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L’attacco USA in Siria

10 Aprile 2017 - Autore: Francesco Cavallo

Sin dalle prime ore successive all’azione militare statunitense si sono registrati, soprattutto da parte di chi pur nella poliedricità del personaggio intravvede in Trump e nella sua presidenza elementi virtuosi, un comprensibile disorientamento e reazioni quantomeno premature, all’insegna dell’accusa di collaborazionismo con i tagliagole islamici e del tradimento dei presunti buoni, Putin e Assad.

E’ utile allora evidenziare qualche elemento che aiuti nella formulazione di un giudizio fondato e soprattutto prudente, com’è necessario in queste circostanze.

Con riferimento ai bombardamenti va evidenziato che:

1) E’ stata colpita una base semivuota. 

Al momento pare non vi siano stati morti. Chi afferma il contrario, in ogni caso, parla di un numero che non supera le 6 unità. Probabilmente è stato distrutto qualche aereo vetusto di epoca sovietica, lo si saprà nelle prossime ore con l’aiuto dei satelliti. Certamente gli aerei in uso all’aviazione siriana non erano in quella base (verosimilmente erano stati fatti alzare in volo e spostati in precedenza).

2) Gli USA hanno preavvertito Mosca e Pechino (ergo Assad). 

I russi sono stati avvisati per minimizzare i rischi del personale siriano presente nella base area di Al Shayrat e per annullare i rischi per il personale consulente russo che opera nella struttura. Nelle sue due principali basi militari in Siria, la Hmeimim Air Base a sud-est di Latakia e quella nei pressi di Tartus, i russi hanno schierati sistemi radar e, da più di un anno, sistemi di difesa missilistici S-300 ed S-400. Quest’ultimo ha un raggio d’azione di 400 km. Che Mosca abbia monitorato il lancio missilistico americano è dunque un dato inconfutabile. La decisione degli USA di effettuare il lancio via mare è stata molto furba perché ha implicitamente esposto Mosca nei confronti di Damasco. I siriani non possono non riconoscere che i missili lanciati dagli USA sono stati monitorati dalla Russia. E adesso si chiedono: «perché se li avete monitorati non siete intervenuti?».

Nessuna risorsa e nessun target militare russo né cinese è stato colpito: avevano evacuato uomini e mezzi dall’area delle operazioni (così come hanno fatto i siriani).

Gli avrà pure danneggiato una vecchia base, ma se voglio scatenare una guerra e rompere irrimediabilmente con una potenza nemica o con un’area di interesse geopolitico (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord) certo non la avviso prima (per quanto talune fonti internazionali lo prevedano in caso di rischio di presenza di civili sul target). Se invece voglio solo farle capire che si deve sedere con me per discutere e affrontare la cosa magari sì.

Al momento quello americano pare un atto prevalentemente politico, un segnale, destinato all’interno e all’esterno.

Le vicende del pre e del post campagna presidenziale relative ai rapporti con la Russia ed ai conseguenti conflitti con l’intelligence, l’FBI e il partito repubblicano, hanno messo in grandissima difficoltà Trump. Da settimane, i media americani parlano solo ed esclusivamente di un Presidente alleato quando non manovrato della Russia: se si tiene a mente cosa può rappresentare nel contesto americano l’accusa di  intelligenza con i russi si dovrebbe comprendere che questo è il tentativo di ucciderlo politicamente. Il tutto è costato, da ultimo, l’auspicata riforma dell’Obamacare, per non dire del defenestramento del generale Flynn e di Bannon dal Consiglio di Sicurezza nazionale (a proposito, Bannon non è stato cacciato dallo staff di Trump, rimane il suo consigliere più influente, ascoltato e importante. È stato rimosso da un team sulla sicurezza nazionale in cui Trump lo aveva inserito quando il capo di quel team era Flynn: e ora il capo è un altro).

Idem sul piano internazionale: davvero qualcuno pensava che l’America avrebbe potuto passare per l’alleato servile o il burattino di Putin (come pure in casa nostra qualcuno ha voluto dipingerlo)?

Al momento, tutto lascia supporre che i messaggi che l’America e Trump hanno voluto mandare questa notte siano:

  1. a) “Non siamo supinamente filo russi o al servizio di Putin!, accusa dalla quale, come detto, Trump si deve smarcare dentro e fuori i confini;
  2. b) “Vogliamo tornare a contare pure noi in quello scacchiere (certo, ora si tratterà di capire come), Putin non puoi fare da solo”. Del resto, il Pentagono ha affermato che la cooperazione militare con la Russia in Siria non è stata sospesa.
  3. c) “Io non scherzo e mantengo le promesse”, messaggio ad intra e ad extra, anzitutto Iran e Corea del Nord, nonché alla Cina. Messaggio simile a quello, in ambito commerciale, lanciato con i dazi.
  4. d) “Assad non esagerare, possiamo coprirti (solo pochi giorni fa il segretario di Stato Tillerson aveva detto che per l’America la sostituzione di Assad non è all’ordine del giorno) ma fino a un certo punto”.

Sembra esclusa per il momento un’escalation. Sembrerebbe un episodio isolato che va piuttosto analizzato come un atto di dimostrazione politica da parte del presidente Trump, sia a livello interno che a livello internazionale: con questa mossa, Trump, che a parole ha sempre mostrato l’intenzione di volersi avvicinare alla Russia, ha fugato ogni dubbio: è un presidente che decide autonomamente.

Può darsi che tra qualche mese, settimana od ora, questa lettura verrà smentita, ma al momento c’è tanta acqua da buttare sul fuoco. Un frettoloso cambio di valutazione sulla Presidenza Trump appena avviatasi (magari unito a un censurabile pregiudiziale tic antiamericano), potrebbe costare molto caro in termini culturali e di analisi politica. Anche in tal caso seguiamo Papa Francesco: non ci è chiesto di stare in curva sud (o nord), ma di valutare i fatti, possibilmente approfondendo e usando la ragione.

Francesco Cavallo

 

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