II domenica del Tempo ordinario
1 Sam 3, 3-10.19, 1 Cor 6,13–15.17- 20, Gv 1, 35 – 42
Il filo conduttore che emerge dalle letture del giorno è il tema della vocazione. La prima lettura e la pagina del Vangelo di san Giovanni sono, infatti, due “racconti” vocazionali. Il primo ha per protagonista Samuele, che fu sacerdote e profeta in Israele (visse intorno al 1000 a.C.). La sua chiamata è radicalmente opposta, nel suo svolgimento, a quella di san Paolo sulla via di Damasco: l’Apostolo delle genti ricevette l’irruzione improvvisa e accecante del Suo Signore, mentre nella prima lettura osserviamo una progressione lenta, scandita da tre appelli notturni, avvertiti da un giovane inserviente del Tempio, che stava dormendo serenamente, come spesso accade ai giovani. Le lucerne davanti all’Arca dell’Alleanza, nel cuore del Tempio, erano ancora accese.
E’ sempre Dio che dispone e presiede l’iniziativa, soprattutto nelle chiamate vocazionali, che non riguardano soltanto il sacerdozio. Il teologo luterano Karl Barth (1886-1968) modificò il famoso «cogito ergo sum», «penso dunque sono», di Cartesio (1596-1650) nel ben più sacrale: «Cogitor ergo sum», cioè «sono pensato da Dio, per cui sono» – quindi esisto, vivo e credo.
Spero personalmente che la mia strada si compia nell’apprendimento dello stesso tipo di ascolto che Samuele conquista nella pagina offerta alla meditazione dei fedeli in questa domenica, sebbene egli si dimostri ancora un giovane novizio, inesperto della vita spirituale. Ma c’è sempre una figura, che emerge in tutte le vocazioni, anche laicali: è la guida spirituale, determinante nell’aiutare a discernere la volontà del Signore. Soprattutto all’inizio della vita spirituale, dopo il primo corso di Esercizi spirituali ignaziani, è fondamentale la presenza di una guida che abbia già percorso l’ascesa al “sacro monte” (reale o metaforico) dal quale lo Spirito Santo parla sempre forte e chiaro. Dietro un santo laico c’è sempre un santo sacerdote. Eli, sacerdote del Tempio, è una figura che non si mette in mostra, non interferisce in maniera vistosa, ma accompagna con pochi chiari consigli, assai importanti nella vita del cuore, affinché le indicazioni di Dio non vengano fraintese o perdute.
Alla fine Samuele scopre la sua vocazione: al mattino sarà un altro uomo, pienamente compattato nelle sue forze e convinzioni. Sarà dedito alla sua missione di profeta e sacerdote con la chiarezza che sarà di san Giovanni Battista. Samuele emana purezza, nella limpidezza del suo rapporto con Dio. Sono perfettamente calzanti le parole del Salvatore nel Discorso della Montagna: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). Una purezza che esalta anche san Paolo nella seconda lettura (1Cor 6,13–15.17- 20) e che dovrebbe essere amata da tutti noi, per glorificare Dio, integralmente edificata sopra la nostra santissima fede, come casa sulla roccia.
Così è, anzitutto, la purezza richiesta al sacerdote cattolico, coltivata in prospettiva escatologica, con la quale preannuncia quella che sarà la condizione delle anime vittoriose, che in Paradiso vedono e vedranno il Padre così come Egli è. Dio colma ogni umana aspirazione ed esigenza affettiva. Ben sappiamo che il movimento più forte del cuore umano è l’affezione, cioè compiersi nell’altro, ma il primo sposo dell’anima è Gesù Cristo, con il suo Santo Spirito, portatore del dono del «governo di sé» (Gal 5, 22). La castità libera il cuore dalle passioni terrene per accogliere la dolcissima presenza del Salvatore, sovrabbondante nel sacerdote, che parla di Dio, della Sua esistenza, del Paradiso e di come si conquista, mentre lo pregusta in quella terribilmente positiva testimonianza che è il celibato sacerdotale. Secondo il grande Jean-Baptiste Henri Lacordaire (1802-61), la castità permette al sacerdote di avere un cuore d’acciaio per la purezza e un cuore di carne per la carità.
Ben più importante e nobile della scontata difesa morale e sanitaria, lo scopo della purezza è legato alla dignità del corpo umano, che ci è dato per glorificare Dio, come dice san Paolo nel brano odierno: «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6,19).
Cosa accade all’anima casta? Vive ogni età della vita senza perderne o bruciarne nessuna. La castità spalanca la possibilità di vivere altre forme di amore, come quello dell’amicizia, oggi così importante nella vita delle persone. E’ un potente ausilio per scoprire i lati psicologici più belli e più segreti dell’altro, guarisce dalla paura e dalla diffidenza verso l’altro sesso, abitua al dialogo, che è una cosa molto più profonda di un semplice “cortocircuito” che suppone già risolti molti di questi problemi. Quando arriverà il grande amore, con la stessa o con un’altra persona, la castità permetterà di viverlo con più intensità e maturità.
La chiamata dei primi Apostoli è intrisa di riferimenti alla vita spirituale, pur svolgendosi in un contesto quotidiano, nei nostri luoghi di comune abitazione e vita sociale. L’iniziativa è sempre di Dio, infatti ad un certo punto è Gesù che si volta verso di loro, li guarda e domanda che cosa cercassero. San Giovanni evangelista annota che erano le quattro del pomeriggio, sottolineando così l’importanza vitale di quell’incontro per i discepoli. La comunicazione è profonda e attuata mediante sguardi limpidi e comunicativi, come accade tra gli innamorati, che si guardano e comunicano qualcosa di grande senza pronunciare una sola parola.
San Giovanni Battista fissa anche lui lo sguardo su Gesù. Gesù si volta, vede Andrea e Giovanni, che lo seguono, e li invita a vedere dove abita. Da ultimo, Gesù fissa lo sguardo su Pietro, chiamandola ad una nuova vita. In questo caso, come anche per Samuele, la scoperta della vocazione avviene mediante un itinerario, intrapreso da parte uomini “di cuore” che danno la precedenza al Regno di Dio, da cercare con tutto il proprio cuore, con tutta la propria mente e con tutte le proprie forze. Dopo una lunga ricerca spirituale, Andrea afferma, esultando: «Abbiamo trovato il Messia!». Dopo tanto movimento, Andrea e Giovanni si fermano e rimangono presso il Signore. In termini evangelici, questa espressione indica una comunione profonda, che qualifica la tua esistenza. Gesù ora è riconosciuto come il Messia, non come un semplice maestro. Anche in tal caso ne esce un uomo nuovo, ricolmo della luce di Cristo, sebbene la nuova umanità dei discepoli risplenderà pienamente solo dopo la Pentecoste. «Tu sei Simone il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa – che significa Pietro» (Gv 1,42): Dio chiude le porte della bottega artigiana del futuro Papa e spalanca il portone di un avvenire grandioso. Il Signore, quando accolto, porta a compimento i talenti presenti da sempre in noi, che altrimenti rimarrebbero inespressi, vinti dalle tante resistenze. Elemento fondamentale anche di questa chiamata sono le figure che l’hanno accompagnata al pieno compimento. Prezioso l’aiuto di un maestro spirituale, il Battista, che indica col dito teso l’Agnello di Dio. Andrea, da autentico fratello, invita Pietro a condividere una grande scoperta, senza trattenere nulla per sé: «Abbiamo trovato il Messia!».
Oggi vogliamo tornare sui nostri passi, dando uno sguardo retrospettivo, per riconoscere tutte quelle figure che ci hanno accompagnato nelle nostre scelte e che forse non abbiamo adeguatamente valorizzato e ringraziato. Ci ha sorretto la Grazia divina, ma sicuramente anche la fede di tanti che hanno svolto il ruolo di collaboratori, come lo sono stati il Battista e l’apostolo Andrea per Pietro. Può essere un momento importante di verifica della nostra vita spirituale, pensando soprattutto alla figura del confessore e del padre spirituale, che in taluni momenti della vita è di vitale importanza: non tacete quando il cuore è circondato dal nemico, abbiate un padre che vi ami, vi ascolti e metta in fuga il maligno!
Vogliamo oggi fare memoria, nell’Eucarestia, di tutte queste figure familiari, amicali, associative. Ricordiamo in particolare, nel primo anniversario della sua dipartita al Cielo (18 gennaio), Giovanni Cantoni (1938-2020), fondatore di Alleanza Cattolica, colui che ha dato forma culturale alla nostra fede oggi. Sono tutte figure che il Signore ha posto sul nostro cammino, verso cui siamo debitori, ed hanno rappresentato tangibilmente la Chiesa cattolica romana e il profumo di Cristo, che non ti abbandonano, ma ti conducono ad una perenne primavera.
Domenica, 17 gennaio 2021