosamente. Nella diocesi di Henri Baptiste Grégoire, “papa” della Chiesa Costituzionale, su trecento preti rinunciano in duecentosessantotto. I vescovi costituzionali danno spesso l’esempio di questo comportamento indegno, come l’arcivescovo di Parigi, quello di Marsiglia, il vescovo dell’Allier, e così via. E se Henri Baptiste Grégoire stesso a parole non rinuncia, nei fatti rinuncia e va oltre.
Tutto questo è stato preparato direttamente, da lunga data, dall’apparato rivoluzionario, come i pamphlet anteriori agli Stati Generali avevano direttamente preparato le misure prese dalla Costituente contro la Chiesa negli anni 1789 e 1790. Fin dal febbraio del 1791, quando il Papa non ha ancora condannato la Costituzione Civile del Clero, un giornale a grande tiratura, imitando furbescamente i vecchi almanacchi, La Famille villageoise, ha orientato punto per punto l’opinione delle campagne nel senso della scristianizzazione violenta e totale che, come si è visto, sarà scatenata soltanto due anni e mezzo dopo. E l’azione di questo giornale è stata ben presto sostenuta da quella dell’Almanach du père Gérard, emanazione del Club dei Giacobini, che altrettanto furbescamente “attacca la religione soltanto ossequiandola” ed è diffuso ovunque.
L'”ultimo papa”
A questo compito, lento ma sicuro, di conquista dell’opinione pubblica, di presa del potere ideologico, si sono consacrati uomini che saranno proprio gli ideologi e i governanti dell’ultimo regime rivoluzionario, il Direttorio, sempre attivamente anticristiano con la soppressione, fra altre misure, della domenica e con il suo culto della decade. Fra essi sono Pierre Louis Ginguené, futuro direttore della Décade philosophique, e Nicolas Louis François de Neufchâteau, futuro ministro dell’Interno nonché membro del Direttorio.
Questi uomini celebreranno nel 1799 la morte dell’“ultimo papa” nella fortezza di Valence, dove tengono prigioniero Pio VI. Essi sarebbero riusciti a estinguere quasi completamente il cristianesimo in Francia a partire dalla soppressione del culto nell’autunno del 1793, se questa soppressione fosse stata mantenuta abbastanza a lungo. Ma la Rivoluzione, non riuscendo a battere i vandeani, insorti nell’Ovest della Francia, per ottenere che deponessero le armi dovette soddisfare la loro rivendicazione fondamentale, cioè la libertà di culto, di cui ben presto beneficerà tutta la Francia, con il trattato di Le Jaunais, del 17 febbraio 1795. Un anno prima, nella primavera del 1794, quando vengono abbattuti i campanili nelle Alpi e nel Giura, quando i sacerdoti deportati muoiono a centinaia sui barconi di Rochefort, quando il culto è proibito ovunque e le chiese ovunque chiuse, la Rivoluzione pensa di dare “l’assalto finale” al cristianesimo e che questo “assalto finale” sta per essere definitivamente vincitore. Lo storico “repubblicano” François-Victor-Alphonse Aulard ha scritto a questo proposito che, se l’impresa fosse stata portata avanti, “si può essere abbastanza certi che si sarebbe estirpato dalla coscienza contadina una religione che, forse, aveva delle radici corte”.
Una ferita insanabile
Il nostro “repubblicano” su questo punto si faceva delle illusioni. Ma è pur vero che, come scrive Michel Vovelle, “il pesante salasso subito dalla religione”, a causa della massiccia rinuncia-apostasia del clero costituzionale, fu terribile e tale resta nonostante tutti gli sforzi di riconquista dei secoli XIX e XX. Nell’anima popolare la rinuncia-apostasia degli anni 1793 e 1794 ha lasciato una ferita insanabile. Ovunque il clero costituzionale era numeroso e la sua rinuncia-apostasia è stata ben visibile e traumatizzante, la pratica religiosa non si è mai più ristabilita.
Sorprendenti correlazioni sussistono a questo proposito nella geografia della Francia, quasi cantone per cantone: a un clero costituzionale numeroso durante la Rivoluzione corrisponde sempre, attualmente, un tasso molto basso di adulti che ottemperano al precetto pasquale. Le simpatie politiche sono in sintonia. Come nota ancora Michel Vovelle, “la geografia della scristianizzazione dell’anno II introduce a quella […] della sinistra francese” attuale, cioè alla geografia del laicismo anticattolico.
Dunque, la Rivoluzione francese rimane, in ogni suo aspetto, una grave lezione per la Chiesa contemporanea e una grave lezione a doppio titolo. Anzitutto sotto il profilo del pericolo mortale, presentatosi come tale quasi immediatamente, costituito dall’impegno politico e ideologico del clero nel senso della “liberazione” e del “progresso”. Dopo il giuramento prestato alla Costituzione Civile del Clero all’inizio del 1791 fino alla rinuncia-apostasia della fine del 1793 sono occorsi meno di tre anni perché crollasse la fedeltà, e spesso anche la fede, di una parte consistente del clero, più di trentamila preti. E anche la fede del loro popolo, in vaste regioni, nel corso di ormai due secoli. Allo scopo è bastato che questo clero fosse “trattato” da abili e pazienti ideologi: le circostanze hanno poi fornito la sovreccitazione necessaria. L’incontrollata apertura al mondo è senz’altro un rischio mortale.
Un rischio anche attualmente sempre più mortale
La seconda grave lezione è che l’incontrollata apertura al mondo è un rischio tanto più mortale se quest’apertura è il prodotto, nella Chiesa, di un preventivo chiudersi su sé stesso del clero, il prodotto di un “effetto Concilio”, sempre di per sé sovreccitante e sempre delicato per il popolo cristiano, che si vede imporre in modo clericale orientamenti nuovi. Inoltre, durante la Rivoluzione, si trattava di un effetto da Concilio illegittimo, dal momento che il clero costitu-zionale rinunciatario o apostata era animato da molti di quei parroci la cui elezione agli Stati Generali come rappresentanti del clero era stata prodotta da un autentico imbroglio, quello costituito dal regolamento elettorale che, per distruggere meglio la Chiesa, aveva dato anzitutto il potere all’interno di essa ai soli parroci, spesso lavorati da ideologie contestatrici, che erano stati scandalosamente favoriti. Infatti, ognuno dei quarantaquattromila parroci aveva ricevuto, come ciascuno dei centosessanta vescovi, arcivescovi e cardinali (!), un voto per l’elezione dei deputati del clero, mentre i cinquantamila religiosi e le ottantamila religiose o non erano ammessi al voto, come pure i sacerdoti dei seminari, dei collegi e degli ospedali, oppure disponevano solamente di un voto per ogni abbazia o per ogni convento, anche se erano cinquanta o cento; e mentre anche i vicari e i novantamila altri sacerdoti spesso eminenti, soprattutto i canonici, in numero di dodicimila, i professori, i teologi e i cappellani, disponevano soltanto di un voto per ogni gruppo di dieci nel caso dei canonici oppure di venti.
I parroci contestatori eletti, tanto incoerenti quanto incompetenti, credettero da allora di potersi permettere tutto nei confronti dell’istituzione ecclesiastica, come anche nei confronti del popolo cristiano che con i loro voti, compiacendo ai giacobini, sottoposero al rullo compressore della scristianizzazione, nell’attesa di esserne essi stessi schiacciati.
Apertura al mondo, “effetto Concilio”, incoerenza clericale, rullo compressore della scristianizzazione aiutato dai preti: la Rivoluzione, come si vede, conserva per noi caratteri di attualità. Possa il suo ricordo esserci utile!
Jean Dumont