Esce oggi sul sito www.tempi.it questa breve analisi del percorso della Lega dalle origini alle ultime amministrative. Il percorso dal federalismo al nazionalismo ha subito una battuta d’arresto. Riflessioni sul patrimonio costruito dalla Lega
di Marco Invernizzi
Sembra essere il tema del dopo elezioni. Tutti ne parlano, molti ne scrivono. Non è la prima volta che la Lega viene data per morta, ma poi è sopravvissuta ed è diventata il partito più votato dagli italiani, come alle europee del 2019.
Vale la pena soffermarsi sul punto, perché milioni di italiani hanno votato Lega anche per nobili ragioni, inerenti alla difesa dell’identità territoriale, ai principi non negoziabili, ecc.
Certo, non è l’unico tema che emerge dal dato elettorale. Intanto, merita attenzione il fatto che ormai vanno a votare metà degli italiani, con un distacco sempre più crescente di interesse da una politica sempre più meschina, cioè poco attenta ai temi fondamentali per il bene comune, come per esempio l’inverno demografico, tema evocato dalle istituzioni e dai partiti, soprattutto di centro-destra, ma poi non ripreso nella politica quotidiana come meriterebbe. Tuttavia credo sia sbagliato attribuire solo alla classe politica la responsabilità di una politica meschina: è la società, a mio avviso, che nel suo insieme e, salvo sempre nobili e importanti eccezioni, ha perso ogni ricerca dell’ideale, del bene comune, di una politica “alta”. Per questo non vale il richiamo retorico all’esistenza di un popolo “sano”, governato da minoranze di “cialtroni”, e non vale perché non corrisponde alla realtà. Della metà degli italiani che votano, metà si orientano al centro-destra e un po’ meno al centro-sinistra, con la recente variante, emersa proprio in questa tornata elettorale amministrativa, di un terzo polo centrista, che potrebbe rappresentare in futuro una sirena pericolosa per la vittoria elettorale, probabile ma non scontata, del centro-destra alle prossime elezioni politiche.
Ma torniamo alla Lega. Il partito fondato da Umberto Bossi nasce come espressione politica dell’autonomismo, cultura politica anticentralista che Bossi eredita da Bruno Salvadori (1942-1980), l’intellettuale e uomo politico della Valle d’Aosta morto prematuramente. Grazie a un lavoro certosino, lento, ma costante, diventa il primo partito post-ideologico, che nasce prima del 1989, ma esplode dopo la caduta del Muro di Berlino, quando gli antichi partiti ideologici di massa vanno a morire. Negli Anni ‘90 la Lega diventa il partito più vecchio presente in Parlamento; è un partito del Nord, una sorta di sindacato del territorio, che denuncia le storture centraliste di un’Italia nata male prendendo come modello il sistema politico francese e coartando i diritti e le libertà dei tanti e diversi popoli italiani. Per un certo periodo Bossi usa questo patrimonio culturale e politico in chiave secessionista, inaugurando il Parlamento del Nord, dove si presentano i diversi partiti secessionisti, ciascuno con il proprio richiamo ideologico: a quei tempi Matteo Salvini era il capo dei comunisti padani (1997). Il mito della Padania eccita ardori secessionisti, ma è un richiamo a sua volta ideologico, divisivo, che fa diventare assolute delle richieste di autonomia che andrebbero integrate con altre necessità, in un’ottica di bene comune.
In questo partito c’è tanto di buono: la riscoperta di un’identità locale, con tradizioni e stili di vita positivi, e la rivendicazione della libertà di fronte al centralismo dello Stato. Ma emergono anche egoismi dialettici e divisivi, prima contro i “terroni”, poi contro gli immigrati, che è cosa diversa dalla lotta contro l’immigrazione clandestina e a favore dello sviluppo del Sud all’interno del Sud, che poteva non avvenire con lo spostamento di milioni di meridionali, venuti negli Anni Sessanta a vivere e lavorare nel triangolo industriale dei nord, provocando difficoltà ambientali enormi.
La ricetta giusta sarebbero il federalismo e la dottrina sociale della Chiesa. Il federalismo rimane la carta d’identità della Lega del terzo millennio, all’interno della coalizione di centro-destra, nell’ottica che, se una cosa va bene in Lombardia e in Veneto, perché non dovrebbe funzionare anche in Calabria e Sicilia? La Lega si avvicina anche alla dottrina sociale dopo le “sbandate” antiromane e filo-protestanti dei primi anni, ma il partito viene ridimensionato a causa della malattia del suo fondatore e dei successivi sbandamenti nella classe dirigente (2004-2005).
A causa della malattia, Bossi è costretto a una lunga inattività. Dopo il suo ritorno (2005), il partito andrà al governo di Piemonte e Veneto, prima uscire dal governo nazionale in seguito alle dimissioni di Silvio Berlusconi nel 2011. Al suo interno aumenta lo scontro tra i seguaci di Bossi e quelli di Roberto Maroni, che diventa segretario del partito nel 2012 in seguito alle dimissioni di Bossi, dopo uno scandalo che ha coinvolto il segretario amministrativo Belsito e la stessa famiglia del Senatur.
Siamo alla vigilia della svolta all’interno della Lega, che avviene nel dicembre 2013, quando Salvini diventa segretario al posto di Maroni (che è alla guida della Lombardia), superando alle primarie lo stesso Bossi.
Salvini eredita un partito che ha preso il 4% dei voti alle elezioni politiche dello stesso 2013 e lo porta in pochi anni di successo in successo, fino a essere il partito più votato dagli italiani, in particolare alle europee del 2019, con oltre nove milioni di voti e la percentuale del 34%. Salvini toglie la parola “Nord” dal simbolo e opta per un partito nazionalista, cercando di radicarsi in tutto il Paese. Credo sia corretto affermare che il partito perda la sua identità originaria, tentando di diventare un partito di destra nazionalista («Prima l’Italia» si può ancora leggere oggi sul sito del partito) che in Europa si allea con il partito altrettanto nazionalista di Marine Le Pen. Il partito si allarga in tutte le regioni, accoglie personaggi, soprattutto al Sud, che nulla hanno a che vedere con le sue caratteristiche originarie, anche perché non parla più di federalismo (sebbene non lo abbia mai rinnegato), che avrebbe potuto essere il modo attraverso il quale estendere al Centro e al Sud l’esperienza virtuosa e vincente delle regioni e dei comuni del Nord, amministrati anche e soprattutto dalla Lega.
Così siamo arrivati a oggi. Il partito è vissuto e cresciuto grazie alle polemiche di Salvini contro l’immigrazione clandestina, grazie a un attacco continuo e violento contro la sua persona da parte dei media e delle sinistre, ma è andata crescendo anche la divaricazione fra la Lega come forza di governo nelle regioni più importanti del Paese e il suo leader, sempre al centro di polemiche scomposte (non sempre per colpa sua).
Qualcuno si chiede se la Lega sia all’inizio di un’inesorabile decadenza, se dovrà cambiare il suo leader e soprattutto la sua linea politica. E’ presto per dare una risposta e in ogni caso bisogna tenere presente il radicamento di un partito molto territoriale, non paragonabile al Movimento 5 Stelle, per fare soltanto un esempio. In questo senso siamo di fronte a un patrimonio politico importante, da non disperdere per il bene comune del Paese intero.
Giovedì, 16 giugno 2022