Giovanni Cantoni, Cristianità n. 241-242 (1995)
Le dimenticanze di un vescovo…
Avrei molte ragioni per tacere, e sono ragioni che affondano quasi nella mia privacy: infatti, conosco S. E. mons. Giuseppe Casale, arcivescovo di Foggia-Bovino, non da ieri; ho collaborato con lui in più di un’occasione e in lui ho potuto riscontrare, in un passato prossimo e meno prossimo, sensibilità particolari spesso ottuse in altri membri del clero. Ma — purtroppo — leggo su l’Unità del 18 aprile 1995 un’intervista rilasciata dal presule al Giornale fondato da Antonio Gramsci, e si tratta di un’intervista oggettivamente «scandalosa» — dico nel senso evangelico del termine — e, quindi, ritengo di non potermi voltare dall’altra parte e di non poter fingere di non vedere (1). Cosa lamento? Non avrei preso «carta e penna» — come si dice — solo per il fatto che un vescovo della Chiesa cattolica ha rilasciato un’intervista a un giornale neocomunista, facendo in qualche modo eco alla vulgata della propaganda elettorale progressista: quanto all’intervista in sé, sono dell’avviso che non si debbano perdere occasioni per annunciare la verità, dopo essersi accertati che verrà riportato fedelmente il proprio pensiero; quanto alla vulgata progressista, si tratta di luoghi comuni tanto diffusi che suscita meraviglia più la loro assenza che la loro presenza. E neppure avrei scritto perché un vescovo della Chiesa cattolica si schiera praticamente — sia pure nella forma curiale dell’«auspicio» —, ignorando le precise indicazioni del supremo Magistero: anche se, come vittima — in quanto fedele — di questo malcostume, ho titolo alla lamentela, la considero ormai alla stregua delle denunce delle espressioni pornografiche, impossibili da inseguire e da perseguire specificamente. Inoltre, sono stato in un certo senso «vendicato» ampiamente e anticipatamente in una sede al di sopra di ogni sospetto: infatti, sulla prima pagina di Voce di Popolo, il settimanale diocesano di Foggia, dell’11 marzo 1995, il direttore responsabile, Nino Abate, scriveva «profeticamente» che «ormai si trova sempre un prelato, più o meno elevato in dignità, più o meno vecchio, che viene strumentalizzato politicamente» (2); e l’affermazione potrebbe oggi essere raccolta sotto la rubrica La corda in casa dell’impiccato.
Tanto meno prendo «carta e penna» per contestare gli errori di fatto di un cittadino italiano che non sa distinguere fra il mondo della finanza e quello dell’economia, e lamenta risibilmente la mancanza di oggetto materiale nel settore terziario, che perciò stesso sarebbe «vuoto» — sembra di leggere un brandello di requisitoria ottocentesca sull’improduttività dei contemplativi —; che si vanta di coltivare la storia e, di fronte a chi ha parteggiato fino a ieri per i carnefici di mezzo mondo, non solo non esige formalmente un’adeguata valorizzazione dell’anticomunismo, ma sembra accontentarsi di un sorry, e non vede la tenaglia che un certo capitalismo nostrano e internazionale e clan statalisti — convertiti all’economia di mercato più sfrenata, com’è noto a chi abbia un’informazione poco più che superficiale circa quanto accade dal 1989 nell’ex impero sovietico — stringono intorno all’economia normale dell’Italia, all’imprenditoria nazionale. Qualcuno dirà: sarebbero ragioni più che sufficienti per prendere «carta e penna». Rispondo: certamente, ma credo che non mi avrebbero fatto varcare la soglia, superare la difficoltà costituita dalla conoscenza e dall’apprezzamento parziale per il presule, che ho ricordati.
Ma scrivo. Scrivo perché S. E. mons. Giuseppe Casale non solo non ha chiesto conto dei Gulag, ma neppure — per esempio — dell’olocausto in corso, quello dell’aborto, e dell’olocausto all’orizzonte, quello dell’eutanasia; anzi, ha enunciato tesi inaccettabili: «In democrazia bisogna tener conto della libertà dei cittadini, che non può essere limitata, ma solo orientata dalla coscienza»; e ancora: «I partiti devono evitare di schierarsi sui temi di coscienza», «[…] i partiti devono distinguersi sulle proposte economiche, sociali» (3). No, la dottrina sociale della Chiesa, cioè la morale sociale enunciata dal Magistero, non è questa: in democrazia, come in ogni altro regime, la libertà dei cittadini trova il suo limite nella verità, non solo nella coscienza — e non basta dire «coscienza», è indispensabile aggiungere «retta e illuminata» —, quindi pure nella legge positiva: «[…] il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna o promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del “bene comune” come fine e criterio regolativo della vita politica» (4).
E «alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli “maggioranze” dì opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto “legge naturale” iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile» (5): «La tolleranza legale dell’aborto e dell’eutanasia non può in alcun modo richiamarsi al rispetto della coscienza degli altri, proprio perché la società ha il diritto e il dovere di tutelarsi contro gli abusi che si possono verificare in nome della coscienza e sotto il pretesto della libertà» (6); inoltre, «il fatto che le legislazioni di molti Paesi […] abbiano acconsentito a non punire o addirittura a riconoscere la piena legittimità di […] pratiche contro la vita è insieme sintomo preoccupante e causa non marginale di un grave crollo morale: scelte un tempo unanimemente considerate come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a poco a poco socialmente rispettabili» (7).
Quanto ai partiti, se non sono bande per la conquista elettorale del potere, «[…] devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune» (8), che non si può ridurre alle dimensioni economica e sociale, ma che «[…] è l’insieme di quelle condizioni di vita sociale grazie alle quali gli uomini possono conseguire più pienamente e con maggiore speditezza il loro perfezionamento» (9), quindi «[…] consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti e dei doveri della persona umana» (10). Per- ciò si devono schierare anche sui temi di coscienza, non distinguersi solamente sulle proposte economiche e sociali: un paese non è il terreno su cui sorge un’azienda, è il luogo in cui vive una porzione di umanità nello sforzo di condurre una vita virtuosa in comune.
E chiudo il mio intervento dolente — le ragioni di questo dispiacere si dispiegano ormai con ogni evidenza su tutto l’orizzonte — appunto su questo dovere di schierarsi: domenica 16 aprile 1995, in un’intervista a il manifesto, l’on. Massimo D’Alema ha rassicurato i suoi affermando che il professor Romano Prodi «è un cattolico, e per i cattolici l’aborto è un delitto. Ma non ha nessuna intenzione di cancellare la legge» (11). Chi si è schierato con chi?
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Ho scritto tutto questo avendo ben presente il detto di sant’Agostino secondo cui, fra cristiani, si devono dare in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas, cioè con la precisa volontà — mi auguro non fallita — di essere rispettoso della «libertà nelle cose che si possono discutere», senza però prescindere dall’«unità nelle cose indispensabili», condizione perché regni la «carità in tutto».
Giovanni Cantoni
Note:
(*) Articolo comparso in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLIV, n. 91, 20-4-1995, pp. 1 e 16; i riferimenti sinteticamente presenti nel testo sono stati estesamente portati in nota; il titolo è della redazione del quotidiano.
(1) Cfr. MONSIGNOR GIUSEPPE CASALE, Vescovo di Foggia, «Centro e sinistra, io li vedo vicini», intervista a cura di Rosanna Lampugnani, in l’Unità, 18-4-1995.
(2) N. A. [NINO ABATE], Addio, Ppi, in Voce di Popolo. Settimanale di informazione, attualità e cultura, anno 2, n. 9, 11-3-1995, p. 1.
(3) MONSIGNOR G. CASALE, vescovo di Foggia, intervista cit.
(4) GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Evangelium vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana, del 25-3-1995, n. 70.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Ibid., n. 4.
(8) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 75.
(9) IDEM, Dichiarazione sulla libertà religiosa. Il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa Dignitatis humanae, n. 6.
(10) Ibidem.
(11) D’Alema e il sogno della regione, intervista a cura di Riccardo Barenghi, in il manifesto. Quotidiano comunista, 16-4-1995.