Giovanni Paolo II, Cristianità n. 155 (1988)
Discorso ai partecipanti al IV Congresso internazionale per la Famiglia d’Africa e d’Europa, del 14-3-1988, nn. 2-4, in L’Osservatore Romano, 14/15-3-1988, Titolo redazionale.
L’enciclica «Humanae vitae» in difesa della morale coniugale e per una «civiltà veramente umana»
Il ventesimo anniversario dell’Enciclica Humanae vitae offre a tutta la Chiesa una occasione propizia per riflettere seriamente sulla dottrina in essa insegnata, una dottrina da me ripresa nell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio e in numerose altre occasioni. Si tratta, infatti, di un insegnamento che appartiene al patrimonio permanente della dottrina morale della Chiesa.
L’ininterrotta continuità con cui la Chiesa l’ha proposto nasce dalla sua responsabilità per il vero bene della persona umana. Della persona umana dei coniugi, in primo luogo. Infatti, l’amore coniugale è il loro bene più prezioso. La comunione interpersonale, che in virtù di tale amore si stabilisce tra due battezzati, è il simbolo reale dell’amore di Cristo verso la sua Chiesa. La dottrina esposta nell’Enciclica Humanae vitae costituisce pertanto la necessaria difesa della dignità e della verità dell’amore coniugale.
Come verso ogni valore etico, anche verso l’amore coniugale esiste una grave responsabilità dell’uomo. I primi responsabili del loro amore coniugale sono i coniugi, nel senso che essi sono chiamati a viverlo nella sua intera verità. La Chiesa li aiuta in tale impegno illuminando la loro coscienza ed assicurando, con i sacramenti, la forza necessaria alla volontà per scegliere il bene ed evitare il male.
Non posso tuttavia tacere il fatto che non pochi, oggi, non aiutano i coniugi in questa loro grave responsabilità, ma creano loro dei notevoli ostacoli.
Al riguardo, ogni uomo, che abbia percepito la bellezza e la dignità dell’amore coniugale, non può rimanere indifferente di fronte ai tentativi che si vanno facendo di equiparare, a tutti gli effetti, il vincolo coniugale a mere convivenze di fatto. Equiparazione ingiusta, distruttiva di uno dei valori fondamentali di ogni convivenza civile — la stima del matrimonio — e diseducativa delle giovani generazioni, tentate così di avere un concetto e di realizzare un’esperienza di libertà, che si rivelano distorti nella loro stessa radice.
I coniugi, inoltre, possono essere seriamente ostacolati nel loro impegno di vivere correttamente l’amore coniugale da una certa mentalità edonistica corrente, dai mass-media, da ideologie e prassi contrarie al Vangelo; ma ciò può anche avvenire, e con conseguenze davvero gravi e disgregatrici, quando la dottrina insegnata dall’Enciclica sia messa in discussione, come talora è avvenuto, anche da parte di alcuni teologi e pastori di anime. Questo atteggiamento, infatti, può indurre il dubbio su un insegnamento che per la Chiesa è certo, oscurando così la percezione di una verità che non può essere discussa. Non è questo un segno di «comprensione pastorale», ma di incomprensione del vero bene delle persone. La verità non può essere misurata dall’opinione della maggioranza.
La preoccupazione […] di inserire la riflessione di carattere più squisitamente tecnico e scientifico sul controllo naturale della fertilità nel contesto di ampie riflessioni teologiche, filosofiche ed etiche, deve essere sottolineata e lodata. Un altro modo per affievolire nei coniugi il senso di responsabilità verso il loro amore coniugale è, infatti, quello di diffondere l’informazione sui metodi naturali senza che sia accompagnata dalla dovuta formazione delle coscienze. La tecnica non risolve i problemi etici, semplicemente perché non è in grado di rendere migliore la persona. L‘educazione alla castità è un momento che niente può sostituire. Amarsi coniugalmente è possibile solo all’uomo e alla donna che abbiano raggiunto una vera armonia nell’intimo della loro personalità.
A vent’anni dalla pubblicazione dell’Enciclica, si può vedere chiaramente che la norma morale in essa insegnata non è solo a difesa della bontà e della dignità dell’amore coniugale, e dunque del bene della persona dei coniugi. Essa ha una portata etica anche più vasta. Infatti, la logica profonda dell’atto contraccettivo, la sua radice ultima, che profeticamente Paolo VI aveva già individuato, sono ora manifeste. Quale logica? Quale radice?
La logica anti-vita: in questi vent’anni numerosi Stati hanno rinunciato alla loro dignità di essere i difensori della vita umana innocente, con le legislazioni abortiste. Una vera strage di innocenti si va compiendo ogni giorno nel mondo.
Quale radice? È la ribellione contro Dio Creatore, unico Signore della vita e della morte delle persone umane: è il non riconoscimento di Dio come Dio; è il tentativo, intrinsecamente assurdo, di costruire un mondo da cui Dio sia del tutto estraneo.
Nell’Enciclica Humanae vitae, Papa Paolo VI esprimeva la certezza di contribuire, con la difesa della morale coniugale, all’instaurazione di una civiltà veramente umana (cfr. n. 18). A vent’anni di distanza dalla pubblicazione del Documento, non mancano davvero le conferme della fondatezza di quella convinzione. E sono conferme verificabili non soltanto dai credenti, ma da ogni uomo pensoso dei destini dell’umanità, giacché chiunque può vedere a quali conseguenze si è giunti, non obbedendo alla santa legge di Dio.
Giovanni Paolo II