Giovanni Paolo II, Cristianità n. 300 (2000)
Messaggio per la XIII Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 1980, dell’8-12-1979, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 2, pp. 1444-1452.
A voi tutti che volete consolidare la pace sulla terra;
A voi, uomini e donne di buona volontà;
A voi, cittadini e responsabili dei popoli;
A voi, giovani di tutti i Paesi!
A voi tutti indirizzo il mio messaggio, invitandovi a celebrare la XIII Giornata Mondiale della Pace mediante uno sforzo risoluto di pensiero e di azione, che venga ad appoggiare dall’interno l’edificio instabile e sempre minacciato della pace, e gli restituisca il suo contenuto di verità. La verità, forza della pace! Uniamo i nostri sforzi per rafforzare la pace, facendo appello alle risorse della pace stessa e, in primo luogo, alla verità, la quale è per eccellenza la forza pacifica e possente della pace, poiché si comunica per irraggiamento suo proprio, al di fuori di ogni costrizione.
Una diagnosi: la “non-verità” serve la causa della guerra
1. Se è certo — e nessuno ne dubita — che la verità serve la causa della pace, è altresì indiscutibile che la “non-verità” va di pari passo con la causa della violenza e della guerra. Per “non-verità” bisogna intendere tutte le forme e tutti i livelli di assenza, di rifiuto, di disprezzo della verità: la menzogna propriamente detta, l’informazione parziale e deformata, la propaganda settaria, la manipolazione dei mezzi di comunicazione, e simili.
È necessario passare qui in rassegna tutte le varie forme, sotto le quali si presenta questa “non-verità”? Basti indicarne qualche esempio soltanto. Poiché, se una legittima inquietudine si fa strada davanti alla proliferazione della violenza nella vita sociale, nazionale e internazionale, e davanti alle minacce manifeste contro la pace, l’opinione pubblica è spesso meno sensibile a tutte le forme di “non-verità”, che stanno alla base della violenza e che a questa creano un terreno favorevole.
La violenza si radica nella menzogna e ha bisogno della menzogna, nel tentativo di assicurarsi una rispettabilità dinanzi all’opinione mondiale mediante giustificazioni del tutto estranee alla sua natura e, del resto, spesso tra loro contraddittorie. Che dire della pratica di imporre a coloro che non condividono le proprie posizioni — per meglio combatterli o ridurli al silenzio — l’etichetta di nemici, attribuendo loro intenzioni ostili, stigmatizzandoli come aggressori mediante una propaganda abile e costante?
Un’altra forma di “non-verità” si manifesta nel rifiuto di riconoscere e di rispettare i diritti oggettivamente legittimi e inalienabili di coloro che rifiutano di accettare una ideologia particolare, o che si appellano alla libertà di pensiero. Il rifiuto della verità ha luogo quando si prestano intenzioni aggressive a coloro i quali mostrano chiaramente che la loro unica preoccupazione è di proteggersi e di difendersi contro minacce reali, che — purtroppo — esistono sempre tanto all’interno di una nazione, quanto nei rapporti fra i popoli.
Accuse selettive, insinuazioni perfide, manipolazione delle informazioni, discredito gettato sistematicamente contro l’avversario — contro la sua persona, le sue intenzioni, i suoi atti —, ricatto e intimidazione: ecco il disprezzo della verità, messo in atto per creare un clima d’incertezza, nel quale si vogliono costringere le persone, i gruppi, i governi, le stesse istanze internazionali a silenzi rassegnati e complici, a compromessi parziali, a reazioni irrazionali: tutti atteggiamenti egualmente suscettibili di favorire il gioco omicida della violenza e di contrastare la causa della pace.
2. Alla base di tutte queste forme di “non-verità”, come realtà che le alimenta e se ne alimenta, c’è una concezione errata dell’uomo e dei suoi dinamismi costitutivi. La prima menzogna, la falsità fondamentale è di non credere nell’uomo, nell’uomo in tutto il suo potenziale di grandezza, ma anche nel suo bisogno di redenzione dal male e dal peccato che è in lui.
Sostenuta da ideologie diverse, spesso opposte tra loro, va diffondendosi l’idea che l’uomo e l’umanità intera attuino il loro progresso soprattutto mediante la lotta violenta. Si è creduto di poter verificare una tale idea nella storia, o si è tentato abilmente di farne una teoria; ci si è pian piano abituati ad analizzare tutto — nella vita sociale come nella vita internazionale — esclusivamente in termini di rapporti di forza, e ad organizzarsi, di conseguenza, per imporre i propri interessi.
Certo, questa tendenza largamente diffusa a ricorrere alla prova di forza per far giustizia è spesso contenuta mediante tregue tattiche o strategiche. Tuttavia, finché si dà spazio alla minaccia, finché si sostengono selettivamente certe violenze utili a determinati interessi e ideologie, finché si mantiene la convinzione che il progresso della giustizia deriva in ultima analisi dalla lotta violenta, le sfumature, i freni e le selezioni cederanno periodicamente davanti alla logica semplice e brutale della violenza, che può giungere fino all’esaltazione suicida della violenza per la violenza.
La pace ha bisogno di sincerità e di verità
3. In una simile confusione degli spiriti, costruire la pace con le opere di pace è difficile e richiede la restaurazione della verità, se non si vuole che gli individui, i gruppi e le nazioni si mettano a dubitare della pace e consentano a nuove violenze.
Restaurare la verità significa, innanzitutto, chiamare con il loro nome gli atti di violenza, quali che siano le forme che assumono. Bisogna chiamare l’omicidio con il suo nome: l’omicidio è un omicidio, e le motivazioni politiche o ideologiche, lungi dal cambiarne la natura, vi perdono, piuttosto, esse stesse la loro dignità. Bisogna chiamare con il loro nome i massacri di uomini e di donne, qualunque sia la loro appartenenza etnica, la loro età e la loro condizione. Bisogna chiamare con il loro nome la tortura e, con le appropriate qualificazioni, tutte le forme di oppressione e di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, dell’uomo da parte dello Stato, di un popolo da parte di un altro popolo. Ciò bisogna fare, non per mettersi a posto la coscienza con denunce chiassose che fanno di tutto un fascio — in tal caso non si chiamano più le cose con il loro nome — né per stigmatizzare individui e popoli, ma per contribuire al cambiamento dei comportamenti e degli spiriti e per ridare alla pace le sue possibilità.
4. Promuovere la verità, come forza della pace, significa intraprendere uno sforzo costante per non utilizzare noi stessi, fosse pure a fin di bene, le armi della menzogna. La menzogna può infiltrarsi di soppiatto dappertutto. Per conservare durevolmente la sincerità — che è la verità con noi stessi — è necessario uno sforzo paziente, coraggioso per cercare e trovare la verità superiore ed universale sull’uomo, alla luce della quale potremo valutare le diverse situazioni, e ancora potremo giudicare, innanzitutto, noi stessi e la nostra sincerità. È impossibile adagiarsi nel dubbio, nel sospetto, nel relativismo scettico, senza scivolare rapidamente nell’insincerità e nella menzogna. La pace — come ho detto sopra — è minacciata, quando regnano l’incertezza, il dubbio e il sospetto, e la violenza ne approfitta. Vogliamo veramente la pace? È necessario allora scavare bene a fondo in noi stessi, per raggiungere quelle zone in cui — al di là delle divisioni che costatiamo in noi e tra di noi — possiamo rafforzare la convinzione che i dinamismi propri dell’uomo, il riconoscimento della sua vera natura, lo portano all’incontro, al rispetto reciproco, alla fraternità e alla pace. Questa ricerca laboriosa della verità oggettiva e universale intorno all’uomo formerà, per il suo stesso procedere e per il suo risultato, uomini di pace e di dialogo, forti e insieme umili per una verità, della quale essi capiranno che bisogna servirla, e non già servirsene per interessi partigiani.
La verità illumina le vie della pace
5. Una delle menzogne della violenza consiste nel cercare, per giustificarsi, di screditare sistematicamente e radicalmente l’avversario, le sue azioni e le strutture socio-ideologiche, nelle quali egli opera e pensa. L’uomo di pace sa ben riconoscere la parte di verità che c’è in ogni opera umana e, più ancora, le possibilità di verità, che si trovano nell’intimo di ogni uomo.
Non è che il desiderio di pace gli faccia chiudere gli occhi sulle tensioni, le ingiustizie e le lotte, che fanno parte del nostro mondo. Egli le guarda in faccia, egli le chiama con il loro nome, per rispetto della verità. Inoltre, essendo sintonizzato profondamente con le cose della pace, egli non può che essere ancor più sensibile nei confronti di tutto ciò che contraddice la pace. Ciò lo spinge a portare avanti coraggiosamente l’indagine circa le cause reali del male e dell’ingiustizia, nell’intento di trovare per esse i rimedi appropriati. La verità è forza di pace, perché concepisce, quasi per una forma di connaturalità, gli elementi di verità che sono nell’altro e che essa cerca di riunire.
6. La verità non consente di disperare dell’avversario. L’uomo di pace, che essa ispira, non riduce l’avversario all’errore, nel quale lo vede soccombere. Al contrario, egli riduce l’errore alle sue reali proporzioni e fa appello alla ragione, al cuore e alla coscienza dell’uomo, per aiutarlo a riconoscere e ad accogliere la verità. Ciò conferisce alla denuncia delle ingiustizie una tonalità specifica: una denuncia siffatta non può sempre impedire che i responsabili delle ingiustizie non si irrigidiscano davanti alla verità chiaramente manifestata; tuttavia, almeno, essa non provoca sistematicamente un irrigidimento tale di cui le vittime facciano sovente le spese. Una delle grandi menzogne che avvelenano le relazioni tra individui e gruppi, per meglio stigmatizzare l’errore dell’avversario, consiste nel non prendere in considerazione tutti gli aspetti, anche giusti e buoni, della sua azione. La verità percorre altre strade, ed è per questo che essa conserva alla pace tutte le sue reali possibilità.
7. Soprattutto, la verità permette di non disperare delle vittime dell’ingiustizia; essa non permette di spingerle alla disperata risorsa della rassegnazione o della violenza. Essa stimola a puntare, anche qui sulle forze di pace nascoste negli uomini e nei popoli che soffrono. Essa crede che, confermandoli nella coscienza della loro dignità e dei loro diritti imprescrittibili, li rende forti, così da sottoporre le forze oppressive a delle spinte efficaci di trasformazione, più efficaci di quelle fiammate di violenza, che in genere poi non producono nulla, se non un futuro di sofferenze ancora più grandi. È con questa convinzione che io non cesso di proclamare la dignità e i diritti della persona. D’altronde — come ho scritto nell’enciclica Redemptor hominis — la logica della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la stessa istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite tendono “a creare una base per una continua revisione dei programmi, dei sistemi, dei regimi, proprio da quest’unico fondamentale punto di vista, che è il bene dell’uomo: diciamo della persona nella comunità” (1). L’uomo di pace, poiché attinge alla luce della verità e della sincerità, ha dunque una lucida visione delle ingiustizie, delle tensioni e dei conflitti esistenti. Ma, anziché esacerbare le frustrazioni e le lotte, egli confida nelle facoltà superiori dell’uomo, nella sua ragione e nel suo cuore, così da inventare cammini di pace che conducano ad un risultato veramente umano e duraturo.
La verità rafforza i mezzi della pace
8. Per passare da una situazione meno umana ad una situazione più umana, sia nella vita nazionale che in quella internazionale, la strada è lunga e vi si procede a tappe. L’uomo di pace lo sa, lo dice, e proprio nello sforzo di verità che ho or ora descritto, trova la luce necessaria per mantenere il giusto orientamento. Anche l’uomo di violenza lo sa, ma non lo dice e inganna l’opinione pubblica, facendole balenare la prospettiva di una soluzione radicale e rapida, installandosi poi nella sua menzogna per “spiegare” l’incessante rinvio dei traguardi della libertà promessa e dell’abbondanza assicurata.
Non c’è pace, se non c’è una disponibilità al dialogo sincero e continuo. La verità stessa si fa nel dialogo, ed essa rafforza, pertanto, questo indispensabile strumento di pace. Né la verità ha paura di oneste intese, poiché essa porta con sé quei lumi che permettono di impegnarvisi, senza sacrificare convinzioni e valori essenziali. La verità avvicina gli spiriti; essa rivela ciò che già unisce le parti, prima in contrasto tra loro; essa fa indietreggiare le diffidenze di ieri e prepara il terreno per nuovi progressi nella giustizia e nella fraternità, nella coabitazione pacifica di tutti gli uomini.
In questo contesto, non posso passare sotto silenzio il problema della corsa agli armamenti. La situazione, in cui vive oggigiorno l’umanità, sembra includere una tragica contraddizione tra le molteplici e ferventi dichiarazioni in favore della pace da una parte, e dall’altra la non meno reale, anzi vertiginosa scalata agli armamenti. L’esistenza di questa corsa agli armamenti può anche gettare il sospetto di menzogna e d’ipocrisia su certe affermazioni di una volontà di coesistenza pacifica. Anzi, non può forse essa anche giustificare spesso la semplice impressione che tali affermazioni servano soltanto a mascherare intenzioni opposte?
9. Non si possono denunciare con sincerità i ricorsi alla violenza, se correlativamente non ci si dedica ad occupare il terreno con iniziative politiche coraggiose, al fine di eliminare le minacce alla pace, applicandosi alle radici delle ingiustizie. La verità profonda della politica è contraddetta, sia quando la politica si accomoda nella passività, sia quando s’indurisce e si trasforma in violenza. In politica, fare la verità che rafforza la pace significa avere il coraggio di mettere in luce per tempo le controversie latenti, riaprire al momento opportuno i dossiers riguardanti problemi momentaneamente sospesi, mediante leggi e accordi che servano ad evitare la loro esasperazione. Fare la verità significa pure avere il coraggio di prevedere l’avvenire: prendere in considerazione le nuove aspirazioni, compatibili con il bene, che sorgono negli individui e nei popoli con il progresso della cultura, al fine di adattare le istituzioni nazionali e internazionali alla realtà di una umanità in cammino.
Un campo immenso, dunque, si apre ai responsabili degli Stati e alle Istituzioni Internazionali per costruire un nuovo ordine mondiale più giusto, fondato sulla verità dell’uomo, basato su una giusta ripartizione sia delle ricchezze, che dei poteri e delle responsabilità.
Sì, questa è la mia convinzione: la verità rafforza la pace dall’interno, mentre un clima di più grande sincerità permette di mobilitare energie umane per la sola causa degna di esse: il pieno rispetto della verità circa la natura e il destino dell’uomo, fonte della vera pace nella giustizia e nell’amicizia.
Per i cristiani: la verità del Vangelo
10. Costruire la pace è interesse di tutti gli uomini e di tutti i popoli. Infatti, tutti, essendo dotati di cuore e di intelligenza e fatti ad immagine di Dio, sono capaci di fare uno sforzo di verità e di sincerità a sostegno della pace. A questo comune lavoro io invito i cristiani affinché diano il contributo specifico del Vangelo, il quale conduce alle sorgenti profonde della verità, cioè al Verbo di Dio Incarnato.
Il Vangelo mette in forte rilievo il legame che esiste tra la menzogna e la violenza omicida con le parole di Cristo: “Ora, invece, cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio … Voi fate le opere del padre vostro …, voi che avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (2). Ecco perché ho potuto dire con molta convinzione a Drogheda, in Irlanda, e ripeto ancora: “La violenza è una menzogna, perché va contro la verità della nostra fede, la verità della nostra umanità … Non confidate nella violenza; non sostenete la violenza. Essa non è la via cristiana; non è il cammino della Chiesa Cattolica. Credete nella pace, nel perdono e nell’amore: questi appartengono a Cristo” (3).
Sì, il Vangelo di Cristo è un Vangelo di pace: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (4). E la molla della pace evangelica è la verità. Gesù rivela all’uomo la sua completa verità; egli lo restaura nella sua verità, riconciliandolo con Dio, riconciliandolo con se stesso, riconciliandolo con gli altri. La verità è la forza della pace, perché essa rivela e compie l’unità dell’uomo con Dio, con se stesso, con gli altri. La verità, che rafforza la pace e che costruisce la pace, include costitutivamente il perdono e la riconciliazione. Rifiutare il perdono e la riconciliazione vuol dire mentire a se stessi ed entrare nella logica omicida della menzogna.
Appello finale
11. Io so che ogni uomo di buona volontà può comprendere tutto ciò nella sua esperienza personale, quando ascolta la voce profonda del suo cuore. Ecco perché rivolgo il mio invito a tutti, a tutti voi che volete rafforzare la pace rendendole il suo contenuto di verità che dissipa tutte le menzogne: sappiate condividere lo sforzo di riflessione e di azione, che io vi propongo in questa XIII Giornata Mondiale della Pace, interrogandovi circa la vostra disponibilità al perdono e alla riconciliazione, e facendo, nel campo delle vostre responsabilità familiari, sociali e politiche, dei gesti di perdono e di riconciliazione. Voi così farete la verità, e la verità vi renderà liberi (5). La verità libererà lumi ed energie insospettate aprendo così nuove possibilità alla pace nel mondo.
Dal Vaticano, 8 dicembre dell’anno 1979, secondo di Pontificato.
Note:
(1) Ioannis Pauli PP. II Redemptor Hominis, 17 § 4.
(2) Io. 8, 40.41.44.
(3) Ioannis Pauli PP. II Homilia in urbe Drogheda habita, die 29 sept. 1979, nn. 9-10: AAS 71 (1979) 1081-1082.
(4) Matth. 5, 9.
(5) Cfr. Eph. 4, 15 et Io. 8, 32.