La sinistra peruviana aizza i suoi sostenitori in difesa dell’ex-presidente Pedro Castillo, deposto dal Congresso con l’accusa di golpe, ma deve fare fronte alla coesione di polizia ed esercito, schierati contro l’instaurazione di un regime marxista
di Stefano Nitoglia
Che succede in Perù? La domanda rimbalza dal Paese sudamericano, erede dell’importante e ricco vicereame spagnolo del Perù, il cui territorio comprendeva buona parte del Sudamerica (famoso è tuttora il detto “vale un Perù”), e arriva sino a noi in Europa. Il Perù, infatti, è scosso da più di un mese da violente proteste e manifestazioni, con scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, che hanno provocato fino ad ora una cinquantina di morti.
Tutto è iniziato quando il presidente Pedro Castillo è stato arrestato e destituito per aver tentato di sciogliere il Congresso (il Parlamento peruviano), che, a sua volta, lo aveva messo in stato di accusa. Fonti di stampa riferiscono che la sera del 7 dicembre il “pubblico ministero” peruviano ha ordinato l’arresto, poi eseguito, di Castillo con l’accusa di colpo di stato, per aver annunciato, nella stessa giornata del 7, di voler sciogliere il Congresso per nominare un governo d’emergenza e formare una costituente per redigere una nuova costituzione.
Pedro Castillo è balzato agli onori delle cronache nel 2017, quando come leader sindacale ha avuto una parte di rilievo negli scioperi degli insegnanti che, partendo dal sud, si sono estesi in tutto il Paese. Nel 2021 ha partecipato alle elezioni presidenziali, vincendole a sorpresa contro Keiko Fujimori, della nota famiglia che ha governato il Perù per molti anni, a partire dal 1990, risollevandolo dalla crisi economica e debellando Sendero Luminoso, un movimento terroristico di ispirazione maoista, attivo in Perù negli ultimi due decenni del XX secolo e responsabile della morte di migliaia di cittadini peruviani. Nell’occasione Castillo si è presentato con il partito “Perù Libero”, che si definisce «un’organizzazione socialista di sinistra» che abbraccia il marxismo-leninismo e il mariáteguismo, da José Carlos Mariátegui La Chira (1894 – 1934), considerato uno tra i primi e più importanti pensatori marxisti dell’America Latina. Durante il suo mandato, Castillo ha nominato come primo ministro Guido Bellido, ideologicamente vicino a Sendero Luminoso, oltre a molti altri politici estremisti nei posti chiave dell’esecutivo.
Questa sua politica radicale ha provocato reazioni e spaccature nel Paese, con diffusi conflitti sociali, nonché tensioni nel Congresso, nel quale Castillo non aveva la maggioranza, essendo dominato dai partiti conservatori. Ci sono stati due tentativi di impeachment, che però non hanno avuto esito. Per risolvere i suoi problemi con il Congresso, Castillo ha pensato bene di scioglierlo, ma questa sua mossa è stata bloccata, appunto, il 7 dicembre, quando la maggioranza del governo si è dimessa e il Congresso, finalmente, ha votato l’impeachment, destituendo Castillo con una maggioranza di 101 favorevoli e 6 contrari su 130 voti. Gli è subentrata Dina Boluarte, già vicepresidente di Castillo, che aveva partecipato alle elezioni presidenziali del 2021 con lo stesso partito Perù Libero, anche se poi, nel gennaio del 2022, in una intervista a La Republica aveva dichiarato di non aver mai abbracciato l’ideologia marxista del partito, tanto da esserne espulsa dal segretario generale Vladimir Cerro.
Da quanto si apprende da fonti locali, Dina Boluarte è una figura debole e incolore, mentre coloro che si oppongono al progetto delle forze politiche che vogliono trasformare il Perù nell’ennesimo Paese di sinistra del Sudamerica godono dell’appoggio dell’esercito e della polizia, veri aghi della bilancia che stanno, per ora, efficacemente controllando le manifestazioni organizzate dalla sinistra radicale.
Lunedì, 16 gennaio 2022