Qualche mese fa una bimba viene alla luce in un ospedale di Napoli, ma i genitori la rifiutano. Il Tribunale per i minori, cui viene segnalato il caso, dichiara la piccola adottabile, e però non trova una coppia sposata disponibile a prenderla con sé: la piccola ha la sindrome di Down. Al settimo tentativo andato a vuoto, i giudici la affidano a un single. Il caso finisce sui principali quotidiani, e il Corriere della sera non perde l’occasione per lamentare, grazie alla competente penna di Pierluigi Battista, la perdurante assenza di una normativa sull’adozione adeguata ai tempi, a causa di “politici verbosi, lenti e inconcludenti”, insensibili nell’assecondare l’atto di amore di un uomo solo a fronte di una legge “ambigua, restrittiva, intransigente, anche un po’ spietata”. Sarebbe bastato poco per constatare che per la piccola Down i giudici hanno applicato le norme in vigore: in particolare l’art. 44 della legge n. 184/1983, che permette l’adozione in deroga alle disposizioni ordinarie “anche a chi non è coniugato” (comma 3), “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo” (comma 1 lett. b). Nel caso in questione aver consultato senza successo un congruo numero di coppie coincide per giurisprudenza costante con una ipotesi di “impossibilità”. Se parti dall’assioma ideologico che l’adozione di coppie same sex va consacrata sulla Gazzetta ufficiale, non riesci nemmeno a vedere quale è la legge in vigore: che si chiama così – “legge” – proprio perché chi ne discetta prima dovrebbe leggerla.
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