III domenica di Pasqua
(At 5,27-32.40-41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19)
Queste parole di Gesù sono inserite nel racconto della terza apparizione del Risorto ai discepoli presso le rive del mare di Tiberiade, che narra la pesca miracolosa. Dopo lo “scandalo” della Croce
essi erano tornati alla loro terra e al loro lavoro di pescatori, cioè a quelle attività che svolgevano prima di incontrare Gesù. Erano tornati alla vita di prima e questo fa intendere il clima di dispersione e di smarrimento che regnava nella loro comunità (cfr Mc 14,27; Mt 26,31).
Era difficile per i discepoli comprendere ciò che era avvenuto. Ma, mentre tutto sembrava finito, di nuovo, come sulla via di Emmaus, è ancora Gesù a venire verso i suoi amici. Stavolta li incontra sul mare, luogo che richiama alla mente le tribolazioni e le difficoltà della vita; li incontra sul far del mattino, dopo un’inutile fatica durante l’intera notte. La loro rete è vuota. In un certo modo, ciò appare come il bilancio della loro esperienza con Gesù: lo avevano conosciuto, gli erano stati accanto ed Egli aveva loro promesso tante cose. Eppure ora si trovavano con la rete vuota di pesci.
Ma ecco che all’alba Gesù va loro incontro; essi però non lo riconoscono subito (cfr cv.4). L’«alba» nella Bibbia indica spesso il momento di interventi straordinari di Dio. Nel Libro dell’Esodo, ad esempio, «alla veglia del mattino» il Signore interviene «dalla colonna di fuoco e di nube» per salvare il suo popolo in fuga dall’Egitto (cfr Es 14,24). Ed ancora, è sul far del giorno che Maria Maddalena e le altre donne accorse al sepolcro incontrano il Signore risorto. I discepoli non riconoscono subito il Signore come accadde anche a Maria Maddalena, perché Gesù non è risorto come Lazzaro alla vita di prima, è entrato in una nuova dimensione, non più «secondo la carne, ma secondo lo Spirito» e può essere riconosciuto solo grazie allo Spirito. E’ Lui che accende la scintilla e lo fa riconoscere. «Nessuno può dire: “Gesù Signore” – nota san Paolo – se non nello Spirito Santo!» (1Cor 12,3). Viene da chiedersi se anche noi siamo oggi come la Maddalena, col volto triste e amareggiato, delusi del nostro cristianesimo, e non abbiamo allora bisogno di una nuova scintilla che fa esclamare: «E’ il Signore»! Forse abbiamo anche noi bisogno di un nuovo tocco dello Spirito Santo, perché avvenga anche a noi quel riconoscimento che cambia radicalmente il nostro sguardo.
Anche nel brano evangelico che stiamo meditando è ormai passata la notte e ai discepoli provati dalla fatica, delusi per non aver pescato nulla, il Signore dice: «Gettate la rete dalla parte destra dalla barca e troverete!» (v.6). Normalmente i pesci cadono nella rete durante la notte, quando è buio, e non di mattina, quando l’acqua è ormai trasparente. I discepoli però si fidarono di Gesù e il risultato fu una pesca miracolosamente abbondante, tanto che non riuscivano più a tirare su la rete per la grande quantità di pesci raccolti (cfr v.6). Erano centocinquantatre specie di grossi pesci. Cioè tutte le specie di pesci conosciute allora, che simboleggiano tutti i popoli del mondo, i quali appartengono all’ovile di Cristo e debbono poter conoscere il Risorto. A questo punto Giovanni, illuminato dall’amore, si rivolge a Pietro e dice: «E’ il Signore!» (v.7). Lo sguardo perspicace del discepolo che Gesù amava – icona del credente – riconosce il Maestro presente sulla riva del lago. «E’ il Signore!»: questa sua spontanea professione di fede è anche per noi un invito a proclamare che Cristo risorto è il Signore della nostra vita.
Dalla riva del lago giunge una parola conosciuta, sentita tante volte, che chiede ai discepoli di affidarsi ad essa e poi, dietro alla parola, un volto amato che rassicura e invita a mangiare insieme, non senza aver chiesto a ciascuno di condividere un po’ di quel pesce pescato. Gesù di Nazaret si manifesta come colui che rivela il carattere conviviale della storia e della nostra vita quotidiana: si è risorti quando ognuno porta del suo al comune banchetto e si propone al prossimo nel suo presente ordinato al Vangelo.
Il secondo quadro di questa parabola è il dialogo a quattrocchi tra Gesù e Pietro con la triplice domanda con cui Gesù verifica l’affetto del primo apostolo e gli porge la possibilità di cancellare il suo triplice tradimento. Alle prime due domande Pietro risponde in modo forse un po’ superficiale, ma alla terza prende coscienza piena di ciò che sta accadendo e parla a partire da un cuore contrito e umiliato: «Signore, tu sai tutto, tu lo sai che ti voglio bene».
Gesù conclude dicendo a Pietro, per la terza volta: «Pasci le mie pecorelle». Con queste parole Egli conferisce a Pietro – e, secondo l’interpretazione cattolica, ai suoi successori – il compito di supremo e universale pastore del gregge di Cristo. Gli conferisce quel primato che gli aveva promesso quando aveva detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16,18-19). Allora i verbi erano al futuro, ora sono al presente.
La fiducia e il perdono del Maestro hanno fatto di Pietro una persona nuova, fedele fino alla morte. Egli ha pascolato il gregge di Cristo nei difficili momenti dei suoi inizi, quando bisognava uscire dalla Galilea e lanciarsi per le strade del mondo. E’ significativo che Gesù ponga la domanda:
«Mi ami tu?» solo ora. Tante volte, durante la sua vita terrena, aveva chiesto alle persone: «Credi tu?», ma mai: «Mi ami tu?». Lo fa solo ora, dopo che, nella sua passione e morte, ha dato la prova di quanto lui ha amato noi. Anche il nostro amore per Cristo, come quello di Pietro, non deve restare un fatto privato e sentimentale. Si esprima quindi una presenza saporosa e luminosa, così come il Signore ci viene presentato in queste letture dei cinquanta giorni che ci accompagnano verso la Pentecoste.
Domenica, primo maggio 2022