Massimo Introvigne, Cristianità n. 54 (1979)
Il plurisecolare processo rivoluzionario, dopo avere investito e disgregato prima i vincoli religiosi negli Stati e tra gli Stati, poi i vincoli politici tra i corpi e gli ordini sociali, poi i vincoli economici, investe infine i rapporti intrafamiliari, per disgregare la basilare e originaria società naturale: la famiglia. Da ultimo, la Rivoluzione attacca ogni singolo, per sovvertirne le gerarchie interiori e votare ogni uomo alla deformità, all’abbruttimento, alla morte, al delirio, all’empietà. Nell’opera del marchese de Sade troviamo un preciso programma di ascetica sovversiva offerto ai “praticanti” di questa Rivoluzione in interiore homine: essa mira a raggiungere l’apatia nella vita terrena attraverso un’ossessionante e monotona sequela di peccati. Il culto della morte del corpo e dell’anima culmine del pensiero sadiano. Con de Sade la Rivoluzione sessuale viene enunciata come programma: ad altri, e in particolare a Reich, spetta il compito di trasformarla in prassi rivoluzionaria.
- La Rivoluzione in interiore homine
- Il processo rivoluzionario
Il movente primo e occulto del fenomeno che il pensiero contro-rivoluzionario denomina Rivoluzione è l’empietà, l’odio contro Dio, che è cagionato dall’orgoglio e dalla sensualità e che risulta dall’eterno processo di illusione-delusione conseguente all’accoglimento dell’invito satanico all’utopia, espresso dall’”eritis sicut dii” della Genesi. Poiché Dio è irraggiungibile, l’odio rivoluzionario si scaglia contro le sue opere, e anzitutto contro l’ordine dell’universo, giacché il mondo ordinato è riflesso della perfezione divina. L’odio contro Dio, divenuto odio contro l’ordine del mondo, si articola poi in odio contro la ragione, che riconosce e disvela tale ordine, e in odio contro la tradizione, che è possibilità di tramandare la lettura dell’ordine del mondo compiuta dalle generazioni passate (1).
L’elemento che riassume l’odio rivoluzionario è la volontà di distruggere i legami del mondo, le connessioni e le interdipendenze che costituiscono la regolarità del creato e quindi le sue leggi e il suo ordine. Il processo storico illustrato da Corrêa de Oliveira può essere letto in questa chiave: la I Rivoluzione, protestante-assolutista, distrugge i legami religiosi della società, il religamen (religio da religare, secondo la nota ipotesi etimologica) che faceva dell’Europa medievale un’unica Cristianità; la II Rivoluzione, liberale-illuminista, distrugge i legami politici, le solidarietà organiche dell’antica società di ordini e di stati; la III Rivoluzione, comunista, con l’abolizione della proprietà privata, distrugge i superstiti legami economici (2). Quella che Corrêa de Oliveira chiama “IV Rivoluzione“, rivoluzione ulteriore allo stesso comunismo, si configura, in questa prospettiva, come tentativo di distruggere anzitutto i legami microsociali, dopo che l’ordine macrosociale è stato negato e sconvolto dalle rivoluzioni precedenti.
Mediante il divorzio, e mediante gli innumerevoli meccanismi destinati a fomentare lo scontro dialettico tra genitori e figli, la IV Rivoluzione mira anzitutto a distruggere la più importante microsocietà, che è la famiglia; mentre il terrorismo – considerato, qui, nel suo significato psicologico prima che politico -, agendo da solvente del corpo sociale, distrugge le piccole solidarietà di quartiere e di vicinato, isola ogni individuo circondandolo con quel muro di paura che fa sì che non si osi più reagire quando il vicino è aggredito. L’aborto, infine, attenta a un legame non più sociale, ma biologico: il gesto del medico abortista che taglia il cordone ombelicale non per la vita ma per la morte raffigura efficacemente il programma rivoluzionario di dissoluzione che si esprime nella distruzione di ogni legame.
L’attacco ai legami che presuppongono un’alterità, e quindi una relazione fra soggetti diversi, non costituisce, tuttavia, l’elemento conclusivo della operazione rivoluzionaria. Se il movente della negazione dell’ordine del mondo è il fatto che quest’ordine riflette la perfezione di Dio, la Rivoluzione dovrà aggredire, da ultimo, l’ente che in modo eminente è creato a immagine e somiglianza di Dio, l’uomo, e volgersi contro i legami e le gerarchie che esistono in interiore homine (3).
- La sovversione delle gerarchie interiori dell’uomo
Anche nell’uomo, come nella società, vi sono ordini e gerarchie. La ragione, come scrive Aristotele, domina in noi “con potere politico e regale“, al vertice di una piramide gerarchica che si articola nel sentimento e nell’immaginazione e, infine, nei sensi. “Giustiziato” dalla Rivoluzione francese il re, assassinato dai bolscevichi lo zar, rimane da compiere l’omicidio rituale di questo “re che è in noi”, della ragione, che è segno interiore della gerarchia divina. Il primo obiettivo della Rivoluzione consisterà, allora, nella rottura della concezione e della stessa struttura unitaria dell’uomo. Già con il Rinascimento e la Riforma, come ha notato De Corte, all’homo simplex aristotelico e cristiano, nel quale, in una armonica unità, “il dualismo paolino di soma e pneuma si riassorbiva in una santità che spiritualizzava il corpo e che comunicava allo spirito una vitalità purificata“, si sostituisce progressivamente l’homo duplex, “caratterizzato dal dualismo e dall’irriducibile scissione di spirito e vita”: “non è soltanto la rappresentazione teorica dell’uomo che nello scindersi in due si modifica, ma è anche l’atteggiamento concreto degli uomini che vivono e si muovono sulla scena della storia a subire una manifesta trasformazione” (4). Nella filosofia come nella vita, l’immagine armonica dell’uomo viene scardinata e alla gerarchia fondata sul primato della ragione vengono sostituite anti-gerarchie sovversive.
Una prima linea di sovversione è costituita dalla ipertrofia della ragione, che non governa più con quel “potere politico” di cui parlava Aristotele, ma nega e schiaccia le altre potenze umane, trasforma il suo potere regale in tirannide, diventa “raison” astratta, che all’ideale del retto uso di ragione sostituisce il mito del razionalismo. La più compiuta versione filosofica di questa linea sovversiva è il panlogismo idealista, secondo cui tutto il reale non è che Idea: alle estreme conseguenze di questa tesi perviene forse Gentile, la cui filosofia può essere letta come solipsismo, lucida follia metafisica che afferma che tutto ciò che esiste è proiezione dell’Idea che è in me (5).
Una seconda linea di sovversione in interiore homine è quella della ipertrofia del sentimento e della immaginazione, che usurpano il potere della ragione e vengono considerati e vissuti come l’elemento più importante dell’uomo. Gli studi di Beguin hanno evidenziato la trama filosofica di questa mentalità come “filosofia del sogno” che percorre tutto l’Ottocento, da Moritz, Troxler, Carus fino a Jean-Paul e allo stesso Goethe, e che sostanzia la letteratura e il costume che si è convenuto di chiamare “romantici”. Una filosofia secondo cui il sogno è più reale della vita reale, che “può giungere al punto di divinizzare l’inconscio, di rinnegare l’altra metà della vita“: un’avventura che può condurre “alla perdita dell’individualità, alla sua irrimediabile dissoluzione” (6). Né le applicazioni della “filosofia del sogno” romantica sono soltanto artistiche e letterarie: il primato delle potenze immaginative e sentimentali sulla ragione corrompe e snerva intere generazioni, genera false concezioni dell’amore (che diventa amore sentimentale e romanticismo deteriore), della religione (sul modello del pietismo) e anche della politica: Mosse ha descritto, ne La nazionalizzazione delle masse, tutta una pratica politica ottocentesca che privilegia sistematicamente i “riti” laici, i simboli, le emozioni rispetto ai contenuti razionali e che prepara in Germania la “ritualità” nazional-socialista (7).
Una terza linea sovversiva, infine, attribuisce francamente il primato, nell’uomo, alla componente materiale e sensibile: è il sensismo, versione antropologica del materialismo, che sembra opportuno esaminare più dettagliatamente perché è all’interno di questa linea che nascono le prime teorie della Rivoluzione sessuale.
- Da Descartes a de Sade
Il principale riferimento filosofico dell’homo duplex è la filosofia di Descartes: il dualismo inconciliabile dello spirito e del corpo nell’uomo corrisponde all’antinomia cartesiana tra res cogitans e res extensa. “Dopo il grande sonno della “notte” aristotelica del Medioevo – ha scritto De Corte – l’homo platonicus, rinnovellato dall’elisir di lunga vita del metodo matematico, si avanzerà sulla ribalta della storia in abito di homo cartesianus” (8). Res cogitans e res extensa, in precaria unità nel sistema di Descartes, tendono a separarsi radicalmente nelle filosofie post-cartesiane: come ha notato Fabro, “il pensiero moderno dopo la morte di Cartesio si è quasi spaccato in mezzo, spiritualismo assoluto da una parte e materialismo sensistico dall’altra”. Secondo la tesi di Vartanian, il materialismo moderno, che pure ha la sua “terra promessa” nella filosofia inglese e nelle ipotesi sensistiche formulate da Locke, fino a quella estrema della “materia pensante” (9), trova ugualmente le sue radici nel dualismo cartesiano. La dissociazione radicale in Cartesio di natura e spirito, di conoscere ed essere, di anima e corpo“, per citare ancora Fabro, “fu il primo passo decisivo verso il naturalismo come materialismo ateo” (10).
I materialisti dell’illuminismo derivano da Descartes come Marx deriva da Hegel: essi portano il suo pensiero alle estreme conseguenze, riducendo a unità la diremption tra materia e spirito mediante la soppressione di quest’ultimo. La biologia meccanicistica di Descartes, che già aveva parlato di “bête machine” a proposito degli animali, apre la strada alla tesi dell’”homme machine” di Offray de La Mettrie. Superando l’immagine della “statua sensibile” di Condillac, de La Mettrie afferma risolutamente che l’uomo è una macchina dotata di pensiero, è materia che pensa, giacché “il pensiero [è] così poco incompatibile con la materia organizzata che sembra esserne una proprietà, come l’elettricità, la facoltà motrice, l’impenetrabilità, l’estensione, ecc.” (11). L’immagine dell’uomo-macchina, che precisa quella meno radicale dell’uomo-pianta, di cui de La Mettrie si era servito in una prima fase del suo pensiero, può essere considerata il simbolo e la sintesi dell’antropologia illuminista: l’illuminismo si arricchirà ancora di una gnoseologia sensista con Helvétius, di una conseguente polemica anticreazionista e atea con Diderot e Meslier, ma è in Potenza già tutto contenuto ne L’Homme Machine, pubblicato nel 1747. La posterità lacerata di Cartesio si esprime, in de La Mettrie, nella concezione di un uomo che è pura res extensa, così come l’idealismo vedrà nel soggetto soltanto un brandello di res cogitans. La visione di un uomo – e di un mondo – puramente materiali e meccanici implica la rinuncia a ogni idea di ordine, di gerarchia, di valori e di norme superiori e spirituali: la sovversione dell’individuo come distruzione dei suoi legami interiori, potrà qui svilupparsi su un terreno particolarmente favorevole. Ed è d’Holbach, nel suo Système de la Nature, a osare concludere con la celebre frase, che scandalizzava lo stesso Voltaire: “L’ordre et le desordre n’existent point” (12).
L’ordine e il disordine non esistono, la macchina uomo funziona secondo una meccanica deterministica che non lascia spazio a giudizi di merito o di valore. Nell’opera maggiore di d’Holbach c’è una pagina interessante in cui il filosofo ateo, immaginando per un momento che Dio esista, così apostrofa il Creatore: “I miei traviamenti sono stati l’effetto del temperamento che tu mi hai dato, delle circostanze nelle quali tu mi hai posto senza interrogarmi, delle idee le quali, senz’alcuna mia cooperazione, sono penetrate nel mio spirito. Se tu sei, come si assicura, buono e giusto, non puoi allora punirmi per gli errori della mia immaginazione, per gli errori causati dalle mie passioni, conseguenze necessarie della struttura del corpo che tu mi hai dato … La tua bontà non potrebbe permettere che io incorra in una pena per i traviamenti inevitabili” (13).
In questo brano di d’Holbach c’è già un elemento di novità nell’ambito del razionalismo illuminista, che annuncia inequivocabilmente de Sade. Se l’uomo è una macchina, il suo funzionamento non conosce meriti o responsabilità, e i traviamenti, ciò che il credente chiama peccati e la legge delitti, sono “inevitabili”. Nel processo che dall’homo duplex conduce al materialismo puro inizia così a comparire l’ipotesi estrema, ma non eliminabile, dell’uomo come res extensa impazzita: è l’ipotesi di de Sade.
- La res extensa impazzita: de Sade
- De Sade e le rivoluzioni
Tra gli scritti di de Sade, uno in particolare, inserito nella Philosophie dans le boudoir, definisce con precisione la sua posizione verso la rivoluzione del 1789 e verso la Rivoluzione in genere. Si tratta del breve opuscolo Francesi! Ancora uno sforzo se volete essere repubblicani!, in cui si prevedono, con eccezionale lucidità, le tappe del processo rivoluzionario che dovranno fare seguito alla Rivoluzione francese. Lo schema attraverso cui de Sade articola questi momenti è quello della negazione di tutti i doveri che il pensiero tradizionale impone all’uomo: doveri verso Dio, doveri verso il prossimo, doveri verso sé stesso.
Non esistono doveri verso Dio, perché Dio non esiste: e comunque la Repubblica lo ha ucciso. Secondo l’espressione di uno dei più noti studiosi del pensiero sadiano, Klossowski, per de Sade il regicidio di Luigi XVI è il “simulacro della messa a morte di Dio“, che permette di sostituire “alla fraternità dell’uomo naturale quella solidarietà del parricidio adatta a cementare una comunità che non poteva essere fraterna perché cainica” (14). Per “consolidare la rivoluzione” occorrerà, dunque, consolidare il deicidio: de Sade propone, in particolare, la lotta sistematica contro la religione cattolica, e si abbandona alle più turpi bestemmie contro Cristo, la Vergine, i santi. “Sì, distruggiamo per sempre ogni idea di Dio – urla il più coerente corifeo dell’ateismo illuministico – e facciamo soldati dei suoi preti“: “condanniamo a essere beffeggiato, deriso, coperto di fango in tutte le piazze delle grandi città di Francia il primo di questi ciarlatani benedetti che verrà ancora a parlarci di dio o di religione”; “le bestemmie più insultanti, le opere più atee siano poi pienamente autorizzate, allo scopo di finire di estirpare dal cuore e dalla memoria degli uomini gli orribili trastulli della nostra infanzia” (15).
Altrettanto inesistenti dei doveri verso Dio sono, secondo de Sade, i doveri verso gli uomini, in nome dei quali si reprimono, da sempre, la calunnia, il furto, i “delitti causati dall’impurità“, l’assassinio: tutte azioni che “in un governo repubblicano” devono essere al contrario incoraggiate e permesse. La calunnia, anzitutto, non può essere un male “in un governo come il nostro in cui tutti gli uomini, più legati, più vicini, hanno evidentemente un più grande interesse a conoscersi bene“: in uno Stato repubblicano la calunnia è “un lume, uno stimolante, in tutti i casi qualcosa di molto utile”. Quanto al furto, il suo effetto “è di livellare le ricchezze“, effetto benefico e perfino necessario “in un governo il cui fine è l’uguaglianza“.
La proprietà privata è “una barbara ineguaglianza”, e la prova dell’ingiustizia della proprietà sta appunto nel furto, che dimostra come chi detiene i beni di solito non li custodisce con diligenza. “Punire i ladri” è, dunque, “orribile crudeltà“, e al legislatore repubblicano de Sade consiglia il contrario: “punite l’uomo tanto negligente da lasciarsi derubare, ma non pronunciate alcuna condanna contro colui che ruba” (16). Attraversa la paradossale apologia del furto, de Sade prevede l’abolizione della proprietà privata – storicamente realizzata dal comunismo – come momento rivoluzionario successivo alla Rivoluzione francese: mentre la difesa della calunnia annuncia sinistramente le società totalitarie moderne fondate sulla delazione e sulla menzogna. “Sade – scrivono Adorno e Horkheimer – ha pensato fino in fondo il socialismo di Stato, mentre Saint-Just e Robespierre erano incespicati ai primi passi” (17).
Ma de Sade non si limita a prevedere il comunismo: egli prospetta anche una rivoluzione ulteriore, il cui paradigma è la Rivoluzione sessuale. Tra i doveri verso gli uomini, de Sade attacca con particolare violenza il dovere di rispettare il pudore e la libertà sessuale altrui. Uno Stato repubblicano deve essere “immorale per necessità“: sarà pertanto opportuna l’organizzazione di “numerosi edifici sani, vasti, decorosamente ammobiliati e sicuri sotto tutti gli aspetti“, in cui “si obblighino le donne [e gli uomini] a prostituirsi“, in cui ognuno possa convocare qualunque altra persona, senza limiti di sesso, di età, di parentela, e obbligarla a sottomettersi a tutti i suoi capricci (18). Infatti, anche l’omosessualità, l’incesto, la bestialità e ogni tipo di perversione devono essere considerati leciti, seguendo l’argomentazione che già abbiamo incontrato nel brano citato di d’Holbach e che è fondata sul presupposto dell’uomo-macchina, dell’uomo come pura res extensa: “queste inezie, derivando da una conformazione naturale, non potrebbero mai rendere più colpevole colui che vi è incline di quanto non lo sia colui che la natura creò mostruoso” (19). L’effetto secondario di questa prostituzione generalizzata, e cioè i “bambini che non avranno padre“, sarà del resto altamente positivo per lo Stato rivoluzionario: “non crediate di fare dei buoni repubblicani – ammonisce De Sade – fino a quando isolerete nelle loro famiglie i bambini che devono appartenere unicamente alla repubblica “.
Proseguendo nella negazione dei doveri verso gli uomini, de Sade annuncia ancora tappe successive del processo rivoluzionario. In pagine che sono oggi di tragica attualità, il marchese illuminista inneggia all’aborto: “non è ingiusto impedire di nascere a un essere che sarà certamente inutile. La specie umana deve essere epurata sin dalla culla: un individuo che sarà inutile alla società dev’essere strappato del suo seno: ecco i soli mezzi ragionevoli per limitare una popolazione la cui sovrabbondanza è il più dannoso degli eccessi”. Più coerente di molti abortisti contemporanei, de Sade propone immediatamente, accanto all’aborto, l’infanticidio, e consiglia alla repubblica francese di imitare quegli Stati pagani dove “si esaminavano attentamente tutti i bambini che venivano al mondo, e se non li si trovava fisicamente adatti a difendere un giorno la repubblica venivano immediatamente immolati; non si giudicava infatti indispensabile conservare questa vile feccia della natura umana“. Infine, l’assassinio stesso deve essere incoraggiato: esso rappresenta la rottura più radicale dei legami dell’uomo con il suo prossimo, ed è dunque un momento decisivo della metafisica sadiana della Rivoluzione. L’assassino, “uomo molto coraggioso“, è “prezioso in un governo repubblicano“; del resto, l’omicidio rituale di Luigi XVI ha iniziato un processo irreversibile: la repubblica “è già nel delitto, e se volesse passare dal crimine alla virtù cadrebbe in un’inerzia il cui risultato sarebbe la sicura rovina” (20).
Francesi! Ancora uno sforzo se volete essere repubblicani! si conclude con la negazione, dopo i doveri verso Dio e verso gli altri, dei doveri verso sé stessi. Il momento conclusivo e vessillare della Rivoluzione in interiore homine prospettata da de Sade – quella che Corrêa de Oliveira chiama IV Rivoluzione – è l’apologia del suicidio. Il suicidio, rottura dell’ultimo legame che è possibile spezzare, quello che lega l’uomo alla propria esistenza, è l’epifania dello spirito rivoluzionario; contro “l’imbecillità di quella gente che giudica questa azione un delitto”, de Sade propone il ritorno a tempi in cui “ci si uccideva in pubblico e si faceva della propria morte uno spettacolo fastoso“, e conclude: “seguendo l’esempio di questi fieri repubblicani supereremo tosto le loro virtù: è il governo che fa l’uomo” (21).
- I fini: il culto della morte
Il carattere significativo dell’opera di de Sade non consiste soltanto nella indicazione profetica dei momenti del processo rivoluzionario successivi alla Rivoluzione francese: egli indica anche i fini dell’operazione rivoluzionaria considerata nel suo complesso. Il sistema di de Sade è stato letto da numerosi interpreti come un sistema sui generis di morale e perfino di religione. Così, se Adorno e Horkheimer vedono in de Sade il razionalista coerente fino alle conseguenze ultime, la vittima per eccellenza della dialettica dell’illuminismo, il padre del freud-strutturalismo, Lacan, considera la filosofia sadiana come un caso limite del kantismo, come un sistema formale che risponde a tutti i requisiti elencati nella Critica della ragion pratica di Kant. De Sade enuncia come regola fondamentale la formula: “Io ho il diritto di godere del tuo corpo, può dirmi chiunque, e lo eserciterò senza che alcun limite mi arresti”. Formula paradossale, ma che vale come regola universale, ed è dunque, a suo modo, un imperativo categorico, a cui un mondo kantiano non può rifiutare il diritto di cittadinanza (22).
Ancora, sembra a Lacan di scorgere un tratto comune tra Kant e de Sade nel termine ad quem dell’esperienza morale: un Dio gelido, il “Dio senza figura” a cui si volge il culto kantiano della legge-per-la-legge, e che ispira anche de Sade (23). Culto e ritualità non sono certamente assenti nell’opera di de Sade: ma il termine cultuale della sua filosofia sembra conoscere – dalla prima versione di Justine al postumo Dialogo di un prete e di un moribondo – una certa evoluzione, di cui si possono così sintetizzare le tappe principali: culto dell’Essere Supremo in Malvagità, culto della Natura, culto della Morte.
Il dio di Saint-Fond, il ministro dissoluto e perverso di Justine che è il tipo più perfetto dell’eroe sadiano, è l’Essere Supremo in Malvagità, “l’essere mostruoso, esecrabile che poté creare un mondo così bizzarro”, pieno di orrori e di perversioni: un dio che è “unicamente il male, e vuole ed esige soltanto il male“. “Tutto dev’essere cattivo, barbaro e inumano come il vostro dio – proclama l’eroe di de Sade – tali i vizi che deve adottare chi vuol piacergli, senza peraltro speranza alcuna di riuscirvi, giacché il male che sempre nuoce, il male che è l’essenza di dio non potrebbe essere capace d’amore né di riconoscenza” (24). Religione dell’assurdo, ma che ha il merito di smascherare un altro mito dell’illuminismo: l’Essere Supremo dei deisti, privo com’è di determinazioni, può anche assumere la determinazione della malvagità; la religione sadiana dell’Essere Supremo in Malvagità è una ipotesi liminale, ma non eliminabile, del deismo illuminista.
In una seconda fase del suo itinerario filosofico de Sade sostituisce il culto della Natura al momento “teologico” del culto dell’Essere Supremo in Malvagità. Ma la natura di de Sade, come il suo dio, è profondamente malvagia, non crea gli uomini che per tormentarli e per farne strumento dei crimini e delle atrocità di cui si compiace.
Secondo la bizzarra filosofia che de Sade, ne La Nouvelle Justine, mette in bocca a Papa Pio VI (questo Pontefice sfortunato, che ha subito anche l’oltraggio di diventare un fantastico personaggio del romanzo sadiano), la natura prova la sua malvagità “attraverso i flagelli con i quali ci perseguita e ci schiaccia senza posa, attraverso le divisioni, le zizzanie che semina fra noi” e “con l’inclinazione all’omicidio instillataci ad ogni istante“, cosicché il criminale è “il miglior servitore della natura” e “non si commetteranno mai abbastanza crimini sulla terra rispetto all’ardente sete che la natura ne prova” (25).
Infine, il termine ultimo della metafisica della Rivoluzione – che è odio dell’Essere e adorazione filosofica del divenire – è il culto della morte. “L’eroe sadico – scrive il caposcuola della “filosofia del desiderio” post-strutturalista, Deleuze – appare come colui che si pone, quale compito da pensare, l’istinto di morte” (26). Il libertino Saint-Fond non gusta i suoi banchetti se non vi si commettono “almeno tre omicidi”; l’omicidio e il suicidio, come si è accennato, sono per de Sade il momento finale del processo rivoluzionario. Mentre tutta una tradizione vitalistica presenta mistificatoriamente l’eccesso sessuale come esuberanza della vita, de Sade collega lucidamente sregolatezza sessuale, omicidio e morte. In de Sade, come nell’Al di là del principio del piacere di Freud, “la combinazione con Eros si pone come condizione per la presentazione di Thanatos” (27). Solo il settario sadiano, l’ascritto alla “società degli amici del delitto” di Saint-Fond, che ha conosciuto tutte le perversioni dell’Eros, può adorare Thanatos allo stato puro.
- I mezzi: dalla pornologia all’apatia
Se i fini dell’operazione rivoluzionaria di de Sade sono quelli sopra descritti, tutta la vasta produzione letteraria del “divino marchese” può essere letta come “libro di devozioni” a uso dei fedeli del culto della morte. Potrebbe sembrare, in prima approssimazione, che l’ascesi alla morte si compendi in un atto unico, che il suicidio apra e immediatamente esaurisca il rito di morte per ciascuno degli iniziati. Ma non è così: se la Rivoluzione è distruzione di tutti i legami, essa non si accontenterà di distruggere – con il suicidio – il legame dell’uomo con la sua esistenza, ma cercherà di intaccare il legame più profondo che lega ogni uomo alla sua essenza. Questo legame è indistruttibile, perché l’anima è immortale: ma se l’anima non può essere “uccisa”, essa può essere privata della sua vita eminente, che è la grazia di Dio. I rivoluzionari più coerenti, i devoti della morte, si sforzeranno allora di uccidere non solo il corpo, ma l’anima stessa, in una ossessionante e monotona sequela di peccati. L’ascetica sadiana non è soltanto una pornografia, un insieme di poche parole d’ordine e di descrizioni oscene, ma è, come scrive Deleuze, un’autentica pornologia, una scienza della violenza sessuale e insieme una utopia del male, caratterizzata da “uno stupefacente sviluppo della facoltà dimostrativa” (28). Essa mostra la coincidentia oppositorum della filosofia rivoluzionaria: il razionalismo assoluto del più conseguente degli illuministi (de Sade interpretato dalla scuola di Francoforte o dagli strutturalisti) coincide con l’irrazionalismo assoluto della contro-teologia sadiana descritta da Klossowski.
La morte del corpo non essendo che un momento-limite, e la morte dell’anima un traguardo impossibile, al fedele di de Sade non resta che ripetere all’infinito, nella tragica monotonia che caratterizza i suoi romanzi, gli stessi atti: stupri, violenze, perversioni. Nello schema di de Sade, afferma Lacan, il “punto di aphanisis” è indefinito; da qui “la poco credibile sopravvivenza di cui Sade dota le vittime delle sevizie e tribolazioni che infligge loro nella sua favola“: “il momento della loro morte non sembra determinato che dal bisogno di rimpiazzarle all’interno di una combinatoria che sola esige la loro molteplicità” (29). Lo scopo che la contro-ascetica di de Sade si propone di conseguire non è il delirio orgiastico del vitalismo, ma l’apatia. È questa l’essenza del culto sadiano della morte, durante la vita terrena, è la noia da peccato, l’apatia che deriva della monotona ripetizione del male. Barthes ha visto in de Sade un sant’Ignazio rovesciato: e in effetti il complesso della sua opera sembra costituire un vasto e organico corso di contro-esercizi spirituali (30).
Come il ritmo, nell’ascetica ignaziana, è figura dell’eternità, così la nausea da male ripetuto è figura, in de Sade, della morte eterna. La morte eterna è l’inferno: e l’inferno ha sempre ossessionato de Sade, un ateo il cui pensiero, secondo l’audace interpretazione di Klossowski, si spiega soltanto attraverso il rapporto con la teologia. Saint-Fond, l’eroe sadiano per eccellenza, spiega la sua condotta depravata come una marcia verso l’inferno, e tutta la sua ascetica di delitti è una ascesa verso il luogo dove le “particole del male” potranno infine riunirsi, in una “seconda morte” (31). Il boudoir di de Sade, “luogo filosofico” “sul tipo di quei luoghi da cui le scuole della filosofia antica presero il loro nome: Accademia, Liceo, Stoa” (32), si presenta così, da ultimo, come anticamera terrena dell’inferno.
III. L’eredità di de Sade
“Quando l’ateismo vorrà dei martiri – ha scritto de Sade – non ha che da dirlo: il mio sangue è qui pronto” (33). Ma se l’ateismo, se la Rivoluzione ha i suoi martiri, essa ha pure i suoi monaci, uomini soli di fronte non a Dio ma al Nulla, votati per la vita a una causa perversa.
La teologia infernale di de Sade è una regola per i monaci del male: e la regola, che si limita a offrire un’ascetica, apre la strada e fissa il quadro per le successive esperienze della mistica. L’ascetica della sovversione sadiana si presenta così a essere completata e raffinata da una mistica rivoluzionaria.
In questa prospettiva, il primo “erede” di de Sade è il romanziere galiziano il cui nome è sovente associato con quello del marchese illuminista: Leopold von Sacher-Màsoch. Al di là della complementarità delle perversioni designate come “sadismo” e “masochismo” dallo psichiatra Kraft-Ebing con una terminologia ormai entrata nell’uso comune, il mondo di von Sacher-Màsoch rappresenta una tappa ulteriore rispetto al mondo di de Sade.
De Sade parte dal 1789, von Sacher-Màsoch dal 1848; de Sade va letto “con Kant”, von Sacher-Màsoch può essere confrontato con Hegel e con Marx (34). De Sade, scrive Deleuze, “rappresenta il modo speculativo e analitico di cogliere l’istinto di morte in quanto non può mai essere dato“, von Sacher-Màsoch “rappresenta un modo affatto diverso, che è mitico, dialettico e immaginario” (35). In de Sade la ragione analitica costruisce l’ascetica della religione della morte, in von Sacher-Màsoch la ragione dialettica comincia ad abbozzare una mistica della morte come teologia negativa. Il suicidio, momento terminale della Rivoluzione per de Sade, sfuma in von Sacher-Màsoch nel desiderio di essere torturato, oppresso, lentamente annientato. L’annientamento è figura della morte: e il tipo perfetto dell’annientamento è la sottomissione dello schiavo a un padrone totalitario. Il masochismo parte sempre da un contratto: von Sacher-Màsoch ci presenta un “totalitarismo a due”, che appare come una paradossale riduzione del contratto sociale di tipo hobbesiano, e firma con le sue amanti contratti in cui si concede loro come “schiavo“, le autorizza “all’esercizio della più grande crudeltà “, e le invita a fargli soffrire “tutti i tormenti immaginabili” (36).
Al di là dell’annientamento descritto da von Sacher-Màsoch, la mistica della morte, per manifestarsi apertamente e in positivo, ha bisogno di una fantasia particolare, forse malata, come quella di Lautréamont. I chants de Maldoror sono il culmine della fase mistica del culto della morte: festa cimiteriale e carnasciale della decomposizione, essi inneggiano alla dissoluzione in una continua, fantastica danza macabra degna di essere raffigurata dal pennello di un Hyeronimus Bosch (37).
Il sedicente conte di Lautréamont muore nel 1870: con lui siamo già sulla strada che porta a quella autentica scuola di mistica rivoluzionaria che sarà il surrealismo. Quest’ultimo, come ha notato Del Noce, non è solo un fenomeno artistico, ma “un atteggiamento totale di vita, diretto a rappresentare la pienezza dell’idea rivoluzionaria nel suo aspetto primo” (38). Il surrealismo, “sub-realismo” secondo l’espressione di Sedlmayr, evocazione della distruzione e del caos e “offensiva in grande stile contro la civiltà cristiana” (così il titolo di un pamphlet del surrealista H. Pastoureau), si pone anch’esso sulla scia della filosofia sadiana: “il marchese de Sade – scrive Nadeau dei surrealisti – è la figura principale del loro Pantheon” (39).
Con il surrealismo, tuttavia, emerge anche la possibilità di un superamento rivoluzionario di de Sade. Il sistema sadiano viene oggi letto sempre più spesso – per esempio dagli strutturalisti e dai “nuovi filosofi” Lardeau e Jambet (40) – come un sistema ancora “ordinato”, che, parlando del sesso, lo incasella e lo controlla in uno schema razionalistico, rischiando, in ultima analisi, di favorire la repressione; mentre una rivoluzione sessuale “pura” dovrebbe essere apologia del disordine e negazione di qualunque schema. D’altra parte, la “pornologia” di de Sade appare ancora “prescientifica”: lo stesso surrealismo, partito da de Sade, arriva, dopo un breve processo, alle idee di Reich (41).
Con de Sade la rivoluzione sessuale viene enunciata come programma: ma rimane ancora utopia. Sarà Reich, utilizzando Freud e Marx, a far passare la rivoluzione sessuale “dall’utopia alla scienza”; infine, dopo la seconda guerra mondiale e soprattutto dopo il 1968, una folla di Lenin del pansessualismo – strutturalisti, filosofi del desiderio, neopsichiatri – si sforzeranno di tradurre questa scienza in prassi rivoluzionaria. De Sade, tuttavia, ha lasciato nella storia della rivoluzione sessuale il segno indelebile della sua paternità: un segno che si impone a tutti coloro che, come il predicatore del suo ultimo Dialogo, vengono “corrotti dalla natura, per non aver saputo spiegare quel che fosse la natura corrotta” (42).
Massimo Introvigne
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Note:
(1) Questo itinerario, che rende ragione delle motivazioni profonde del processo rivoluzionario, si riscontra anche all’interno del pensiero di alcuni dei maestri della Rivoluzione: Künzli e Hornung, per esempio, hanno sottolineato il rapporto fra i motivi della “vendetta contro Dio” e dell’”annientamento delle cose create” negli scritti giovanili di Marx (cfr. K. HORNUNG, Un errore affascinante: il marxismo, tr. it., Volpe, Roma 1979). Nella sua tragedia giovanile Oulamen Marx esprime con particolare vigore la sua rivolta contro il “duro essere” e l’aspirazione al non-essere e al nulla (cfr. F. HEER, Europa madre delle Rivoluzioni, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1968, vol. I, p. 407).
(2) Questo schema delle rivoluzioni come distruzione progressiva dei legami, insieme con le osservazioni che seguono sui momenti della IV Rivoluzione, è desunto da G. CANTONI, Sulla droga, contro la droga (conferenza inedita). Cfr. pure P. CORREA DE OLIVEIRA. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. 3ª ed. it.
(3) Si comprende, da questo punto di vista, l’importanza che la IV Rivoluzione, l’estensione della sovversione dal corpo sociale al corpo umano, riveste nel progetto rivoluzionario: non si tratta di una semplice appendice alle “grandi” rivoluzioni nella società, quasi che la Rivoluzione, dopo avere distrutto le realtà più importanti dell’ordine sociale, si attardasse a sgomberare il campo dai minuscoli elementi di ordine superstiti; al contrario, il fine della Rivoluzione è la IV Rivoluzione: l’opera di distruzione dell’ordine sociale, pure gigantesca e secolare, è solo distruzione dei bastioni e degli antemurali che proteggevano l’obiettivo finale dell’attacco, l’uomo, l’opera più perfetta
(4) M. DE CORTE, Incarnazione dell’uomo, tr. it., Morcelliana, Brescia 1949, pp. 18-21.
(5) Sulla vivibilità del solipsismo gentiliano come attivismo cfr. A. DEL NOCE, Riforma cattolica e filosofia moderna, I: Cartesio, Il Mulino, Bologna 1965, pp. 199-200.
(6) A. BEGUIN, L’anima romantica e il sogno, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1967, p. 537.
(7) Cfr. G. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, tr. it., Il Mulino, Bologna 1974. Sulla falsa concezione dell’amore basata sul primato del sentimento cfr. le osservazioni di J. PIEPER, Sull’amore, tr. it., Morcelliana, Brescia 1974; K. WOJTYLA, Amore e responsabilità 2ª ed. it. Marietti, Torino 1978.
(8) M. DE CORTE, Incarnazione dell’uomo, cit., p. 19.
(9) E interessante notare come l’ipotesi lockiana della “materia pensante” venga citata e confutata in uno scritto di sant’Alfonso M. DE’ LIGUORI, Breve dissertazione contro gli errori de’ moderni increduli, oggidì nominati Materialisti e Deisti, ed. Marietti, Torino 1825, pp. 52 ss.
(10) C. FABRO Introduzione all’ateismo moderno, Studium, Roma 1969, vol. I, pp. 392-93. Cfr. A. VARTANIAN, Diderot and Descartes, Princeton University Press, Princeton 1953 (tr. it. Diderot e Descartes, Feltrinelli, Milano 1956).
(11) J. OFFRAY DE LA METTRIE, L’Homme Machine, a cura di M. Solovine, Bossard, Parigi 1921, p. 133.
(12) Su questa espressione di d’Holbach e sulle critiche di Voltaire cfr. C. FABRO Introduzione all’ateismo moderno, cit., vol. I , p. 505.
(13) Questo brano è riportato per esteso e commentato in C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno, cit., vol. I , pp. 461-463.
(14) P. KLOSSOWSKI, Sade prossimo mio, tr. it., Sugar, Milano 1970, pp. 71-73.
(15) D.A.F. DE SADE, Francesi! Ancora uno sforzo se volete essere repubblicani! (in La filosofia nel “boudoir”), ne Le Opere, scelte e presentate da E. Zolla, Longanesi, Milano 1964, pp. 290-94.
(16) Ibid., pp. 301-304.
(17) T. W. ADORNO – M. HORKHEIMER, Dialettica dell’illuminismo, 3ª ed. it., Einaudi, Torino 1976, p. 146. Sul totalitarismo di de Sade, cfr., in una prospettiva diversa, L. LOMBARDI VALLAURI, Il soggetto assoluto e i suoi diritti nell’universo sadista (in corso di pubblicazione sulla Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto).
(18) D.A.F. DE SADE, Francesi! Ancora uno sforzo se volete essere repubblicani!, cit. pp. 306-13. “Un uomo che vorrà godere di qualsiasi donna o fanciulla – scrive de Sade –, potrà dunque intimarle di trovarsi in una di quelle case di cui vi ho parlato e lì, sotto la salvaguardia delle matrone di questo tempio di Venere, essa gli verrà offerta per soddisfare con umiltà e sottomissione tutti i capricci che gli piacerà prendersi con lei per quanto bizzarri e irregolari possano essere, perché non ve ne è alcuno che non sia nella natura, alcuno che non sia riconosciuto da essa“. Né vi dovranno essere limiti di età, perché “chi ha il diritto di mangiare il frutto di una pianta può sicuramente raccoglierlo maturo o verde, seguendo le inclinazioni del proprio gusto“. Per converso, anche le donne godranno degli stessi “diritti”: “ci saranno case destinate al libertinaggio femminile, come quelle degli uomini, sotto la protezione del governo: lì saranno forniti loro tutti gli individui d’ambo i sessi che esse potranno desiderare, e più frequenteranno queste case, più saranno stimate“.
(19) L’uomo, pura materialità, non è responsabile dei suoi atti: è la natura sola, per il filosofo illuminista, a determinare il funzionamento della macchina umana. “E’ mai possibile – scrive de Sade – immaginare che la natura ci dia la possibilità di commettere un delitto che la oltraggi? Potrebbe essa imporre agli uomini di annientare i loro piaceri, permettendo che diventino più forti di lei? E inaudito in quale abisso di assurdità si getta chi abbandona, per ragionare, il soccorso dei lumi della ragione” (D.A.F. DE SADE, Francesi! Ancora uno sforzo se volete essere repubblicani!, cit., p. 317).
(20) Ibid., pp. 326-30. Sui rapporti fra il pensiero di de Sade e le teorie degli “abortisti” odierni cfr. L. LOMBARDI VALLAURI, Abortismo libertario e sadismo, Scotti Camuzzi, Milano 1976.
(21) Ibid., p. 331.
(22) J. LACAN, Kant avec Sade, in Ecrits II, Seuil, Paris 1971, pp. 119-48. Questo paradosso del kantismo è fin troppo noto agli studiosi di filosofia anglo-americana contemporanea, perché corrisponde alla celebre obiezione di Sidgwick a Kant secondo cui, tra le scelte di vita di un santo e di un delinquente, alla luce della morale kantiana non ci sono differenze essenziali: anche la scelta del delinquente può essere il risultato della volontà autonoma di un sé noumenico (cfr. H. SIDGWICK The Methods of Ethics, 7ª ed., Macmillan, London 1907, p. 516).
(23) J. LACAN, Kant avec Sade, cit., p. 128.
(24) D.A.F. DE SADE, La Nouvelle Justine, t. VI. Il brano è riportato integralmente e commentato in P. KLOSSOWSKI, Sade prossimo mio, cit., pp. 104-106.
(25) D.A.F. DE SADE, La Nouvelle Justine, t. VII, cit. e commentato in P. KLOSSOWSKI, Sade prossimo mio, cit., pp. 117-23). Ancora una volta, è una delle maschere del pensiero moderno a cadere: la “natura” della filosofia post-cartesiana è costruita antropomorficamente sul modello della natura umana; ma non si tratta della natura metafisica dell’uomo, dell’essenza umana. Al contrario, come ha notato Rommen, è la natura empirica dell’uomo, “trovata mediante astrazione“, la natura degli uomini concreti con le sue caratteristiche e i suoi impulsi, post peccatum non sempre positivi (cfr. H. ROMMEN, L’eterno ritorno del diritto naturale, tr. it., Studium, Roma 1965, p. 61). Si comprende quindi come, da Hobbes in poi, la natura possa apparire carica di aggressività, di tensioni, di violenze: possa sembrare, infine, crudele e malvagia. Più ancora che in Schopenhauer, la natura atroce del “sistema di Papa Pio VI” di de Sade è descritta, come “brutto poter”, nelle pagine più cupe di quell’inquieto lettore degli illuministi che fu Giacomo Leopardi.
(26) G. DELEUZE, Presentazione di Sacher-Màsoch, 2ª ed. it., Bompiani, Milano 1978, p. 19.
(27) Ibid., p. 69. Sul tema letterario-filosofico del rapporto tra amore e morte resta un punto di riferimento essenziale M. PRAZ, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, 2ª ed., Sansoni, Firenze 1948.
(28) Ibid., p. 6.
(29) J. LACAN, Kant avec Sade, cit., p. 131.
(30) Cfr. R. BARTHES, Sade, Fourier, Loyola, in Tel Quel, 1971, pp. 15 ss.
(31) D.A.F. DE SADE, Histoire de Juliette, Pauvert, Parigi, vol. II, p. 196.
(32) J. LACAN, Kant avec Sade, cit., p. 119.
(33) Sul concetto di “monaci della Rivoluzione” cfr. G. CANTONI, Guyana, il suicidio della Rivoluzione (conferenza inedita). Già Léon Bloy aveva parlato di un “monastero del Demonio”: “una specie di chiostro ignoto […] la cui chiave, nell’Ultimo giorno, sarà buttata nell’abisso dal Diavolo” (L. BLOY, Esegesi dei luoghi comuni, 2ª ed. it. Paoline, Milano 1978, p. 142).
(34) Anche la vicenda biografica dei due è del tutto diversa. Il marchese de Sade (1740-1814) passò la sua vita tra galere e manicomi: incarcerato ripetutamente sotto l’Ancien Régime, fu ugualmente condannato e perseguitato nel periodo rivoluzionario. La sua sorte (e la sua funzione) di uomo “in anticipo” rispetto al processo della Rivoluzione ricorda, per certi versi, quella di Babeuf. Sulla vita di de Sade cfr. soprattutto G. LELY, Vie du Marquis de Sade, Pauvert, Parigi 1965. Al contrario, von Sacher-Màsoch (1835-1895) – vissuto in un periodo di pieno trionfo dello spirito laico e libertino – fu, almeno per un certo periodo della sua vita, un personaggio celebrato e popolare nel mondo della cultura “progressista” europea: “fece un viaggio trionfale a Parigi, nel 1886; venne decorato, festeggiato da “Le Figaro” e dalla “Revue des Deux Mondes”” (G. DELEUZE, Presentazione di Sacher-Màsoch, cit., p. VI).
(35) Ibid., p. 25.
(36) Per contro, l’amante si impegna, secondo il modello del più celebre romanzo di von Sacher-Màsoch, Venere in pelliccia, a “portare pellicce il più spesso possibile, soprattutto quando sarà crudele”. Due contratti di von Sacher-Màsoch, con Fanny von Pistor e con la moglie Wanda, sono riportati in G. DELEUZE, Presentazione di Sacher-Màsoch, cit., pp. 147-49. È interessante questa osservazione di Deleuze: “Troviamo nel Medioevo la distinzione fra due tipi di demonismo, o due perversioni fondamentali: l’una per possessione, l’altra per patto di alleanza. È il sadico che pensa in termini di possessione istituita, mentre il masochista in termini di alleanza pattuita” (ibid., p. 9).
(37) Cfr. I. DUCASSE (“Lautréamont”), Oeuvres Complètes, a cura di M. Saillet, Le Livre de Poche, Parigi 1963.
(38) A. Del Noce, L’erotismo alla conquista della società, in AA.VV., Via libera alla pornografia?, Vanecchi, Firenze 1970, p. 27.
(39) Cit. in H. SEDLMAYR, La morte della luce, tr. it., Rusconi, Milano 1970, p. 62. Questi brevi accenni non pretendono, ovviamente, di esaurire il complesso problema dell’eredità sadiana nel surrealismo e del significato rivoluzionario di quest’ultimo. Sul tema, oltre gli scritti già citati di Sedlmayr e Del Noce, cfr. in particolare A. DEL Noce, Interpretazione filosofica del surrealismo, in Rivista di Estetica, 1965, pp. 45 ss.; AA.VV., Surrealismo e Simbolismo, a cura di E. Castelli, in Archivio di filosofia, n. 3, 1965 (sopr. gli scritti di F. Alquié, E. Zolla, J. Brun); C. COLRUYT, Le surréalisme: son comment et son pourquoi, in Permanences, n. 90, maggio 1972, pp. 41-56; A. RONGIERAS, Le surréalisme, in Permanences, n. 91, giugno-luglio 1972, pp. 57-72
(40) Cfr. G. LARDREAU – C. JAMBET, L’Ange, Grasset, Paris 1976, pp. 184-212. Sui “nouveaux philosophes” e sul parallelo tra de Sade e Locke proposto da Lardreau e Jambet cfr. il mio “nouveaux philosophes”, in Cristianità, anno VI, n. 42, ottobre 1978, pp. 9-12. Sullo strutturalismo in generale cfr. il mio Strutturalismo e Rivoluzione, in Cristianità, anno V, n. 23, marzo 1977, pp. 4-7.
(41) Così A. DEL NOCE, L’erotismo alla conquista della società, cit., p. 32.
(42) D.A.F. DE SADE, Dialogo di un prete e di un moribondo, in Le Opere, cit., p. 87.