Marco Invernizzi, Cristianità n. 397 (2019)
Le elezioni europee del 26 maggio 2019
Le elezioni europee, nelle quali si vota con il sistema proporzionale, sono particolarmente utili per comprendere che cosa pensano gli elettori: sono una sorta di «sondaggio di opinione gratuito».
Mi limito a poche considerazioni, relativamente all’Italia, non per campanilismo, ma per iniziare una riflessione su un terreno conosciuto. Mi rendo conto che, trattandosi di elezioni europee, la vera valutazione dovrà avvenire quando si saranno delineate le alleanze a livello del Parlamento di Bruxelles fra i diversi partiti nazionali. Quindi mi accontento di qualche considerazione a livello nazionale partendo da un voto europeo, pur consapevole di come il voto amministrativo, che in molti comuni si è svolto in contemporanea con le elezioni europee, spesso abbia dato un esito diverso.
Vi è un dato preliminare. È aumentato il numero di coloro che in Italia non hanno votato, al contrario dell’Europa: sono andati alle urne il 56,09% degli aventi diritto contro il 58,69 delle precedenti europee nel 2014. Ciò significa che la proposta politica oggi attira sempre meno. Bisogna capire in che misura si tratta di un rifiuto della politica oppure della mancanza di proposte ritenute attraenti fra quelle «in commercio».
Una seconda premessa. Appare evidente che non vi sono più voti di appartenenza, dato che il 63% dei votanti ha cambiato partito dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018 alle europee del 2019. I voti vengono raccolti soprattutto dai leader e poi dai singoli candidati, che alle europee raccolgono le preferenze e quindi hanno una certa importanza. L’impressione è che si siano create delle concentrazioni elettorali su due o più candidati in una stessa lista. Si sono costituiti così alcuni «cespugli» presenti nei diversi partiti di centro-destra, favorevoli ai «princìpi non negoziabili», ma abbastanza scollegati fra loro. Bisogna cercare il modo di collegarli fra loro, se si vuole costituire un’alleanza significativa fra elettorati omogenei.
Il voto ha confermato che esiste una maggioranza in senso lato conservatrice, che potremmo chiamare di centro-destra, che supera il 40% dei voti senza Forza Italia e sfiora il 50% con il partito di Silvio Berlusconi. Si tratta di circa 13 milioni di italiani che, quanto meno, sui princìpi fondamentali del bene comune, della vita, della famiglia e della libertà di educazione e religiosa, non sono ostili all’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa.
Rimangono invece nel Partito Democratico (PD) profondi pregiudizi ideologici nei confronti dei princìpi cosiddetti «non negoziabili», accresciutisi con la segreteria di Nicola Zingaretti, che vanta di avere ottenuto un buon risultato elettorale perché temeva di subire un tracollo di voti, ma in realtà ha poco di cui gioire, avendo perso oltre 100.000 voti dalle elezioni politiche del 2018, cioè da 6.176.325 a 6.050.351 (1). In un manifesto del PD in occasione dei gay pride indetti per il mese di giugno, presentato su facebook, Zingaretti scrive: «Andiamo al Mese del Pride, all’Onda Pride, alle mobilitazioni e alle manifestazioni che si stanno tenendo in tutta Italia per garantire pari diritti e pari dignità alle comunità lgbt. Noi ci siamo!». È evidente come, partendo da questi presupposti, risulti difficile a questo partito proporsi come interlocutore dei cattolici nonostante esistano, all’interno delle strutture organizzate del mondo cattolico, sacche non piccole di militanti e di elettori del Partito Democratico.
La sinistra ha perso voti ma rimane alla guida di molte città dove rappresenta un potere antico, esprimendo gli interessi delle classi facoltose, degli intellettuali e dei giornalisti. Nei comuni più piccoli la Lega è il primo partito, spesso con percentuali molto alte, mentre nelle grandi città, e nelle zone centrali di esse, è il PD il primo partito (2): il dato è interessante se si tiene conto che in Italia ci sono 5.496 comuni sotto i 5.000 abitanti, i quali rappresentano il 69,45% del totale dei comuni italiani e vi abita il 16,31% della popolazione nazionale, cioè quasi 10 milioni di italiani (3).
La nostra società è «liquida» anche in politica. Soltanto il 37% degli elettori delle politiche del 2018 hanno confermato il loro voto un anno dopo. Non solo non siamo più all’epoca delle ideologie, quando gli spostamenti elettorali erano minimi perché si votava per appartenenza ideologica, ma il cambiamento del proprio voto è divenuto una costante proprio perché non si vota scegliendo chi si avvicina di più alla propria visione del mondo, ma si sceglie in base a un interesse, per quanto legittimo. Il caso del MoVimento 5Stelle, che ha perso in un anno oltre 6 milioni di voti, è emblematico. Ma in realtà possiamo chiederci: che significato ha votare 5Stelle se non una generica forma di protesta o l’affermazione dell’importanza dell’onestà, come se quest’ultima fosse sufficiente per ben governare? E come reagire quando si trovasse un concorrente politico altrettanto onesto oppure la disonestà facesse breccia nello stesso MoVimento?
Molte altre osservazioni andranno fatte su quell’importante sondaggio rappresentato dalle elezioni del 2019. Quanto meno esse hanno confermato che vi è ancora buon senso nel Bel Paese, e che anche un senso religioso rimane, per quanto minoritario e forse confuso. Come ho avuto modo di far notare ai Pastori della nostra Chiesa, una parte non trascurabile dei non molti fedeli che partecipano alla Messa della domenica vota per questi partiti «conservatori» (4): vanno coltivati, non abbandonati, secondo l’ottica dell’«odore delle pecore» insegnata ai Pastori da Papa Francesco. Verosimilmente sono persone che credono in alcuni princìpi: se deluse, potrebbero perdere ogni riferimento ed entrare in una forma di «disperazione politica» che già oggi porta molti, soprattutto giovani, a non votare.
Questi italiani rappresentano un non piccolo patrimonio umano di cui tener conto per fermare derive ideologiche che corriamo il rischio di vedere legalizzate nei prossimi mesi, per esempio sul tema «eutanasia». Ma sono anche persone con cui ripartire per invertire la rotta culturale dell’Italia, purché non si dia per scontato che il mondo vada inesorabilmente verso la «dittatura del relativismo», quasi fosse un destino non evitabile.
Quest’ultima, purtroppo, sembra invece essere la prospettiva di un mondo cattolico sempre più rinunciatario, o perché rassegnato alla sconfitta sui temi antropologici oppure perché strettamente legato a quelle forze ideologiche che conducono a livello nazionale e internazionale la politica che sostiene la «cultura della morte». Intendiamoci, i cattolici in Occidente, anche in Italia, sono diventati una minoranza e come tale devono imparare a operare, superando la logica della città assediata per assumere la prospettiva missionaria insita nella nuova evangelizzazione. Si tratta di una mentalità proposta dal Magistero almeno dai tempi del venerabile Papa Pio XII (1939-1958), con al centro la salvezza eterna delle persone e quindi la costruzione di ambienti, e in prospettiva di una civiltà, che rendano più facile la santificazione e l’obiettivo della salvezza eterna, che è un dono di Dio ma può essere più facilmente accolta in un contesto sociale conforme al progetto di Dio sull’uomo e sulla società.
Tuttavia, l’essere minoranza non significa non combattere certe battaglie e soprattutto non vuol dire rinunciare all’apostolato anche civico. Nel nostro tempo, oltretutto, la fine dell’epoca delle ideologie dovrebbe rendere più evidente la testimonianza cristiana, più lontana dal potere e dai suoi aspetti critici, e più lontana da quel modo polemico e aggressivo di presentare la propria opinione, tipico delle ideologie. E allora perché queste concessioni al «politicamente corretto» così diffuse negli ambienti cattolici? Perché questa difficoltà a coniugare l’umiltà e la pazienza del missionario con la passione per la verità che è Cristo, Verità ma anche mitezza, «unite» insieme misteriosamente nella Persona del Figlio di Dio fatto uomo?
Un’ultima riflessione. La politica non scalda i cuori in Italia, ma nemmeno in Europa. La critica all’Unione Europea è giusta e comprensibile, ma sarebbe sbagliata se favorisse il nazionalismo e l’apologia degli Stati nazionali, che — anche se oggi sono un oggettivo ammortizzatore nei confronti delle pressioni ideologiche degli eurocrati di Bruxelles — hanno svolto una funzione rivoluzionaria nel secolo XIX e, dopo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), hanno contribuito in maniera determinante a distruggere la «vecchia Europa», favorendo la nazionalizzazione delle masse (5) e la «guerra civile europea» (6), la quale ha prodotto, vent’anni dopo la fine della Prima, una seconda e ancora più sanguinosa guerra mondiale (1939-1945). Una diversa idea di Europa non si vede e questo aiuta le critiche di coloro che accusano i vari Marine Le Pen e Viktor Orbàn, Nigel Farage e Jarosław Kaczyński, di pensare solo agli interessi nazionali.
In politica servono ideali, nella fattispecie per quanto riguarda l’Europa. Poi forse questi ideali non troveranno sostenitori adeguati, ma senza ideali si spartisce soltanto un potere che dura per poco tempo. Cinque anni fa, dopo le europee del 2014, Matteo Renzi sembrava il padrone d’Italia: oggi fonda «comitati civici» (a proposito, che nome sprecato!) per dare vita a un nuovo partito centrista (forse). Anni prima, Silvio Berlusconi vinceva più volte le elezioni, formava quattro governi in meno di quindici anni fra il 1994 e il 2008 e sembrava anch’egli il padrone d’Italia, ma sappiamo come è andata a finire.
I voti vanno e vengono nell’epoca del relativismo e del «pensiero debole». Per farne restare almeno uno zoccolo duro, il richiamo del potere non è sufficiente.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. Ipsos-Corriere della Sera, 28-5-2019. Gli indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 29-6-2019.
(2) Cfr. Marco Castelnuovo, Lega nei paesi, Pd nelle città, nel sito web <https://www.corriere.it/elezioni-2019/notizie/lega-paesi-pd-citta-l-altalena-voti-partiti-72d20072-8168-11e9-81f8-cfc777731bc5.shtml>.
(3) Cfr. i dati ISTAT nel sito web <https://www.tuttitalia.it/comuni/popolazione>.
(4) Cfr. il mio Le pecore e i pastori, Lettera agli amici di Alleanza Cattolica, del 24-5-2019, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/pecore-e-pastori>.
(5) Cfr. George Lachmann Mosse (1918-1999), La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), trad. it., il Mulino, Bologna 2009.
(6) Cfr. Ernst Nolte (1923-2016), La guerra civile europea (1917-1945). Nazionalsocialismo e bolscevismo, trad. it., Sansoni, Firenze 2004.