Carlos Alberto Sacheri, Cristianità n. 9 (1975)
“Alle 10,30 circa, dopo aver ascoltato messa nella cattedrale della città di Sant’Isidoro, nei pressi di Buenos Aires, dove aveva la sua abitazione, il dottor Sacheri ritornava a casa sul suo furgoncino Ford, accompagnato dalla sua sposa, dai suoi sette figli e da altri tre bambini, quando, al momento di rallentare per entrare nel portone del suo garage, un individuo si è avvicinato al finestrino del furgone, all’altezza del volante, ha estratto una pistola e, appoggiandone la canna all’orecchio di Sacheri, ha esploso due colpi, provocandone la morte istantanea“. Così il quotidiano spagnolo ABC del 14 dicembre 1974 descriveva la morte del dottor Carlos Alberto Sacheri, avvenuta il giorno precedente a opera di un terrorista comunista.
Per ricordare il combattente cattolico, che ha pagato con la vita la sua professione di fede, pubblichiamo il testo di un discorso tenuto dal dottor Sacheri – nato nel 1933 e ultimamente professore all’università Nazionale di Buenos Aires e all’Università Cattolica Argentina – in occasione del 5º congresso dell’Office International des Ouvres de formation civique et d’action cultura le selon le droit naturel et chrétien, a Losanna.
Vorrei attirare la vostra attenzione su un aspetto della realtà contemporanea che è senza dubbio presente alla considerazione di tutti, ma la cui importanza è tale da essere quasi obbligati a ritornarvi senza sosta per approfondirlo in tutti i suoi caratteri.
Lo si può riassumere in poche parole: siamo spettatori del maggiore tentativo di annientare la virtù teologale della speranza nella coscienza degli uomini. Qualche anno fa Jean Madiran sottolineava questo fatto a proposito del pensiero marxista; da parte nostra constatiamo ugualmente che questa offensiva è una caratteristica comune alla maggior parte delle correnti filosofiche contemporanee. Ma perché prendersela con un tale accanimento con la “petite fille espérance“, come amava chiamarla Péguy? Cosa c’è in questa virtù soprannaturale che urta così vivamente lo spirito della Rivoluzione moderna? Ecco domande alle quali è urgentissimo dare una risposta. Il fatto è che la speranza – come d’altronde la fede – si riferisce direttamente a qualche cosa di profondamente umano. A differenza della carità, che vede l’uomo nella prospettiva del possesso del bene soprannaturale (perciò rimarrà in noi per sempre), la speranza considera, l’uomo nella sua condizione specifica, che è quella di un essere imperfetto – homo viator -, itinerante, sempre sul punto di giungere alla fine, sempre preoccupato per la sua fine. Ma l’oggetto stesso della speranza supera l’uomo e lo supererà sempre, perché questo oggetto non è altro che Dio stesso, colto nel bagliore del nostro atto di fede come nostro sommo bene e nostra eterna beatitudine. San Paolo esprime questo fatto dicendo: “Abbiamo una speranza che ci fa penetrare fin dietro il velo“. Nella meravigliosa architettura della vita soprannaturale, le tre virtù infuse si ordinano le une alle altre in modo tale che la fede è a principio della speranza (perché non si può sperare di contemplare un giorno Dio “così com’è” senza prima credere in Lui e nella sua parola) e, ugualmente, la speranza è al principio della carità (perché, com’è possibile amare Dio infinito, senza confidare nel suo soccorso? “La mia grazia ti è sufficiente“.
Non è necessario cercare più oltre la radice di tante delle attuali prostituzioni dell’amore cristiano. In questi tempi di “omofilia”, di insipienza e di decadenza universale, possiamo vedere la fede e la speranza svuotate del loro contenuto soprannaturale. La fede in Dio è diventata “la fede nell’uomo” (questo rende più “compagni” e anche più “camerati”); la speranza nel cielo è stata deviata verso i “paradisi in terra”. Sono le virtù cristiane impazzite di cui parlava Chesterton. Così, avendo la carità perduto le sue basi, si trasforma rapidamente in semplice “umanitarismo”, e questo costituisce la più grave contraffazione della carità e di tutto il cristianesimo, perché essa ne è il nocciolo.
Ma i nostri apprendisti rivoluzionari hanno imparato la lezione, e sanno che non si distrugge veramente ciò che non si sostituisce, quindi si sono affrettati a far balenare davanti ai nostri occhi di cristiani ingenui nuove speranze e nuovi destini. E il mondo moderno vede allora svilupparsi le diverse forme del messianismo temporale, i diversi miti nuovi: Ragione, Stato, Nazione, Proletariato, Sovranità popolare, Razza, Uguaglianza, Progresso, Opinione pubblica, Tecnica, Socializzazione, Decolonizzazione, Pleromizzazione, ecc. Per questo era stato detto a Mosé: “Non adorerai l’opera delle tue mani“… Bisogna appagarsi con le creature per annientare in noi l’immagine del Creatore.
I filosofi moderni sono caduti, uno dopo l’altro, nei due peccati contro la speranza descritti da san Tommaso nella Somma Teologica: il primo è la presunzione, il secondo la disperazione. La presunzione, uno dei peccati contro lo Spirito Santo, consiste nel fatto che l’uomo vuole appoggiarsi sui poteri che gli derivano da Dio per cercare ciò che contraddice Dio stesso, o nel fatto di esagerare il suo valore personale. Essa comporta, dunque, avversione per il bene immutabile e conversione al bene perituro. Invece la disperazione deriva dal fatto che l’uomo non spera di partecipare personalmente alla divina perfezione di Dio. Ora, che cosa si trova esaminando in questa luce le correnti della filosofia moderna? Le più nascoste varietà della presunzione e dell’orgoglio. Come qualificare altrimenti il tentativo cartesiano e positivista di conoscere tutto mediante il proprio nuovo metodo universale? E il “dovere” kantiano eretto a unica norma di moralità? Con quale termine designare lo Spirito Assoluto di Hegel, che rende ogni cosa esistente per il solo fatto di pensarla? Feuerbach definisce la propria dottrina un “antropoteismo”. Marx dichiara: “L’uomo è l’essere assoluto per l’uomo” , mentre Nietzsche afferma: “Se ci fossero degli dei, come potrei accettare di non essere Dio? Dunque, Dio non esiste“. E Teilhard, che ci installa gratuitamente sul confortevole tram dell’evoluzione pleromizzante e ci conduce direttamente verso l’In-Avanti? … A ragione lo storico Ernst Cassirer dichiarava che, dopo il Rinascimento, la filosofia moderna non aveva fatto che attribuire all’uomo tutte le perfezioni che la teologia cristiana attribuiva a Dio.
Se, d’altra parte, volgiamo lo sguardo alle forme del pessimismo, come chiamare le filosofie relativistiche, storicistiche, la psicanalisi freudiana, le filosofie del divenire e dei valori, l’etica della situazione, che rifiutano all’uomo ogni accesso a verità “assolute”? E il nostro caro Jean-Paul Sartre, che definisce l’uomo una “passione inutile”? (Detto di passaggio, se è inutile, perché spenderci tanta passione?) Sono i filosofi della disperazione, dell’assurdo, dunque del nulla.
Padre de Faucauld diceva: “Avevo sempre creduto, prima di cominciare il mio ministero, di dover predicare l’umiltà e la pazienza. Non avrei mai sospettato di dover invece predicare la fierezza e il coraggio“.
In questo gioco, vince senza dubbio il modernismo progressista, che riesce a sintetizzare i due peccati in una stessa dottrina. Da una parte svuota i dogmi di ogni loro sostanza, esigendo nuove formule, tutte provvisorie, con il pretesto dell’adattamento, del superamento, del rinnovamento; dall’altra parte ci promette nientemeno che di salvare la Chiesa – non tutta, non noi soprattutto – convertendola al Mondo …
Il minimo che si possa dire a proposito di costoro è che questi amatori di novità si illudono terribilmente (come la maggior parte degli amatori) perché questo orgoglio, negazione della speranza cristiana, è vecchio come Adamo. A questo proposito Péguy parlava del “più vecchio errore dell’umanità“, quello di credere che mai prima d’ora si era visto qualcosa di altrettanto bello e buono. La loro bestialità – ed è proprio tale – consiste nel non vedere che quanto cercano ciecamente e disperatamente, Cristo ce lo ha già promesso da molto tempo. Quale “superamento” è infatti superiore alla visione di Dio faccia a faccia? Quale “sviluppo” più elevato della partecipazione, fin da ora, alla vita divina mediante la grazia? La scienza del bene e del male non è altro che la saggezza di Cristo. Quale felicità superiore alla vita virtuosa? Quale ordine sociale superiore alla civiltà cristiana, rispettosa di Dio e della legge naturale?
A tutte queste divagazioni la coscienza cristiana oppone un no semplice e radicale. Noi rifiutiamo i “lendemains qui chantent“, perché si trasformeranno in stridore di denti; rifiutiamo la società senza classi, perché è soltanto un nuovo strumento del dispotismo totalitario e tecnocratico, e soprattutto rifiuteremo sempre di credere che la Chiesa debba cercare di salvarsi convertendosi al Mondo, perché abbiamo imparato dal nostro umile catechismo d’infanzia, che solo la Chiesa ha ricevuto la parola di vita eterna. E risponderemo sempre a questo mondo disorientato con le parole di Bernanos: “No, non sono la nostra angoscia e il nostro timore a farci odiare il mondo moderno, ma è tutta la nostra speranza“.
Il cristiano, animato dalla speranza soprannaturale, va oltre l’ottimismo e il pessimismo. Sappiamo che la nostra vita è un miscuglio di Passione e di Resurrezione, e ripetiamo ad alta voce, in questo anno della nostra fede (che è anche quello della nostra speranza), con Giobbe – Giobbe e l’Apocalisse sono le letture per i tempi delle grandi prove -, ripetiamo con Giobbe: “So che il mio Redentore vive e perciò nell’ultimo giorno risusciterò dalla terra; questa speranza riposa nel mio seno“. Tutti, da pellegrini, da viatores, da itineranti quali siamo, gustiamo fin da ora la gioia del nostro destino. Spe gaudentes: “Con la gioia che dà la speranza“, dice l’Apostolo. Dobbiamo, dunque, chiedere alla Madonna della Santa Speranza di ottenerci la grazia della mutua conversione.
CARLOS ALBERTO SACHERI (†)