di Maddalena Remus
Le premesse
Nella seconda metà del Settecento la Francia è il Paese più popoloso d’Europa e può vantare una situazione economica florida; tuttavia, il debito pubblico, gonfiato soprattutto dai recenti conflitti, è assai gravoso e in continua crescita.
È questa la situazione in cui versa il regno di Luigi XVI di Borbone (1754-1793), salito al trono nel 1774.
Nell’impossibilità di estendere ulteriormente il debito pubblico e nella necessità, quindi, di imporre nuovi tributi, Luigi XVI fa appello ai corpi della nazione convocandoli in assemblea nel 1789: i cosiddetti Stati Generali, cioè le rappresentanze del clero, della nobiltà e del «terzo stato».
Da molti è sentita l’esigenza di un sistema fiscale più semplice e uguale per tutti, poiché l’organizzazione amministrativa non è più adeguata, con il suo meandro di diritti, immunità, statuti, privilegi diversi per ciascun ordine sociale, provincia, città, associazione di mestiere.
Nonostante la necessità reale di riforme, le cause più profonde della Rivoluzione stanno nella crisi morale e culturale innescata dall’Illuminismo.
Secondo tale corrente, i lumi della ragione sono destinati a far trionfare il Progresso, a cancellare la tirannia e l’oscurantismo, di cui sono responsabili il potere monarchico e le istituzioni religiose, prima fra tutte la Chiesa. Il famoso motto di François-Marie Arouet «Voltaire» (1694-1778): «Écrasez l’infâme!», che più volte ricorre nel suo epistolario, allude proprio a questo.
La fase monarchico-costituzionale
All’insediamento degli Stati Generali seguono eventi che non portano a un programma di riforme, bensì a un cambio di regime, con i deputati del Terzo Stato che si autoproclamano Assemblea Nazionale e giurano di donare al Paese una nuova Costituzione; a essi si uniscono deputati del clero e della nobiltà. Il 9 luglio l’Assemblea si auto-proclama Costituente.
Il 14 luglio avviene la presa della Bastiglia; la fortezza-prigione viene assalita e vengono liberati i prigionieri comuni che, successivamente, verranno propagandisticamente presentati come politici.
La propaganda che orienta l’opinione pubblica con opuscoli, comizi, proclami è diretta dai club, gli «antenati» degli odierni partiti politici.
Si diffonde, alimentata da false notizie, la «Grande Paura» dell’arrivo di soldati stranieri e di briganti radunati da un complotto aristocratico nato contro il popolo: ne seguono saccheggi e assassini. Il 4 agosto viene votata dall’Assemblea l’abolizione dei diritti feudali, delle decime dovute al clero e dei privilegi di alcune città e province.
Il 26 agosto viene approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che, accanto alla dichiarazione dell’uguaglianza di tutti, al riconoscimento dei diritti di libertà e di proprietà, dichiara: «Ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione»: il re non sarà dunque più re per diritto divino, ma per volontà del popolo.
Luigi XVI viene costretto a firmare i decreti di agosto e a trasferirsi a Parigi, nel palazzo reale delle Tuileries.
La confisca dei beni ecclesiastici e la Costituzione Civile del Clero
Con il pretesto di risolvere la crisi finanziaria, il 2 novembre 1789 viene votata la confisca di tutti i beni ecclesiastici: ciò priva la Chiesa dei beni che le permettevano di occuparsi di scuole, ospedali, cura dei poveri, cioè dell’allora previdenza sociale.
Nel 1790 l’Assemblea interviene ancora più direttamente nella vita della Chiesa: vengono soppressi ordini religiosi e si vieta di emettere voti solenni, e s’impone ai parroci e ai curati di leggere in chiesa i decreti rivoluzionari.
Il 12 luglio 1790 viene approvata il decreto reale noto come «costituzione civile del clero». Ridotti a funzionari statali, vescovi e parroci devono essere eletti da tutti i cittadini dei distretti di loro competenza — cattolici e non — e giurare fedeltà alla nazione, al re e alla legge, pena la destituzione.
Giura circa la metà dei preti e sette vescovi.
I fedeli, peraltro, disertano le celebrazioni dei preti «giurati» e aiutano concretamente i preti «refrattari», che continuano, pur fra mille difficoltà, le loro funzioni.
Papa Pio VI (1775-1799), dopo aver temporeggiato nel 1791 denuncia come sacrileghe le ordinazioni costituzionali e decreta la sospensione per i sacerdoti «giurati» che non ritrattino entro quaranta giorni.
La fine della monarchia
Fra il 20 e il 21 giugno 1791 Luigi XVI, con la famiglia, tenta la fuga ma viene fermato.
Il 3 settembre 1791 entra in vigore la nuova Costituzione della monarchia, cui anche Luigi XVI presta giuramento. Ma, anziché trovare un assestamento, la situazione precipita verso la guerra: infatti le famiglie aristocratiche che si erano rifugiate all’estero premevano soprattutto sull’Austria e sulla Prussia perché dichiarassero guerra alla Francia rivoluzionaria, mentre nell’Assemblea Legislativa molti deputati erano favorevoli alla guerra, perché la ritenevano un fattore di coesione che avrebbe consolidato il nuovo regime. Così, il 20 aprile 1792, Luigi XVI dichiara guerra all’Austria e, pochi giorni dopo, alla Prussia. Inizia così per la Francia un lunghissimo periodo di conflitti militari.
Nei primi mesi di guerra l’esercito francese subisce una serie di sconfitte, sia perché le truppe sono male addestrate, sia perché molti ufficiali esperti si sono rifugiati all’estero.
Il 25 luglio, il proclama di Carlo Guglielmo, duca di Brunswick (1735-1806), comandante dell’esercito prussiano — che minaccia di sottoporre il governo di Parigi alla giustizia militare qualora venga oltraggiata la famiglia reale — scatena ciò che si voleva evitare.
Infatti i club parigini, in particolare quello detto dei «giacobini» — così chiamato perché si riuniva nell’ex convento domenicano di Saint Jacques — manovrano la piazza animata dai cosiddetti «sanculotti» — i popolani fanatizzati — chiedendo la fine della monarchia e, il 10 agosto 1792, provocano una insurrezione che culmina nell’assalto alle Tuileries. Luigi XVI, la regina Maria Antonietta d’Asburgo (1755-1793) e la famiglia reale vengono rinchiusi nella Torre del Tempio, ex dimora dei cavalieri templari.
Dichiarata decaduta la monarchia, era necessario stilare una nuova Costituzione. Viene quindi eletta una nuova assemblea costituente, a suffragio universale maschile, che prende il nome di Convenzione Nazionale.
In questo scenario si collocano le Stragi di Settembre, in cui vengono barbaramente trucidate, dopo processi sommari, persone imprigionate in vari luoghi di Parigi e sospettate di tramare contro la Rivoluzione.
Il 21 settembre viene proclamata la Repubblica.
La Convenzione, in cui prevalgono i deputati giacobini come Maximilien de Robespierre (1758-1794), Georges Danton (1759-1794) e Jean-Paul Marat (1743-1973), processa Luigi XVI — il «cittadino Capeto» — e lo condanna a morte.
Luigi XVI viene mandato a morte non tanto per colpe vere o presunte di tradimento, ma per il fatto stesso di essere l’ultimo rappresentante in Francia di quella monarchia di diritto divino, che i repubblicani vogliono definitivamente cancellare. Robespierre sentenzia infatti: «Qui non c’è da fare un processo. Luigi non è un imputato; voi non siete dei giudici; Voi siete e non potete essere altro che uomini di Stato e rappresentanti della nazione»[1].
L’esecuzione di Luigi XVI avviene il 21 gennaio 1793, mentre la regina Maria Antonietta sale il patibolo il 16 ottobre successivo.
Il Terrore
Per prevenire la reazione degli altri sovrani europei, inorriditi per l’esecuzione del re, la Convenzione, tra il febbraio e il marzo 1793, decide di dichiarare guerra a Inghilterra, Olanda, Spagna e Stati italiani, con l’arruolamento forzato di trecentomila uomini. Questo provvedimento apre tuttavia un fronte di guerra interno, perché la Vandea e la Bretagna insorgono dando vita a una pagina di storia sanguinosa e gloriosa.
La situazione è aggravata dalla sempre più pesante crisi economica e dalla penuria alimentare. Alla Convenzione i giacobini guadagnano la maggioranza e, con il pretesto dei complotti contro-rivoluzionari e dell’emergenza bellica, istituiscono i Comitati di Sorveglianza Rivoluzionaria in ogni comune, il «Tribunale Rivoluzionario», con il compito di punire i traditori, e il Comitato di Salute Pubblica a Parigi.
Nel giugno del 1793 viene approvata la nuova Costituzione, che non entrerà mai in vigore, perché la Convenzione non si scioglierà e il potere esecutivo e legislativo sarà assunto di fatto dal Comitato, dominato da Robespierre e da Louis-Antoine Saint-Just (1767-1794). Inizia così una vera e propria dittatura dei giacobini.
Nell’agosto si introduce la leva per tutti gli uomini senza figli dai 18 ai 25 anni; nel settembre la cosiddetta «legge dei sospetti» che prevede l’arresto e la condanna a morte di tutti coloro che possono essere considerati «nemici del popolo»: tutti coloro che per i loro comportamenti o per le loro relazioni siano sospettati di essere ostili al potere rivoluzionario. È questa la fase più acuta della Rivoluzione, detta «il Terrore», che va dal settembre del 1793 al 27 luglio 1794.
Entra in vigore un nuovo calendario, da cui vengono estromessi i santi e qualsiasi riferimento alle festività cristiane: viene abolita la settimana e quindi anche la domenica.
Al culto tradizionale la Repubblica sostituisce il culto dell’Essere Supremo, ispirato ai principi del deismo, con il corollario di fastose cerimonie allegoriche; al culto dei martiri cristiani si sostituisce quello dei «martiri» rivoluzionari.
Con il trascorrere dei mesi tuttavia gli eccessi della politica repressiva sfociano nel colpo di Stato del 9 Termidoro (27 luglio) 1794 e Robespierre e i suoi sostenitori vengono ghigliottinati.
Dalla Repubblica termidoriana all’avvento di Napoleone
Il nuovo governo termidoriano è espressione dell’alta borghesia finanziaria e commerciale che ha tratto i maggiori vantaggi dalla Rivoluzione e che li ha visti minacciati dalla politica economica di Robespierre, il quale aveva imposto un calmiere sui prezzi, prontamente abolito per favorire la speculazione.
Una nuova Costituzione, entrata in vigore nel 1795, lega nuovamente il voto al censo: il potere legislativo è attribuito a due Camere e il potere esecutivo a un Direttorio composto da cinque membri.
In politica interna la repubblica termidoriana deve opporsi, da una parte, alle pressioni dei gruppi monarchici, dall’altra alla ripresa del movimento giacobino, anche nelle sue frange estreme, quale la «Congiura degli Eguali» guidata da François-Noël «Gracchus» Babeuf (1760-1797).
In politica estera, il Direttorio persegue il disegno di «esportare la Rivoluzione» in tutta Europa. L’intento dichiarato è di consolidare la posizione della Francia sullo scacchiere europeo e di diffondere gli ideali libertà, uguaglianza e fraternità. Quello non dichiarato, ma fondamentale, è di ricavare, dagli Stati sottomessi, risorse umane per nuovi arruolamenti e risorse economiche.
Fra i generali si mette in luce, a partire dalla campagna d’Italia del 1796-1797, il giovane côrso Napoleone Bonaparte, che, con il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre) 1799 pone fine manu militari alla repubblica termidoriana, lacerata dagli scontri tra le diverse fazioni che erano uscite dalla Rivoluzione, e apre una nuova stagione rivoluzionaria.
Martedì, 3 dicembre 2024
Per approfondire
— Joseph de Maistre, Alle origini della mentalità rivoluzionaria. Scritti sul protestantesimo e sullo «stato di natura», a cura di Ignazio Cantoni e Oscar Sanguinetti, D’Ettoris Editore, Crotone 2024.
— Pierre Gaxotte, La Rivoluzione francese. Dalla presa della Bastiglia all’avvento di Napoleone, Mondadori, Milano 2013.
— Cristopher Dawson, Gli dei della rivoluzione, a cura di Paolo Mazzeranghi, prefazione di mons. Luigi Negri, D’Ettoris Editore, Crotone 2015.
[1] Maximilien de Robespierre, Discorso per la condanna a morte di Luigi Capeto, del 3-12-1792, in Idem, Oeuvres complètes, Società di Studi Robespierristi, Parigi 1866 e 1910-2011, vol. IX, Discours (4e partie) septembre 1792-27 juillet 1793,p. 184.