Giovanni Codevilla, Cristianità n. 389 (2018)
L’attacco bolscevico alla Chiesa 1917-1921
La violenza antiecclesiastica si scatena all’indomani del colpo di Stato bolscevico del 25 ottobre 1917 (1): sei giorni dopo, il protopope Ioann Kočurov (1871-1917) viene fucilato senza processo sotto gli occhi del figlio all’aerodromo di Carskoe Selo, primo martire dell’era sovietica. La sua colpa è quella di avere organizzato una processione per impetrare la cessazione della lotta fratricida. Il 2 novembre il Concilio della Chiesa russa, convocato dopo oltre due secoli, rivolge un appello alla popolazione affinché sia evitata la guerra fratricida, appello reiterato l’8 novembre, tre giorni dopo l’elezione del patriarca di Mosca Tichon (Vasilij Ivanovič Bellavin, 1865-1925). L’11 novembre in un messaggio i padri conciliari non esitano a definire la presa di potere dei bolscevichi come irruzione dell’Anticristo e di un imbestialito ateismo.
Il regime comunista procede sin da subito ad estromettere la Chiesa dalla vita pubblica e, grazie all’opera del Tribunale rivoluzionario e della Commissione straordinaria, più nota come ČK (2), avvia un’azione persecutoria nei confronti di numerosi esponenti della gerarchia, sacerdoti, monaci e laici, i quali a migliaia sono eliminati fisicamente, di modo che intere province vengono a trovarsi in breve tempo del tutto prive di una guida religiosa.
I primi provvedimenti del Governo comunista colpiscono direttamente la Chiesa, poiché sanciscono l’esproprio delle terre, il trasferimento allo Stato degli istituti confessionali e il divieto dell’insegnamento della religione nelle scuole, la chiusura di tutte le istituzioni educative ecclesiastiche, comprese quelle eparchiali (3), la nazionalizzazione delle opere pie, di assistenza e beneficenza, la chiusura e la successiva confisca della Tipografia sinodale di Mosca e di quella di Pietrogrado. Inoltre, il decreto priva gli enti religiosi della personalità giuridica e nazionalizza tutti i beni della Chiesa, compresi i monasteri, in cui era custodita sin dall’antica Rus’ la più genuina tradizione ortodossa.
Il 31 dicembre 1917 i giornali pubblicano il progetto di decreto di separazione della Chiesa dallo Stato, suscitando l’immediata reazione del metropolita di Pietrogrado Veniamin (Vasilij Pavlovič Kazanskij, 1873-1922). Il clima politico è di aperta ostilità: nei giorni dal 13 al 21 gennaio, su ordine di Aleksandra Michajlovna Kollontaj (nata Domontovič; 1872-1952), commissario del popolo all’assistenza sociale, le guardie bolsceviche assaltano la lavra [monastero] Aleksandr Nevskij per requisirla. La ferma resistenza popolare impedisce l’occupazione; il 18 gennaio il sacerdote Pëtr Skipetrov (1863-1918), intervenuto a rappacificare gli animi, viene colpito alla testa da un colpo di revolver e morirà due giorni dopo (4).
Il 19 gennaio il patriarca Tichon lancia l’anatema contro il bolscevismo: nel suo messaggio indirizzato a tutti i fedeli figli della Chiesa Ortodossa di Russia scrive: «La Santa Chiesa Ortodossa di Cristo vive in Russia un momento difficile. I nemici palesi e occulti hanno avviato la persecuzione contro la verità di Cristo e si propongono di distruggere la causa di Cristo e di diffondere il seme della cattiveria, dell’odio e della lotta fratricida al posto dell’amore cristiano. Ci giunge quotidianamente notizia di massacri (izbienijach) orribili e crudeli, di cui sono vittime persone innocenti e persino di persone che giacciono nel letto ammalate, colpevoli solamente di avere adempiuto il loro dovere verso la patria e di aver impiegato tutte le loro forze al servizio del bene del popolo. E tutto questo si compie nei nostri giorni non solo con la copertura dell’oscurità notturna, ma apertamente, alla luce del giorno, con prepotenza e spietata crudeltà sino ad ora inaudita, senza alcun tribunale e in violazione di ogni legge e legalità, quasi in tutte le città e villaggi della nostra patria. […] Ravvedetevi, dissennati (bezumcy) e ponete fine ai vostri crimini sanguinari. Quella che commettete non è solamente un’opera crudele, ma è veramente un’opera satanica per la quale sarete sottoposti al fuoco della Geenna nella vita futura e alla terribile maledizione dei posteri in questa vita terrena. Con il potere a noi conferito da Dio vi proibiamo di accostarvi ai Sacramenti di Cristo, lanciamo contro di voi l’anatema se ancora portate nomi cristiani e per nascita appartenete alla Chiesa Ortodossa. Scongiuriamo voi tutti, figli fedeli della Chiesa di Cristo, di non avere a che fare con tali rifiuti (izvergam) del genere umano: “Scacciate il malvagio di mezzo a voi” (1, Cor, 5-13)» (5).
La risposta di Vladimir Il’ič Ul’janov «Lenin» (1870-1924) è immediata: il giorno successivo viene approvato il decreto sulla Separazione della chiesa dallo stato e della scuola dalla chiesa (6), entrato in vigore il 23 gennaio. Il decreto dispone l’estromissione della Chiesa dallo Stato e dalla scuola, in nome del principio della libertà di coscienza, intesa primariamente come diritto-dovere del cittadino di liberare la propria coscienza dalla religione.
Due giorni dopo la pubblicazione del decreto, a Kyïv viene assassinato il metropolita Vladimir (Vasilij Nikiforovič Bogojavlenskij, 1848-1918). A questi tragici eventi fanno seguito arresti indiscriminati di esponenti del clero e di laici, segnatamente di quelli appartenenti alle confraternite religiose, schierate in difesa della libertà della Chiesa.
Il 30 maggio 1918 vengono arrestati, assieme ad alcuni esponenti del vecchio regime, il protoierej Ivan Ivanovič Vostorgov (1864-1918), famoso predicatore, teologo e uomo di vasta cultura, e il vescovo di Selenginsk, Efrem (Epifanij Andreevič Kuznecov, 1876-1918), i quali avevano svolto un ruolo molto attivo al Concilio del 1917-1918. Essi vengono dapprima rinchiusi nel carcere interno della ČK di Mosca e poi nella prigione di Butyrki. Dopo alcuni mesi di indagini la Commissione investigativa decide che i due imputati devono essere giudicati in via extragiudiziaria: saranno fucilati nel giorno stesso in cui è approvato il decreto Sul terrore rosso (5 settembre 1918) assieme ad altri esponenti del vecchio regime. Una particolare commozione suscita la tragica sorte dell’arcivescovo di Perm’, Andronik (Vladimir Nikol’skij, 1870-1918), arrestato nella notte del 7 giugno 1918 nei pressi della città e costretto a scavarsi una fossa nella quale viene sepolto quando è ancora vivo.
Nello stesso mese Germogen (Georgij Efremovič Dolganov, 1858-1918), vescovo di Tobol’sk (Siberia occidentale), canonizzato dalla Chiesa ortodossa nel 1999 insieme ad altri numerosi martiri del regime, viene affogato nel fiume Tura assieme al sacerdote Pëtr Karelin.
Il 10 luglio 1918 la prima Costituzione della Repubblica di Russia respinge il principio dell’uguaglianza dei cittadini indipendentemente dalla religione e priva del diritto elettorale attivo e passivo, accanto ai sostenitori dell’ancien régime, ai capitalisti e agli appartenenti alla polizia zarista, anche «i monaci e i ministri spirituali delle chiese e dei culti» (art. 65 sub d), con la conseguenza che ad essi non vengono rilasciate le tessere annonarie allora indispensabili per la sopravvivenza fisica, stante l’assoluta carenza dei generi alimentari primari.
Il 17 luglio 1918 a Ekaterinburg vengono sterminati i membri della famiglia imperiale con il personale di servizio.
Il 14 agosto Vladimir (Vasilij Nikiforovič Bogojavlenskij, 1848-1918), arcivescovo di Černihiv, inviato a Perm’ per investigare le cause dell’assassinio dell’arcivescovo Andronik, è sul treno che lo riconduce a Mosca in compagnia di alcuni collaboratori. Nei pressi di Vjatka il convoglio viene fermato per far salire degli uomini armati, i quali sequestrano i documenti dell’inchiesta; i collaboratori di Vasilij vengono uccisi e scaraventati sulla massicciata, mentre l’arcivescovo viene gettato poco dopo dal treno in corsa mentre percorre il ponte sulla Kama. Il corpo del presule viene ripescato dai contadini e tumulato: la voce dell’assassinio si diffonde rapidamente e il luogo di sepoltura diviene subito meta di pellegrinaggi, presto interrotti dai bolscevichi, i quali, dopo aver riesumato i resti dell’arcivescovo, li danno alle fiamme.
Su ordine di Trockij (pseudonimo di Lev Davidovič Bronštejn, 1879-1940), il 19 agosto 1918 viene fatto fucilare al termine di un processo farsa Amvrosij (Vasilij Gudko, 1867-1918), vescovo di Sarapul e di Elabuga (Tatarstan). Varsonofij (Vasilij Pavlovic Lebedev, 1871-1918), vescovo di Kirillov, viene ucciso a Novgorod il 2 settembre 1918; due giorni dopo Makarij (Gnevušev), vescovo di Vjaz’ma, viene passato per le armi nei pressi di Smolensk.
Il numero degli esponenti della gerarchia giustiziati dopo processi sommari cresce vertiginosamente dopo l’ordinanza del Soviet dei Commissari del popolo Sul terrore rosso (7), entrata in vigore il 5 settembre, emanata a seguito dell’assassinio del presidente della ČK di Pietrogrado, Moisej Solomonovič Urickij (1873-1918), e dell’attentato a Lenin del 30 agosto.
Per effetto di questa ordinanza a Mosca e a Pietrogrado vengono messe al muro migliaia di persone: funzionari e ufficiali zaristi, sacerdoti, monaci, attivisti religiosi, aristocratici, impresari e uomini d’affari. In base ai dati della Commissione Straordinaria di tutta la Russia (VČK) le persone fucilate sono 6.185, quelle incarcerate 14.829, quelle inviate nei campi di lavoro 6.407 (8). Si avvia anche l’odiosa e barbara prassi di prendere come ostaggi gli appartenenti alle famiglie potenzialmente ostili al nuovo regime: essi saranno giustiziati se si verificheranno atti contrari alla rivoluzione ascrivibili ai loro familiari (9).
Il 24 ottobre 1918 vengono fucilati Lavrentij (Evgenij Ivanovič Knyazev, 1877-1918), vicario di Nižnij Novgorod, e due sacerdoti: a sparare è un plotone di soldati lettoni, stante il rifiuto dei militari russi di eseguire la sentenza; i corpi delle vittime sono gettati nella Volga. Il giorno successivo, primo anniversario del colpo di Stato, il patriarca Tichon rivolge un nuovo accorato appello alla rappacificazione, rimasto inascoltato. Infatti, dopo poche settimane, l’11 dicembre, Feofan (Sergej Petrovič Il’menskij, 1867-1918), vescovo di Solikamsk, viene catturato dai cekisti, denudato e immerso ripetutamente in un foro praticato nel ghiaccio che ricopre la Kama e poi affogato assieme a due sacerdoti e a cinque laici.
Nella notte del 15 gennaio 1919 a Tartu, in Estonia, viene assassinato Platon (Paul Kul’buš, 1869-1918), vescovo di Tallinn, assieme ai due protoierei Michail Ivanovič Bleve (1873-1919) e Nikolaj Bežanickij e ad altri prigionieri. Mitrofan (Krasnopol’skij, 1869-1919), arcivescovo di Astrachan’, viene arrestato su ordine di Sergej Mironovič Kirov (1886-1934) il 26 maggio 1919 e condannato alla fucilazione; le numerose istanze di liberazione presentate dai fedeli vengono respinte da Georgij Aleksandrovič Artabekov (1892-1925)), responsabile cittadino della ČK. L’arcivescovo benedice il plotone di esecuzione, i cui componenti si rifiutano di eseguire la sentenza: Mitrofan viene allora fucilato dai cekisti.
Nello stesso mese di maggio viene arrestato German (Kosolapov), vescovo di Vol’sk e vicario dell’eparchia di Saratov, già condannato nel 1918: nell’occasione viene istruito il primo processo antiecclesiastico pubblico che si conclude con la condanna a morte da parte del Tribunale rivoluzionario del vescovo German, del protoierej Andrej Šanskij e del sacerdote Michail Platonov (1860 ca.-1919), fucilati assieme a dieci laici nella notte del 10 ottobre 1919.
Ricorda Andrea Graziosi che al tempo della guerra civile Lenin aveva suggerito al vice di Trockij, Efraim Markovič Skljanskij (1892-1925), di assegnare a bande irregolari travestite da verdi, remunerate con premi in denaro, il compito di liquidare «kulak, preti e possidenti, senza che la cosa potesse essere imputata ai bolscevichi» (10).
Dmitrij Pospelovskij afferma che negli anni 1918-1920 vengono uccisi non meno di ventotto esponenti della gerarchia (11). Secondo Nikolaj E. Emel’janov, autore di un imponente data base sui martiri per la fede nell’URSS (12), negli anni 1917-1919 sono ventimila i laici e i sacerdoti perseguitati, quindicimila dei quali fucilati. Si deve sottolineare che solo in una minoranza dei casi le esecuzioni capitali sono determinate dalle scelte politiche dei condannati, come nel caso dell’arcivescovo di Omsk, Sil’vestr (Ol’ševskij, 1861-1920), reo di aver riconosciuto il governo dell’ammiraglio Aleksandr Vasil’evič Kolčak (1874-1920), e per questo arrestato nell’autunno del 1919, dopo aver rinunciato di seguire i bianchi che hanno lasciato la città, e torturato a morte il 26 febbraio 1920.
Negli ultimi mesi del 1918 il regime decide di sferrare un attacco contro i simboli e i luoghi della santità ortodossa. Nell’autunno del 1918 viene assaltato il monastero di Sant’Aleksandr nel Governatorato di Pietrogrado: l’archimandrita Evgenij (Trofimov) e cinque monaci vengono arrestati e condotti a Olonec, in Carelia, dove vengono fucilati nel mese di dicembre; il 20 ottobre viene violata la tomba del santo Aleksandr, i cui resti vengono trasferiti a Pietrogrado, dove viene scatenata una violenta campagna antireligiosa, nella quale si accusa la Chiesa di avere abusato della credulità popolare allo scopo di arricchirsi.
Il 28 dicembre 1918 viene profanata l’urna contenente i resti del santo Artemij di Verkola, nel Governatorato di Archangel’sk. Il 28 gennaio e il 3 febbraio 1919 vengono profanate le reliquie dei santi Tichon di Zadonsk (1724-1783) e Mitrofan di Voronež (1623-1703): da allora queste azioni sacrileghe, precedute e accompagnate da una violenta campagna di stampa contro l’«oscurantismo religioso» e indirizzata alla «lotta contro i clericali di tutte le risme», dilagheranno in tutto il territorio occupato dai comunisti. Nella primavera del 1919 saccheggi e profanazioni devastano i più noti monasteri della Russia e si protraggono sino al 28 settembre 1920, quando viene aperta l’urna del santo Gennadij di Ljubim, nel Governatorato di Jaroslavl’.
La campagna di profanazione viene avviata da un’ordinanza del Commissariato del Popolo della Giustizia, nella quale si dispone di procedere all’apertura delle urne contenenti le reliquie dei santi, con il proposito di dimostrare che la Chiesa ha sempre abusato della credulità popolare, che non esistono corpi incorrotti, ma che le reliquie sarebbero in realtà semplici imitazioni di corpi umani, esposti al solo fine di estorcere denaro ai fedeli ignoranti. La tesi viene ripresa dalla Pravda del 16 aprile 1919 in un articolo intitolato I santi impagliati (Svjatye čučela), nel quale si riporta il verbale dell’apertura dell’urna del santo più popolare della Russia: Sergij di Radonež. A nulla serve l’accorato appello del patriarca Tichon contro la profanazione delle reliquie, rivolto al Soviet dei commissari del popolo e a Lenin in persona nella primavera del 1920.
In data 29 luglio 1920 il Soviet dei commissari del popolo della RSFSR delibera di liquidare le reliquie in tutto il paese (13). Dall’autunno del 1919 a quello del 1920 le urne profanate sono 6.517.
Le misure adottate nei confronti di coloro che criticano la brutalità del regime sono draconiane. Valga per tutti il caso del professor Nikolaj Kuznecov e di Aleksandr Samarin, già Ober-prokuror del Santo Sinodo e presidente del Consiglio delle parrocchie unite, accusati di «travisamento e interpretazione criminale dei decreti del potere sovietico», per «avere diffuso voci sulla brutalità e lo scherno dimostrati dai partecipanti all’operazione di apertura delle reliquie di san Savva di Zvenigorod». In realtà, nel corso di questa profanazione, avvenuta il 17 marzo 1919, uno dei delegati del partito aveva sputato ripetutamente sul volto del santo. Per aver protestato contro questo grave atto di inciviltà, Kuznecov e Samarin sono condannati alla fucilazione, pena successivamente commutata, a seguito di amnistia, nella reclusione in campo di concentramento e ai lavori forzati per un periodo non determinato, sino alla fine della guerra civile (14).
La profanazione delle reliquie viene effettuata in contemporanea con la chiusura dei monasteri, che colpisce i centri più significativi della tradizione spirituale russa.
Talora la lotta antireligiosa assume aspetti inauditi, come nel caso riferito da Isaak Nachman Štejnberg (1888-1957), un socialista rivoluzionario di sinistra emigrato a Berlino: «C’era a Šack una venerata icona della Madre di Dio detta di Vyša, e, quando nella regione cominciò a infierire la “spagnola”, popolazione e clero organizzarono veglie di preghiera e una processione. Per questo solo motivo la ČK locale arrestò non solo i sacerdoti… ma altresì l’icona. I contadini vennero a sapere che nell’edificio della ČK stavano dileggiando la sacra immagine: “la sputacchiavano, la sbattevano sul pavimento” e andarono a “liberare la Madre di Dio”. E su questa folla “compatta come un muro”, sulle donne, i vecchi e i bambini i čekisti aprirono il fuoco» (15).
La dissennata politica agraria bolscevica, che impone ai contadini di conferire all’ammasso le derrate alimentari a prezzi irrisori, porta ad una gravissima carestia, per uscire dalla quale Lenin è costretto ad imporre una svolta radicale, nota come Nuova Politica Economica (NEP), che riabilita il ruolo dei privati nella produzione e liberalizza lo scambio dei beni. Alle misure innovative in campo economico non corrisponde, tuttavia, un allentamento dell’intolleranza in campo religioso.
Nel mese di agosto del 1921 il patriarca Tichon rivolge un appello ai patriarchi orientali, al Papa Benedetto XV (1914-1922), all’arcivescovo di Canterbury e al vescovo di New York, chiedendo aiuto per gli affamati della regione della Volga e nello stesso mese scrive due volte, il 17 e il 21 agosto, alle autorità civili sovietiche per chiedere di organizzare un Comitato Ecclesiastico di tutta la Russia per prestare aiuto a quelle popolazioni (16). Alle lettere non viene data alcuna risposta. Nel frattempo inizia tra i fedeli la raccolta di fondi, ma il 27 agosto 1921 il governo comunista vieta l’attività del Comitato e sequestra il denaro raccolto.
Il 15 gennaio 1922 il Presidium del Comitato esecutivo centrale di tutta la Russia (VCIK) emana l’ordinanza Sulla liquidazione dei beni della chiesa. A distanza di pochi giorni, in data 19 febbraio, il patriarca con il consenso del Governo fa circolare un appello che autorizza le parrocchie a offrire in aiuto agli affamati tutti gli oggetti e gli ornamenti preziosi non aventi destinazione liturgica, appello che viene positivamente accolto dalle autorità.
In modo del tutto inatteso, stante la piena disponibilità del patriarca a offrire aiuto agli affamati, in data 26 febbraio 1922 viene pubblicata l’ordinanza del Comitato esecutivo centrale di tutta la Russia Delle modalità di requisizione dei preziosi ecclesiastici (17), che dispone la confisca di tutti gli oggetti di valore della Chiesa.
Il 28 febbraio il patriarca Tichon rende noto un messaggio nel quale si afferma: «Noi non possiamo approvare che siano requisiti dalle chiese, ancorché tramite un’offerta volontaria, oggetti che siano stati consacrati, il cui utilizzo per fini non liturgici è vietato dalle leggi della Chiesa universale ed è punito come sacrilegio con la scomunica dei laici e con la riduzione allo stato laicale per i sacerdoti» (18).
La requisizione avverrà in modo molto violento, con la repressione spietata di quanti si oppongono al provvedimento governativo.
L’esproprio dei preziosi ecclesiastici, in realtà, è soprattutto un pretesto per infliggere un colpo mortale alla Chiesa, come dimostrano i fatti di Šuja. In questa città i fedeli si schierano per impedire alla delegazione governativa di procedere al sequestro dei beni della chiesa. Gli uomini dei Reparti a Destinazione Speciale (Čon) non esitano a sparare sui manifestanti, uccidendo cinque persone. Lenin decide di trarre vantaggio dall’occasione fornita dalla resistenza popolare per assestare un colpo mortale alla Chiesa, come risulta da una lettera assolutamente segreta (19) indirizzata a Vjačeslav Michajlovič Molotov (1890-1986) il 19 marzo 1922 (20), nella quale si dispone di creare artatamente uno scontro con la Chiesa.
Scrive Lenin: «Proprio ora e soltanto ora, quando nelle località affamate si mangiano esseri umani e sulle strade giacciono centinaia, se non migliaia di cadaveri (21), noi possiamo (e per questo dobbiamo) effettuare la requisizione dei preziosi della chiesa con l’energia più furiosa e spietata (22), senza alcuna esitazione nel soffocare qualsiasi opposizione. […]. La requisizione dei preziosi deve essere condotta con decisione spietata, senza esitazione e senza fermarsi davanti a nulla e nel tempo più breve. Tanto più alto sarà il numero dei rappresentanti del clero reazionario e della borghesia reazionaria che sarà possibile fucilare per questa ragione, tanto meglio sarà».
Vero è che la preoccupazione per le vittime della carestia è posta in secondo piano rispetto alla lotta contro la Chiesa e all’acquisizione di capitali per finanziare il regime comunista. Si legge, infatti, in una circolare emanata da Molotov il 25 marzo 1922, che «il compito politico è isolare i vertici della chiesa, comprometterli sul problema concreto dell’aiuto alle vittime della carestia, e poi mostrare loro la mano inflessibile dello Stato operaio, visto che questi vertici osano ribellarsi» (23).
La speranza di Lenin e di Trockij di lucrare cifre enormi da questa operazione sarà delusa: il valore complessivo dei preziosi sequestrati sarà di 4,65 milioni di rubli oro, dei quali meno di un quarto andrà a beneficio degli affamati (24).
Nonostante le violenze e gli arresti, la popolazione si schiera a difesa della Chiesa, occupando gli edifici di culto per evitare il sequestro dei beni (25). Il Pipes ricorda che all’inizio della campagna per la confisca dei preziosi i casi di resistenza giudicati dal Tribunale rivoluzionario sono circa 250 e che sono documentati 1.414 casi di «eccessi con spargimento di sangue» (26).
Gli storici Michail Jakovlevič Heller (Geller) (1922-1997) e Aleksandr Moiseevič Nekrič (1920-1993) affermano che a seguito della lettera di Lenin ai membri del Politbjuro nel 1922-1923 vengono uccisi 8.100 religiosi ortodossi (presbiteri, monache e monaci) (27).
La repressione esercitata contro la Chiesa non raggiunge lo scopo di estirpare il sentimento religioso: il regime decide allora di accogliere la proposta avanzata da Lev Trockij, di distruggere l’unità della Chiesa dall’interno, favorendo e finanziando alcuni gruppi di sacerdoti vicini al movimento rivoluzionario, chiamati innovatori (obnovlency).
Infatti, tra il 17 e il 20 marzo 1922, negli stessi giorni nei quali è scritta la lettera di Lenin a Molotov sopra ricordata sull’esproprio dei preziosi a Šuja, Trockij invia un rapporto al Politbjuro con le proposte per l’organizzazione delle requisizioni dei preziosi ecclesiastici, nel quale si afferma la necessità di: «6. suscitare lo scisma nel clero, manifestando una iniziativa decisa e prendendo sotto la tutela del potere statale quei sacerdoti che intervengono apertamente a favore della requisizione» (28).
Il regista dell’operazione è un funzionario della polizia politica: Evgenij A. Tučkov, che per lungo tempo sarà il coordinatore della politica antireligiosa comunista.
Con l’aiuto finanziario e il sostegno politico della GPU — succeduta alla ČK nel 1922 — gli innovatori iniziano la pubblicazione del giornale Chiesa viva, che si dedica principalmente a screditare la Chiesa patriarcale agli occhi della popolazione e si attiva immediatamente contro i membri della gerarchia fedeli alla tradizione, inviando propri delegati nelle eparchie, da cui molti vescovi vengono allontanati (29). I vescovi che si oppongono con più fermezza agli innovatori vengono incarcerati o inviati al GuLag delle Solovki, nel mar Bianco (30). Alla fine del 1924 nelle carceri e nei GuLag si trova la metà dell’episcopato russo (66 vescovi).
Tra gli innovatori non vi sono posizioni concordi; comunque le loro diverse fazioni, raggruppate attorno ad Aleksandr Vvedenskij e Vladimir Krasnickij (31), si oppongono al patriarca Tichon e alla Chiesa patriarcale, appoggiano incondizionatamente la politica comunista di esproprio dei beni ecclesiastici, propugnano una totale democratizzazione della struttura ecclesiastica e condividono il progetto comunista di sottomettere la Chiesa al potere civile e a questo scopo riescono a trovare un accordo per costituire una Direzione ecclesiastica superiore (VCU) (32) contrapposta a quella patriarcale.
L’azione degli innovatori, conosciuti anche come preti rossi (krasnye popy), Chiesa rossa (Krasnaja cerkov’) o Chiesa della ČK, viene esercitata con il pieno appoggio della GPU, ricorrendo sistematicamente all’inganno (33), e porta a risultati assai significativi, giacché alla fine del 1922 essi potranno vantarsi di occupare i due terzi delle trentamila chiese allora operanti nel Paese. Peraltro, l’appoggio della polizia politica al movimento è meramente strumentale e temporaneo, giacché, come afferma Pëtr Anan’evič Krasikov (1870-1939), eminente bolscevico e corifeo della lotta antiecclesiastica, «nessun clero può essere progressista» (34). L’obiettivo strategico è, infatti, quello di conseguire la morte della Chiesa e la scomparsa della religione.
Gli innovatori sosterranno l’accusa nei grandi processi organizzati contro esponenti della gerarchia, del clero e del laicato; processi che vedranno come imputato lo stesso patriarca Tichon, che alcuni esponenti bolscevichi vorrebbero far condannare a morte. Il progetto sarà abbandonato per il timore delle reazioni sul piano internazionale: il regime comunista opterà allora per una dichiarazione di colpevolezza scritta dalla polizia politica e firmata dal patriarca. I fedeli comprenderanno, tuttavia, che si tratta di un documento fasullo, sottoscritto da Tichon al solo fine di salvare la Chiesa, e l’operazione si ritorcerà contro gli organizzatori della lotta ateistica e a danno degli stessi innovatori.
Giovanni Codevilla
Note:
(1) Data del calendario giuliano; 7 novembre del calendario gregoriano.
(2) Pronuncia: Cekà. È l’antenata del KGB, diretta da Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij (1877-1926), chiamato «Feliks di ferro» (Feliks železnyj) per la sua intransigenza e la sua efferatezza.
(3) Con l’unica eccezione dell’Accademia teologica di Kazan’, chiusa nel 1921.
(4) A seguito di questo tragico evento e della reazione popolare, le forze comuniste rinunciano ad occupare la lavra, la quale rimane aperta sino al 18 febbraio 1932, quando tutti i monaci vengono arrestati.
(5) Testo in Akty svjatejšego Tichona Patriarcha Moskovskogo i vseja Rossii, pozdnejšie dokumenty i perepiska o kanoničeskom preemstve vysšej cerkovnoj vlasti 1917-1943, Sbornik v dvuch častjach, a cura di M.E. Gubonin, PSTBI, Mosca, 1994, pp. 82-85; altresì in Pravoslavnaja Moskva v 1917–1921 godach. Sbornik dokumentov i materialov, Izd. Glavarchiva Moskvy, Mosca 2004, pp. 143 e ss.
(6) Il decreto del Soviet dei commissari del popolo del 23 gennaio (5 febbraio) 1918 è in «SU RSFSR», 1918, n. 18, art. 263; cfr. Testo italiano nel mio La libertà religiosa in Unione Sovietica, La Casa di Matriona, Milano 1985, p. 172 e ss.
(7) Feliks Dzeržinskij, ispiratore e guida con Lenin del terrore, in una intervista al corrispondente di una agenzia di stampa ucraina definisce il terrore rosso come «intimidazione, arresti e distruzione dei nemici della rivoluzione sulla base della loro appartenenza di classe», cfr. Izvestija VCIK dell’8 maggio 1920. Sull’argomento si veda il fondamentale studio di Sergej Petrovič Mel’gunov (1879-1956), Il terrore rosso in Russia (1918-1923), trad. it., a cura di Sergio Rapetti e Paolo Sensini, Jaca Book, Milano 2010.
(8) Cfr. Demografičeskaja modernizacija Rossii, a cura di A. Višnevskij, Novoe Izdatel’stvo, Mosca 2006, p. 403. Cfr. inoltre la documentazione d’archivio nel monumentale lavoro di Damaskin (Orlovskij), Mučeniki, ispovedniki i podvižniki blagočestija Russkoj Pravoslavnoj Cerkvi XX stoletija, in 7 volumi, Izd. Bulat, Tver’ 1996-2002 e il dizionario biografico a cura di V. Vorob’ëv Za Christa postradavšie. Gonenija na Russkuju Pravoslavnuju Cerkov’, 1917-1956, in corso di stampa, PSTBI, Mosca (ad oggi sono stati pubblicati i primi tre volumi).
(9) I nomi degli ostaggi fucilati saranno pubblicati sui giornali in modo da scoraggiare ogni tentativo di resistenza al potere bolscevico. La ČK di Pietrogrado fucila 500 ostaggi (cfr. Eženedel’nik, n. 5, 20 ottobre 1918), sull’argomento cfr. S. P. Mel’gunov, op. cit., p. 69; questo autore ricorda anche che le Izvestija di Pjatigorsk del 2 novembre 1918 danno l’annuncio dell’esecuzione di 59 persone, tra cui controrivoluzionari e ostaggi e fornisce anche un elenco di altre 47 persone ufficialmente fucilate, ma in realtà trucidate a colpi di sciabola (cfr. ibid., pp. 74-75).
(10) Andrea Graziosi, L’URSS di Lenin e Stalin. Storia dell’Unione Sovietica. 1914-1945, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 144. I verdi (zelënye) sono formazioni irregolari attive negli anni della guerra civile, costituite da anarchici, socialisti e nazionalisti perennemente in fuga per evitare l’arruolamento forzato, spesso dediti al saccheggio; agiscono dapprima come indipendenti, ma successivamente finiscono con l’aggregarsi in parte ai rossi e in parte ai bianchi.
(11) Cfr. Dmitrij Vladimirovič Pospelovskij, Russkaja pravoslavnaja cerkov’ v XX veke, Respublika, Mosca 1995, p. 54.
(12) Cfr. il sito web in lingua russa Xronology, documenti, fotomateriali: Chiesa russa e Stato sovietico 1917-1953, <http://www.regels.org/documents.htm>, consultato il 2-2-2018.
(13) Cfr. Ol’ga Vasil’eva, Russia martire. La Chiesa ortodossa dal 1917 al 1941, trad. it., La Casa di Matriona, Milano 1999, p. 59, che data il documento 29 giugno e ne riporta una sola parte; testo completo in Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’ i kommunističeskoe gosudarstvo 1917-1941. Dokumenty i fotomaterialy, a cura di A. N. Ščapov e O. Ju. Vasil’eva, Biblejsko-Bogoslovskij Institut Sv. Apostola Andreja, Mosca 1996, p. 60.
(14) Il professor Kuznecov nel 1931 sarà deportato a Kyzyl’-Orda, dove terminerà i suoi giorni terreni; Samarin morirà a Kostroma nel 1932 dopo essere stato deportato e incarcerato.
(15) S. P. Mel’gunov, Il terrore rosso in Russia (1918-1923), cit., p. 154.
(16) Cfr. ibidem.
(17) Cfr. SU RSFSR, 1922, n. 19, art. 217, 218, pp. 297-298.
(18) Cfr. Cerkovnye vedomosti, 1922, n. 6-7, p. 2, altresì in Akty svjatejšego Tichona Patriarcha Moskovskogo i vseja Rossii, cit., pp. 188-190.
(19) In calce al documento è scritto: «Unico esemplare. Non farne copia in nessun caso, ogni membro del Politbjuro — incluso Kalinin [Michail Ivanovič, 1875-1946] — deve fare le sue annotazioni sul documento stesso».
(20) Testo completo in V.I. Lenin. Neizvestnye dokumenty 1891-1922, a cura di Ju.N. Amiantov, Ju.A. Achapkin e V.N. Stepanov, Rosspèn, Mosca 1999, p. 516 e ss.; altresì Izvestija CK KPSS, 1990, n. 4, pp. 191-193. Ampi stralci in italiano nel mio Storia della Russia e dei Paesi limitrofi, Chiesa e Impero, 3 voll., Jaca Book, Milano 2016, vol. III, L’Impero sovietico, p. 59 e ss.
(21) Nel testo originale: «Kogda v golodnych mestnostjach edjat ljudej i na darogach valjajutsja sotni, esli ne tysjači trupov». Il corsivo nel testo è mio.
(22) Nel testo originale: «S samoj bešenoj i bespoščadnoj energiej». Il corsivo nel testo è mio.
(23) Cfr. O. Vasil’eva, op. cit., p. 82 e fonte citata. Sull’argomento cfr. altresì M.I. Odincov, Russkie Patriarchi XX veka: Sud’by otečestva i Cerkvi na stranicach archivnych dokumentov. čast’ 1-aja: «Delo» patriarcha Tichona; krestnyj put’ patriarcha Sergija, Izd. RAGS, Mosca 1999, p. 46.
(24) Cfr. sull’argomento Serena Vitale, L’anima russa in svendita, in Il Sole-24 Ore, Milano 9-9-2001, e Idem, In saldo i gioielli dello Zar, ibid. 16-9-2001.
(25) Cfr. Chrysostomus, La storia della Chiesa russa nei primi anni della rivoluzione, trad. it., Jaca Book 1974, p. 115 e ss. Prima ancora dell’inizio della campagna per la requisizione dei preziosi, nel solo periodo febbraio-maggio 1918 sono 687 i fedeli che perdono la vita nel tentativo di proteggere le proprietà della Chiesa, cfr. Richard Pipes, Il regime bolscevico. Dal terrore rosso alla morte di Lenin, trad. it., Mondadori, Milano 2000, p. 398.
(26) Ibid., p. 404.
(27) Michail Geller e Aleksandr Nekrič, Storia dell’URSS. Dal 1917 a Eltsin, trad. it., Bompiani, Milano 1998, p. 154. I due autori citano come fonte Robert Conquest (1917-2015), Present Danger, Towards a Foreign Policy, Hoover Institution Press, Oxford 1979, pp. 41-42.
(28) Archivy Kremlja. Politbjuro i cerkov’ 1922-1925, in 2 voll., vol. 1, a cura di N.N. Pokrovskij, Sibirskij Chronograf, Rosspèn, Novosibirsk-Mosca 1997, vol. 1, p. 133 e ss.
(29) Come nel caso di Arsenij (Avksentij Georgievič Stadnickij, 1862-1936) vescovo di Novgorod, Kirill (Konstantin Ilarionovič Smirnov) vescovo di Kazan’ (1862/1863-1937; fucilato), Agafangel (Aleksandr Lavrent’evic Preobraženskij, 1854-1928), metropolita di Jaroslavl’ e Rostov, e Gennadij (Aleksandr Vladimirovič Tuberozov, 1875-1922), vescovo di Pskov.
(30) Tra questi: Gurij (Aleksej Ivanovič Stepanov, 1880-1938), vescovo di Alatyr’, Ignatij (Sergej Sergeevič Sadkovskij, 1887-1938), vescovo di Belëv e Mitrofan (Vasilij Vasil’evič Grinëv, 1876-1938), vescovo di Aksaj. Sui vescovi che non si sono sottomessi agli innovatori cfr. O. Vasil’eva, op. cit., p. 109.
(31) Krasnickij, stretto collaboratore della polizia politica, sarà un testimone chiave nel processo organizzato contro Veniamin (Kazanskij), concluso con la fucilazione del metropolita il 13 agosto 1922.
(32) Vysšee Cerkovnoe Upravlenie, conosciuta anche come Direzione ecclesiastica superiore della Chiesa viva: Živocerkovnoe Vysšee Cerkovnoe Upravlenie. L’accordo tra le varie fazioni del movimento viene raggiunto il 29 maggio 1922.
(33) Così, per esempio, Vvedenskij, dopo che al patriarca viene impedito di esercitare le proprie funzioni, si rivolge al metropolita Veniamin (Kazanskij) con falsi documenti, dai quali risulta che il patriarca gli aveva affidato l’incarico di plenipotenziario per l’eparchia di Pietrogrado, azione che costerà all’equivoco innovatore la scomunica, resa nota dal metropolita il 28 maggio 1922. Cfr. O. Vasil’eva, op. cit., p. 90; cfr. altresì J. Chrysostomus, op. cit., p. 201 e ss.
(34) Izvestija, del 14-12-1919.