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L’arrocco del sultano

22 Marzo 2017 - Autore: Valter Maccantelli

 

Le ultime settimane hanno visto il duro scontro politico-verbale fra il governo turco, Presidente Erdogan in testa, e alcuni governi europei, principalmente Olanda, Germania e Danimarca. E’ stato un battibecco dai toni molto accesi, soprattutto da parte turca, che sembra destinato a continuare almeno per tutto il prossimo mese.

La materia del contendere è molto semplice: questi governi europei hanno impedito ad alcuni esponenti del governo turco di organizzare e/o partecipare a manifestazioni elettorali presso le comunità turcofone residenti nei loro paesi. Le manifestazioni riguardano il referendum confermativo della riforma costituzionale proposta dall’AKP – il partito del Presidente Erdogan – che si terrà in Turchia il prossimo 16 aprile.

La riforma prevede diciotto modifiche all’attuale Costituzione destinate a cambiare l’assetto istituzionale del Paese portandolo verso un presidenzialismo estremo. Come dicono i suoi detrattori, se Erdogan dovesse vincere il referendum sarebbe “un uomo solo al comando”.

Il Presidente turco e i suoi ministri hanno accusato Olanda e Germania di essere nemici della Turchia e dell’islam, di ospitare terroristi anti-turchi, di volere lo scontro fra “la croce e la mezzaluna crescente”. Gunes, un quotidiano filo-governtivo di Istanbul, ha pubblicato in prima pagina il fotomontaggio di Angela Merkel con la divisa nazista e i baffetti da Hitler.

Molti si sono chiesti, vista l’oggettiva gravità dell’accusa di nazismo ad un politico tedesco contemporaneo da parte di un altro membro della NATO, se i vertici turchi non siano per caso impazziti al punto di volere veramente uno scontro sul campo.

Tranquilli: su questo fronte non sta succedendo nulla di allarmante. Se non proprio falso questo scontro è certamente finto: entrambi i litiganti lo hanno portato avanti per ragioni che non riguardano né la controparte né la politica internazionale bensì la propria politica interna.

Erdogan, che vede sondaggi non entusiasmanti, fa leva sul nazionalismo candidandosi come campione del pan-turchismo e, in prospettiva, di tutto l’islam politico sunnita. Ha quindi tutto l’interesse a descriversi come attaccato da un’ondata europea di islamofobia a cui opporre il petto. In caso di vittoria al referendum si troverà con un arsenale retorico già pronto per sviluppare il suo progetto neo-ottomano in Medio Oriente.

Anche ai politici europei, specialmente ai moderati liberali di destra e di sinistra, fa comodo un nemico ad oriente che li attacca, rigorosamente solo a parole. Negando un comizio ad un politco turco, dopo anni nei quali hanno svenduto tutto dell’identità cristiana dell’Europa, si accreditano, con poca spesa e nessun rischio, come i difensori dei valori identitari. Tutti questi paesi hanno avuto elezioni o vi andranno nei prossimi mesi: occorre fare la “faccia feroce” per disinnescare gli argomenti dei “populisti” di destra. Un gioco delle parti non certo combinato in esplicito ma che, ad esempio, nelle elezioni olandesi è riuscito benissimo.

In questo gioco di specchi una cosa, però, è certamente vera e reale: la minaccia di Erdogan, che sul suo territorio “ospita” tre milioni di profughi, di aprire le porte e rompere l’accordo sui migranti, evento a cui nessun governante europeo potrebbe politicamente sopravvivere. Chi semina vento raccoglie tempesta, diceva mia nonna.

Valter Maccantelli

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