XIII domenica del Tempo ordinario
(1Re 19, 16b.19-21; Sal 15; Gal 5, 1.13-18; Lc 9, 51-62)
«Affermo che dobbiamo essere di Gesù Cristo e servirlo, non soltanto come servi mercenari, ma come schiavi affezionati, che, mossi da sconfinato amore, si consacrano a lui per servirlo e avere il solo onore di appartenergli. Prima del battesimo eravamo schiavi del demonio; ora il battesimo ci ha resi schiavi di Gesù Cristo. Ne consegue che i cristiani devono essere o schiavi del demonio o schiavi di Gesù Cristo» (San Luigi Maria Grignon de Montfort, Aprite a Gesù Cristo, Città Nuova, p. 67) .
Queste parole pronunciate da san Luigi Maria Grignon de Montfort (1673-1716), beatificato da Leone XIII il 22 gennaio 1888 e iscritto nell’albo dei santi da Pio XII il 20 luglio 1947, sembrano in decisa contraddizione con la Parola di Dio che la Chiesa oggi ci propone, in particolare con la pagina tratta dalla Lettera ai Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; siate dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5,1). La maggior parte degli uomini si credono liberi quando possono dire: “faccio ciò che mi pare”, cioè non ho manette alle mani, nessuna costrizione mi trattiene, dunque posso soddisfare i miei impulsi, i miei istinti o le mie idee, i miei progetti, poiché nulla e nessuno me lo impedisce. Così la libertà consisterebbe nel poter prendere la strada che più mi aggrada, senza alcun impedimento.
Ma in questo modo si diventa schiavi di noi stessi, del nostro passato, dell’ambiente, delle cose, di tutto. Infatti per essere libero devo anzitutto sapere quale strada mi porta al bene; poi potrò scegliere se imboccare quella via o seguirne un’altra, anche se so che mi condurrà nel deserto, nelle sabbie mobili del peccato. Ora, il bene dell’uomo è Dio.
«Non ci sono che due sorta di persone degne di essere chiamate ragionevoli: quelli che seguono Dio con tutto il cuore perché lo conoscono, e quelli che con tutto il cuore lo cercano perché non lo conoscono». Con queste parole il grande pensatore Blaise Pascal (1623-62) concludeva la sua sofferta indagine sull’uomo. Noi uomini abbiamo bisogno di Dio. La nostra vocazione al bello, al buono, alla vita ci porta alla ricerca dell’origine di tutte queste cose. E’ un anelito al quale la nostra ragione e il nostro cuore potranno volutamente ribellarsi, ma non potranno mai intimamente sottrarsi.
Tutto ciò che ci impedisce di vedere e riconoscere Dio come scopo e senso del vivere è allora un ostacolo alla nostra libertà. E in realtà noi siamo pieni di attrattive che vogliono allontanare, soffocare, sostituirsi al bisogno di Dio. Lo spirito dell’uomo, infatti, non è libero dal corpo, perché ciò che immediatamente accontenta il corpo tenta di apparire come bene, e quindi appetibile. E non è libero neppure da se stesso, perché tutto ciò che egoisticamente lo sollecita gli si presenta come bene, e quindi appetibile. Soltanto l’uomo intimamente unito a Dio può godere con ordine dei beni fisici, del gioco ordinato dei suoi istinti, del calore sereno dei suoi sentimenti, perché può offrirsi totalmente a Dio senza avere la dolorosa impressione di essere sporco, impuro.
L’esperienza della sequela, dell’abbandono in Dio è propria di Eliseo, chiamato per mezzo di Elia, il quale «gli gettò addosso il suo mantello» (1Re 19,19), cioè lo rese il suo successore, coprendolo, scegliendolo, separandolo dal mondo per porlo al servizio di Dio. Eliseo «prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché ne mangiasse» (1Re 19,21): tutte aziono con le quali rende evidente che ha tagliato i ponti con il mondo, con il suo lavoro, con le sue pur legittime aspirazioni. E lo ha fatto in modo radicale, tanto che non può più tornare indietro, essendosi privato degli strumenti che lo legavano al suo passato. La prontezza di Eliseo nel rispondere alla chiamata del Signore viene frenata soltanto da una pur umanissima e delicata attenzione che egli mostra verso i genitori: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò» (1Re 19,20).
Gli averi, la carriera non sono ostacoli per la fede di Eliseo, il quale tuttavia si sente legato dall’affetto per i suoi cari, che in un certo senso antepone alla immediata sequela di Dio.
Neppure Eliseo era completamente libero. Come una barca non è libera di prendere il largo se anche una piccola fune la trattiene ancora all’ormeggio; come il pallone “frenato”
non è libero di prendere il volo se una sottile gomena lo trattiene ancorato al suolo; così noi non siamo liberi finché siamo attaccati anche a una sola cosa, o a unapersona sola con un attaccamento disordinato, cioè non ordinato alla nostra salvezza.
Domenica, 26 giugno 2022