di Piermarco Ferraresi
1. Economia e ambiente: un inquadramento generale
Si definisce «economia dell’ambiente» lo studio sulla regolazione delle attività inquinanti e la valutazione delle bellezze ambientali; si tratta dunque di un concetto logicamente distinto da quello di «economia delle risorse naturali», che è invece lo studio dell’allocazione e dello sfruttamento delle risorse rinnovabili e non rinnovabili. Ma le due discipline devono affrontare problemi comuni e si integrano per fornire un quadro completo del rapporto fra l’attività economica e l’ambiente. Il termine «ambiente» indica in questo contesto l’insieme delle componenti fisiche e biologiche che circondano l’uomo e che non sono state progettate e costruite da quest’ultimo. Il termine «inquinamento» sta invece a indicare l’alterazione di questo ambiente, cagionata dall’uomo attraverso l’immissione nell’aria, nell’acqua o nel suolo di elementi dannosi di varia natura, come liquidi, solidi, gas, radiazioni, vibrazioni, calore, e così via.
Fin dall’antichità il diritto si è occupato dei comportamenti dell’uomo che avevano effetti sull’aria, sull’acqua e sul suolo, con norme volte a tutelare la proprietà o a impedire i danni alle persone; tuttavia l’attenzione degli economisti per il problema ambientale è relativamente recente. L’origine può essere fatta risalire alla questione delle risorse messa in luce dall’economista inglese Thomas Robert Malthus (1766-1834) che, con il Saggio sul principio della popolazione, del 1798, smentito poi nelle sue stesse ipotesi dallo sviluppo della società industriale, ebbe comunque il merito di considerare la possibilità di vincoli ambientali alla crescita economica. Ma la moderna economia dell’ambiente, così come definita all’inizio, si può dire cominci solo con un altro economista inglese, Arthur Cecil Pigou (1877-1959). Dopo la sua Economia del benessere, del 1920, che considerava, accanto a quelli privati, anche i costi e benefici sociali, si è sviluppata una molteplicità di strumenti analitici, fino a costituire un insieme che può essere considerato abbastanza completo e organico; benché, ovviamente, vi siano da risolvere ancora questioni di notevole portata, sia dal punto di vista teorico, sia da quello applicativo.
Tradizionalmente lo studio dell’economia dell’ambiente si è indirizzato a due temi principali: da una parte si sono approntati strumenti per valutare in termini di benessere il rapporto fra l’uomo e l’ambiente, dall’altro si sono sviluppati metodi per studiare il problema delle esternalità ambientali, cioè di quelle situazioni nelle quali il sistema produttivo è origine di effetti ambientali che non si riflettono in costi e ricavi per le imprese, e di cui queste ultime, dunque, tendono a non tener conto.
Risolto il problema di valutazione diviene in teoria possibile far rientrare i danni ambientali nei costi delle imprese, in modo che le decisioni di produzione tendano a limitare i prodotti o le tecnologie particolarmente inquinanti; questo, chiaramente, comporta una nuova serie di difficoltà: per esempio, nel caso si decida d’imporre una tassa sulle emissioni inquinanti nell’atmosfera, quale dovrà essere l’ammontare della tassa per ottenere uno specifico effetto in termini di tecnologia/produzione? E quale sarà l’effetto della tassa sul prezzo dei prodotti?
In questo quadro rientrano la trattazione e le proposte di soluzione dei problemi ambientali percepiti oggi come più urgenti; si tratta dell’inquinamento atmosferico, con particolare riferimento all’inquinamento urbano, alle deposizioni acide – piogge o deposizioni secche – e ai mutamenti climatici – effetto serra -; dell’inquinamento delle acque, che raggiunge livelli critici particolarmente in Europa, meno in altre aree, e della deforestazione, che può avere effetti sul clima e sulla sopravvivenza di determinate specie animali e vegetali.
Tali problemi varcano i confini dei singoli Stati, nel senso che un comportamento corretto da parte di una nazione non la preserva dagli effetti negativi di eventuali comportamenti scorretti delle altre: per esempio, è possibile che le deposizioni acide avvengano a notevole distanza dalla fonte inquinante; l’economia dell’ambiente si trova dunque davanti a questioni di tipo strategico: come fare a ottenere un comportamento ambientalmente corretto da parte di una comunità di Stati senza un’autorità centrale?
2. Nel regno dell’incertezza
Per quanto avvincente possa essere lo studio e il tentativo di soluzione dei problemi appena delineati, il punto fondamentale da tener presente è la grande incertezza che li circonda; molto spesso tale dimensione viene dimenticata, con l’effetto di prendere per reale quanto è solo il risultato di eleganti modelli teorici, fondati su ipotesi di cui non è facile controllare il grado di arbitrarietà, che forniscono risultati con molte cifre decimali, ma a volte inattendibili nel loro ordine di grandezza.
L’incertezza pervade ogni dimensione dell’economia ambientale ed è utile, a questo punto, considerarne tre aspetti di particolare rilievo: l’incertezza nella misurazione fisica e nella quantificazione economica dei fenomeni, l’incertezza sulla responsabilità dell’uomo nel determinarli e l’incertezza sulle misure da prendere per arginare i danni ambientali.
A titolo di esempio si considerino due dei principali problemi ambientali sopra accennati: il riscaldamento del globo dovuto all’effetto serra e l’inquinamento atmosferico urbano; per quanto riguarda il riscaldamento globale, non si è in grado di affermare se sia esistito nel passato, se ci sarà nel futuro, né quali siano i suoi effetti; gli allarmi frequentemente sollevati sono causati dall’impiego di modelli climatici sovrasemplificati, che tendono a stimare relazioni quasi lineari fra la concentrazione di anidride carbonica e l’aumento della temperatura, nonostante le verifiche empiriche mostrino segni contraddittori, evidenziando, per esempio, una riduzione delle temperature ai poli e una relativa espansione delle calotte.
Se il riscaldamento globale è incerto nella sua stessa esistenza, non accade così per l’inquinamento atmosferico urbano, che certamente esiste, è di origine umana ed è dannoso per l’uomo, per l’ambiente naturale e per i manufatti; l’incertezza qui interviene nel momento in cui sia necessaria una misurazione precisa per determinare un rapporto causa-effetto fra le emissioni inquinanti e i danni ambientali e per attribuire a tali danni un valore economico.
I metodi utilizzati per la valutazione economica del danno ambientale sono molteplici: si va da un tentativo di misurazione diretta – per esempio il costo dei giorni di ospedalizzazione per le malattie causate da un aumento nella concentrazione degli inquinanti -, alla stima della parte del valore economico degli immobili determinata dalla qualità ambientale del sito, al calcolo, mediante sondaggi, della disponibilità a pagare di una certa collettività per evitare un danno ambientale.
Le difficoltà che sorgono dal punto di vista teorico in questa fase sono ancora precedenti rispetto all’ampia problematica relativa alla sostituzione di una prospettiva ambientale antropocentrica con una più generica prospettiva «biocentrica», sulla quale si fonda spesso il dibattito ambientalista odierno.
Ma è comunque possibile quantificare in qualche modo il valore della salute o della vita umana? Se sì, si può porre il risultato sullo stesso piano di altri dati numerici? E, in questo caso, come aggregarlo agli altri numeri? È difficile che problemi come questi abbiano una pronta soluzione di tipo «tecnico», la strada migliore per l’economista è forse quella di essere il più esplicito e chiaro possibile sulle ipotesi poste alla base delle sue analisi, lasciando così a chi deve compiere scelte di valore la possibilità di farlo a ragion veduta.
Per quanto riguarda le misure di politica economica finalizzate alla tutela ambientale, esse risentono chiaramente dell’incertezza delle fasi di valutazione; nei casi di evidente e immediato pericolo, sono indubbiamente utili limitazioni dirette alle attività inquinanti; ove però il pericolo non sia così immediato sono forse più opportune misure di mercato, come le tasse sulle emissioni, che, se adeguatamente calibrate, sono più efficienti, in quanto penalizzano le imprese più dannose e incentivano l’adozione di tecnologie pulite; esistono anche soluzioni miste, come per esempio mettere in vendita un numero limitato di permessi per l’emissione di quantità stabilite di sostanze inquinanti: le imprese con tecnologie difficilmente modificabili acquisteranno i permessi, le altre ridurranno le loro emissioni; si potrà così prevenire l’aumento degli inquinanti – o addirittura ridurli -, imponendo tecnologie pulite là dove costano meno; è ovvio che anche in questo caso esistono difficoltà: i permessi potrebbero per esempio essere utilizzati come barriere all’entrata su certi mercati.
Ma la difficoltà forse più rilevante per la politica ambientale riguarda proprio quelle tematiche dove l’incertezza non consente in alcun modo misurazioni efficaci; in tali casi si va affermando un atteggiamento di «non rimpianto», che consiste essenzialmente nel mettere in atto spese preventive di tutela, viste come un premio assicurativo a fronte del rischio che, aspettando una riduzione dell’incertezza attraverso i progressi della ricerca, si arrivi troppo tardi, quando la situazione potrebbe essere irreversibile; con queste motivazioni vengono giustificate le politiche di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, per scongiurare i pericoli del riscaldamento globale. Il problema, in questi casi, è l’entità del premio d’assicurazione: poiché i programmi di riduzione delle emissioni hanno un costo molto elevato, vi è da chiedersi se valga la pena di sostenerlo di fronte a una tale incertezza sul realizzarsi del rischio, soprattutto tenendo conto che questo significa distrarre risorse da altri impieghi.
È anche evidente, data la portata globale di questi problemi, come sia difficile raggiungere la stabilità di un accordo: senza la presenza di un’autorità centrale è sempre forte l’incentivo a non rispettare i patti, beneficiando senza costi degli impegni altrui; la teoria recente a questo proposito sta esaminando la possibilità di legare la tutela ambientale ad accordi di tipo commerciale-tecnologico, la partecipazione ai quali potrebbe essere condizionata a comportamenti ambientali corretti, ma, proprio in campo internazionale, resta il problema di fondo: occorre una condivisione sulle priorità, che consenta di stabilire che cosa sia un «comportamento ambientale corretto».
3. Manca la formula magica
L’economia dell’ambiente è uno strumento di analisi e di aiuto alla decisione, ma non ha formule magiche, essa aiuta a costruire l’ambiente che l’uomo vuole per sé: se l’uomo considera il suo ambiente come la propria «casa», i doveri verso l’ambiente saranno strumentali alla realizzazione dei doveri assoluti che l’uomo ha verso sé stesso, verso il prossimo e verso i propri discendenti, e l’economia dell’ambiente aiuterà nella costruzione di una «casa accogliente» per l’uomo di oggi e per le generazioni future; al contrario, se l’ambiente è una risorsa da sfruttare per un vantaggio immediato, l’economista non si preoccuperà se crea un ambiente intollerabile per il domani; se, in nome di una qualche ideologia ecologista, i doveri verso l’ambiente divengono assoluti, la natura diviene intoccabile, e l’uomo è visto come dannoso, l’economista aiuterà a eliminare l’elemento umano di disturbo, ponendo un freno al sistema produttivo e rinunciando alla costruzione della «casa per l’uomo».
Contro ogni pregiudizio di sapore tecnocratico, bisogna dunque affermare che l’economia dell’ambiente fornisce una serie di criteri utili, anche se non sempre risolutivi, per prendere le decisioni più coerenti con le scelte di valore compiute, e che raramente a tali scelte ci si può sottrarre in nome di una qualche soluzione tecnica che sia comunque migliore delle altre.
Per approfondire: vedi una presentazione degli aspetti sia giuridici che economici alla voce Ambiente, in Enciclopedia del diritto e dell’economia, Garzanti, Milano 1985; un inquadramento generale, con approfondimenti tecnici, in Domenico Siniscalco (a cura di), Lezioni di Economia dell’Ambiente, pubblicazione non commerciale della Fondazione Eni Enrico Mattei, Milano 1995; per i problemi di valutazione, Maurizio Agostini, Per una metodologia unitaria nell’analisi dei costi sociali, in Energia, n. 3, 1993, pp. 16-27.