Si tratta di uno stato continuo di afflizione che impedisce di gustare appieno le gioie della vita. Ma l’unica vera tristezza è non essere santi
di Michele Brambilla
Nella sequenza dei vizi e delle virtù Papa Francesco introduce, nell’udienza del 7 febbraio, la tristezza, «intesa come un abbattimento dell’animo, un’afflizione costante che impedisce all’uomo di provare gioia per la propria esistenza».
Non sempre essere tristi è un male. «Vi è infatti una tristezza che conviene alla vita cristiana e che con la grazia di Dio si muta in gioia: questa, ovviamente, non va respinta e fa parte del cammino di conversione», precisa il Papa. «Pensiamo al figlio prodigo della parabola: quando tocca il fondo della sua degenerazione prova grande amarezza, e questa lo spinge a rientrare in sé stesso e a decidere di tornare a casa di suo padre», riconoscendo i propri peccati.
«Ma vi è anche una seconda figura di tristezza che si insinua nell’anima e che la prostra in uno stato di abbattimento: è questo secondo genere di tristezza che deve essere combattuto risolutamente e con tutta forza, perché essa viene dal Maligno», avverte il Pontefice, che reputa questa tristezza una vera e propria malattia dell’anima.
Di solito «la dinamica della tristezza è legata all’esperienza della perdita. Nel cuore dell’uomo nascono speranze che vengono a volte deluse. Può essere il desiderio di possedere una cosa che invece non si riesce ad ottenere; ma anche qualcosa di importante, come una perdita affettiva. Quando questo capita, è come se il cuore dell’uomo cadesse in un precipizio, e i sentimenti che prova sono scoraggiamento, debolezza di spirito, depressione, angoscia». Facile la constatazione del fatto che «tutti attraversiamo prove che generano in noi tristezza, perché la vita ci fa concepire sogni che poi vanno in frantumi. In questa situazione, qualcuno, dopo un tempo di turbamento, si affida alla speranza; ma altri si crogiolano nella malinconia, permettendo che essa incancrenisca il cuore. Si sente piacere in questo? Vedete: la tristezza è come il piacere del non piacere; è come prendere una caramella amara, senza zucchero, cattiva, e succhiare quella caramella», osserva il Santo Padre.
«Il monaco Evagrio racconta che tutti i vizi hanno di mira un piacere, per quanto effimero esso possa essere, mentre la tristezza gode del contrario: del cullarsi in un dolore senza fine. Certi lutti protratti, dove una persona continua ad allargare il vuoto di chi non c’è più, non sono propri della vita nello Spirito. Certe amarezze rancorose, per cui una persona ha sempre in mente una rivendicazione che le fa assumere le vesti della vittima, non producono in noi una vita sana, e tanto meno cristiana. C’è qualcosa nel passato di tutti che dev’essere guarito», ma «la tristezza, da emozione naturale può trasformarsi in uno stato d’animo malvagio», quando si trasforma in rancore.
Ci fa bene quindi ricordarci che, «per quanto la vita possa essere piena di contraddizioni, di desideri sconfitti, di sogni irrealizzati, di amicizie perdute, grazie alla risurrezione di Gesù possiamo credere che tutto sarà salvato. Gesù non è risorto solo per sé stesso, ma anche per noi, per riscattare tutte le felicità che nella nostra vita sono rimaste incompiute». In proposito, «Georges Bernanos, nel suo celebre romanzo Diario di un curato di campagna, così fa dire al parroco di Torcy: “La Chiesa dispone della gioia, di tutta quella gioia che è riservata a questo triste mondo. Ciò che avete fatto contro di lei, lo avete fatto contro la gioia”». E un altro scrittore francese, León Bloy, ci ha lasciato quella stupenda frase: “Non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi”».
Giovedì, 8 febbraio 2024