di Oscar Sanguinetti
1. L’occupazione tedesco-sovietica della Polonia
Dopo una lunga storia di divisioni e di occupazioni straniere, nel 1919 la Polonia riesce a ricostituirsi in Stato indipendente e sovrano. Il 1° settembre 1939 essa però viene nuovamente invasa dal Terzo Reich (1933-1945) e il 17 successivo, quando ormai l’esercito polacco si sta disgregando sotto i colpi di maglio della Wehrmacht, anche dall’Armata Rossa sovietica. Secondo quanto previsto dal protocollo segreto del patto Molotov-Ribbentrop — così detto dai nomi dei ministri degli Esteri dell’URSS e del Reich germanico, rispettivamente Vjaceslav Michajlovic Skrjabin detto Molotov (1890-1986) e Joachim von Ribbentrop (1893-1946) — del 23 agosto precedente, il Reich incorporava la Slesia, la Pomerania e Danzica, e creava nel rimanente territorio un Governatorato Polacco, sorta di colonia con capitale Cracovia, mentre l’Unione Sovietica si annetteva le province orientali. I tedeschi iniziano subito l’annientamento della comunità ebraica polacca e un feroce sfruttamento delle risorse del paese occupato, che include il reclutamento forzato di mano d’opera. I tentativi di reazione della popolazione polacca, anche i più timidi, sono causa di rappresaglie atroci. La polizia politica sovietica, la NKVD — Narodnyj Kommissariat Vnutrennykh Del, “Commissariato del Popolo per gli Affari Interni” —, dal canto suo, scatena invece la lotta di classe, internando funzionari del governo polacco, dirigenti dei partiti politici, proprietari terrieri, industriali, impiegati dell’amministrazione nonché tutti i militari che non riescono a rifugiarsi all’estero. Esponenti dei partiti politici espatriati danno vita a Londra a un governo polacco in esilio, guidato da Wladyslaw Sikorski (1881-1943), che viene riconosciuto dalle potenze alleate. Le truppe polacche riparate all’estero partecipano fin dal 1940 alle operazioni belliche alleate pressoché su tutti i fronti.
2. Le fosse di Katyn
L’invasione tedesca dell’URSS iniziata il 22 giugno 1941 fa cessare i rapporti di collaborazione fra le due potenze. Il 12 luglio l’Unione Sovietica entra nel club alleato, che comprende dal 30 luglio anche la Polonia, e deve quindi liberare i polacchi internati e deportati nel 1939. I sovietici, nella prospettiva di rientrare in possesso del territorio polacco, conducono nel frangente una politica ambigua nei confronti del nuovo alleato, mostrando d’ignorare la sorte dei soldati polacchi che purtroppo non hanno risposto all’appello, in particolare degli ufficiali delle divisioni che nel 1939 avevano difeso il paese contro l’Armata Rossa. Nel 1943, il rinvenimento nella foresta intorno a Katyn — venti chilometri a sud-est di Smolensk, in Russia — di fosse comuni con i resti di 4.500 ufficiali polacchi, del cui massacro i sovietici accusano i tedeschi — solo nel 1990 ammetteranno di aver compiuto l’eccidio —, porta alla rottura diplomatica con il governo in esilio di Londra. Nel luglio del 1942 l’URSS espelle, attraverso la frontiera con l’Iran, circa 115 mila militari polacchi, i quali, sotto il comando del generale Wladyslaw Anders (1892-1970), combatteranno poi con l’Ottava Armata inglese in Italia, mentre altri reparti, assai meno numerosi, sceglieranno di restare in URSS, dove costituiranno la Legion Kosciuszko, incorporata nell’esercito sovietico.
3. La nascita dell’armata clandestina
Fino dal settembre 1939 elementi dell’esercito scelgono di non espatriare e costituiscono gruppi di combattimento clandestini, con il nome di SZP, Sluzba Zwyciestwu Polski, “Servizio per la Vittoria della Polonia”, ai quali si affianca, per iniziativa del governo in esilio di Londra, lo ZWZ, Zwiazek Walki Zbrojnej, “Organizzazione della Lotta Armata”. Nel gennaio del 1942 dalle due organizzazioni e dalle formazioni armate clandestine dei partiti nasce l’AK, Armia Krajowa, “Esercito Interno o Nazionale”, sotto il comando del generale di carriera Stefan Rowecki (1885-1944), detto nella clandestinità “Grot”, “Freccia”. I comunisti creano invece la GL, Gwardia Ludowa, “Guardia Popolare”, dal luglio del 1943 denominata AL, Armia Ludowa, “Esercito Popolare”. Nominalmente apolitica, l’AK rifletteva però gli orientamenti nazionalisti e anticomunisti dei suoi membri, che tendevano ad accentuarsi con il crescere della minaccia comunista. Organizzati in nuclei di cinque membri — che non conoscono i componenti degli altri nuclei per limitare i rischi in caso di arresto —, i soldati dell’ombra, fra i quali spicca l’elemento femminile, si espongono a pericoli gravissimi. I tedeschi li considerano “banditi”, operanti all’interno non di un paese occupato ma di un territorio considerato una colonia, e gli organi di sicurezza nazionalsocialisti esercitano nei loro confronti una massiccia e indiscriminata azione repressiva, che, nonostante il terrore, non riesce a incrinare la solidarietà popolare. Nella clandestinità sorgono reti d’informazione e di propaganda — si conteranno fino a trecento organi di stampa —, piccole fabbriche di armi, scuole civili e militari, un parlamento clandestino, tribunali.
4. La resistenza contro l’occupazione nazionalsocialista
L’AK crea in primo luogo una rete d’informazione e di propaganda verso l’estero e all’interno del paese, effettuando poi azioni di sabotaggio delle linee di rifornimento della Wehrmacht operante sul fronte russo e compiendo ripetute azioni terroristiche nei confronti di elementi dell’apparato di repressione tedesco, in risposta alle violenze e ai massacri da essi perpetrate. Ma l’AK, consapevole della prontezza e della spietatezza con cui i tedeschi colpiscono la popolazione civile innocente nelle rappresaglie, evita operazioni su larga scala, preferendo intensificare la preparazione in vista di uno scontro globale, una volta che ne ricorrano le condizioni esterne. Comunque l’AK non assisterà inerte all’impressionante e sistematico massacro della popolazione ebraica polacca e aiuterà ovunque possibile i connazionali israeliti a sfuggire alla morsa dei persecutori. Quando i superstiti del ghetto di Varsavia, il 19 aprile 1943, si solleveranno, offrirà agli sfortunati combattenti ebraici sia le armi sia il supporto tattico e logistico. Nel gennaio del 1943, dopo la battaglia di Stalingrado, poiché diventa sempre più verosimile la prospettiva di una nuova invasione dell’Armata Rossa e sulla base della “lezione” di Katyn, l’AK — guidata, dopo la fucilazione nel Lager di Sachsenhausen del generale “Grot”-Rowecki, dal generale conte Tadeusz Komorowski (1895-1966), detto “Bór”, “Selva” — prende sempre più le distanze dalla resistenza comunista. Quando i sovietici entrano in Polonia si verifica la frattura fra l’AK e il KRN, Krajowa Rada Narodowa, “Consiglio Nazionale Patriottico” —, l’embrione di governo comunista insediato dai sovietici a Lublino in antagonismo con quello di Londra, cui cominciano a ubbidire le formazioni partigiane comuniste. Ma l’AK aveva creato fin dal 1939 l’Antyk, nome in codice di un’”Organizzazione anticomunista”, detta anche, sempre in codice, Blok, “Blocco”. Però la rottura non impedisce che, nei primi mesi del 1944, unità dell’AK partecipino a operazioni campali dell’Armata Rossa contro i tedeschi in Volinia, nell’est del paese. Ma anche in questo frangente l’atteggiamento sovietico verso la resistenza polacca si rivela in sostanza ambiguo e opportunista.
5. La rivolta di Varsavia
Ciò risulta particolarmente evidente al momento della sanguinosa insurrezione di Varsavia, avvenuta dal 1° agosto al 2 ottobre 1944, quando i russi, giunti a pochi chilometri dai sobborghi della capitale polacca, spingono con tutti i mezzi l’AK a sollevarsi. Comandati dal colonnello Antoni Chrusciel (1895-1960), detto “Monter”, “Montatore”, i circa 45 mila militanti dell’AK di Varsavia, nel quadro del piano tattico Burza, “Tempesta”, predisposto dal comando militare clandestino per colpire i tedeschi in ritirata, alle 17 del 1° agosto 1944 insorgono e ingaggiano una durissima battaglia strada per strada — addirittura nei canali fognari — contro i tedeschi, presi di sorpresa. La lotta è sanguinosa e disperata: mentre i tedeschi si fanno scudo di donne e di bambini per avanzare nella città vecchia e impiegano largamente lanciafiamme e carri armati, i rivoltosi passano immediatamente per le armi i prigionieri della polizia e delle SS — Schutzstaffeln, “Staffette di Difesa”, le formazioni armate del partito nazionalsocialista —, responsabili dei massacri di civili. Durante la drammatica rivolta, mentre gli Alleati occidentali riforniscono i combattenti con lanci paracadutati, le truppe sovietiche, pur sapendo che la rivolta non avrebbe potuto durare senza l’appoggio del loro potenziale bellico, attendono arma al piede oltre il fiume Vistola. La guarnigione tedesca, rafforzata da divisioni scelte della Wehrmacht e delle Waffen SS — le SS combattenti —, ha così modo di soffocare più facilmente l’insurrezione. Dal 3 agosto la repressione viene affidata all’esperto generale di corpo d’armata delle SS Erich von dem Bach-Zelewski (1899-1972). Essa produrrà circa 150 mila vittime fra combattenti e civili, massacrati soprattutto dalle brigate d’assalto delle SS Kaminski — il cui comandante verrà fatto fucilare da von dem Bach-Zelewski — e Dirlewanger, formate rispettivamente da ucraini, tradizionali nemici dei polacchi, e da delinquenti comuni ed entrambe tristemente note per la loro efferatezza nella lotta antipartigiana. Il 2 ottobre 1944, dopo sessantatre giorni di eroici e ininterrotti combattimenti, il generale “Bór”-Komorowski deve arrendersi, riuscendo però a ottenere lo status di soldati regolari per i circa 20 mila superstiti dell’AK, stremati dalla lotta e dalla fame. L’insurrezione costa ai tedeschi, fra morti e feriti, circa 26 mila uomini; subito dopo la vittoria reparti del genio radono completamente al suolo con l’esplosivo quanto resta dell’infelice città. I dirigenti del partito comunista clandestino hanno invece lasciato la capitale pochi giorni prima della rivolta per entrare a far parte del KRN di Lublino, da dove assistono con indifferenza al martirio dei combattenti anticomunisti della capitale.
6. La comunistizzazione della Polonia e la fine dell’AK
Con i quadri duramente provati, l’AK deve assistere al compimento dell’invasione sovietica e al progressivo imporsi di un regime comunista e, il 19 gennaio 1945, si scioglie. Molti suoi elementi si uniscono all’organizzazione anticomunista NIE — Niepodleglosc, “Indipendenza”, ma anche “No” —, costituita dopo l’ingresso in Polonia dell’Armata Rossa. Il 27 marzo 1945 il successore di Komorowski, generale Leopold Okulicki (1898-1946), detto “Niedzwiadek”, “Orsachiotto”, il vice premier e delegato in patria del governo di Londra Jan Stanislaw Jankowski (1882-1953) e il presidente del parlamento clandestino Kazimierz Puzak (1883-1950) vengono convinti con l’inganno a consegnarsi ai sovietici e sono imprigionati a Mosca, seguiti il 28 da altri tredici dirigenti della resistenza. Nell’aprile dal NIE nasce l’organizzazione WiN — Wolnosc i Niepodleglosc, “Libertà e Indipendenza” —, diretta da Jan Rzepecki (1899-1983), che continua la lotta insieme alla formazione minoritaria di destra NSZ, Narodowe Sily Zbrojne, “Forze Armate Nazionali” — già legata all’Organizzazione Nazionale della Gioventù e di cui solo una parte era confluita nell’AK —, più fortemente anticomunista e antisovietica che antitedesca, la quale dà vita alla lotta contro l’apparato comunista con modalità prossime al terrorismo. Ma la creazione di speciali organismi di Stato per la repressione, come l’UB, l’Urzad Bezpieczenstwa, l’”Ufficio di Sicurezza”, presso il ministero per la Sicurezza Nazionale, e il peso della presenza dell’Armata Rossa sul territorio fanno sì che, dopo una serie di sanguinose violenze da entrambe le parti, l’opposizione venga soffocata e la resistenza anticomunista un po’ alla volta piegata.
Per approfondire: sull’AK, vedi le memorie del generale Tadeusz Bór-Komorowski, Histoire d’une armée secrète, trad. francese, Les Iles d’Or-Plon, Parigi 1952; e George Bruce, L’insurrezione di Varsavia. 1 agosto-2 ottobre 1944, trad. it., Mursia, Milano 1978; sulla comunistizzazione della Polonia, Nicholas Bethell, Gomulka, la sua Polonia e il suo comunismo, trad. it., Longanesi, Milano 1970, nonché Andrzej Paczkowski, Polonia, la “nazione nemica”, in Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek e Jean-Louis Margolin, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore, repressione, trad. it., Mondadori, Milano 1998, pp. 339-367; sulle fosse di Katyn, cfr. Leszek Martini, La verità su Katyn alla luce di un documento, in Cristianità, anno XVII, n. 175-176, novembre-dicembre 1989, pp. 16-17; e Victor Zaslavsky, Il massacro di Katyn. Il crimine e la menzogna, Ideazione Editrice, Roma 1998; nonché J[anusz]. K. Zawodny, Morte nella foresta. La vera storia del massacro di Katyn, trad. it., 2a ed., Mursia, Milano 1989; infine, la lotta delle formazioni anticomuniste nel dopoguerra fa da sfondo al romanzo di Jerzy Andrzejewski, Cenere e diamanti, trad. it., Lerici, Milano 1961.