Don Giovanni Poggiali, Cristianità n. 390 (2018)
L’esortazione apostolica «Gaudete et exsultate»
Il Santo Padre Francesco ha pubblicato, in data 19 marzo 2018, solennità di San Giuseppe, la sua terza esortazione apostolica, intitolata Gaudete et exsultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo (1). È un invito a non aver paura della santità, che è riservata a tutti e non solo a pochi eletti. La santità è il volto più bello della Chiesa (n. 9). Tanti uomini e donne hanno scritto pagine memorabili e lasciato tracce indelebili per la loro vita santa unita a Cristo. E altrettanto numerose sono quelle persone, sconosciute ai più, che hanno segnato la vita di tante anime con la loro fede, la loro carità e i loro sacrifici conosciuti solo da Dio e da chi ne ha beneficiato. Il Papa loda anche questi «santi della porta accanto», «la classe media della santità» (n. 7), forse presenti nelle nostre stesse famiglie: «Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato» (n. 8).
Indirizzata a tutti, poiché non vi è accenno ai consueti destinatari come per le altre esortazioni — vescovi, presbiteri, diaconi, persone consacrate, sposi cristiani, fedeli laici —, il documento si articola in cinque capitoli e 177 numeri. Il titolo, come sempre per i testi pontifici, prende nome dalle prime due parole dell’esortazione: «Rallegratevi ed esultate», pronunciate da Gesù all’interno del Discorso della montagna (Mt. 5,12).
Il primo capitolo è intitolato La chiamata alla santità (nn. 3-34). Il Papa rivela subito il fine del documento: «Non ci si deve aspettare qui un trattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni […]. Il mio umile obiettivo è far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» (n. 2). Come già il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), con l’universale vocazione alla santità (2), e i diversi Pontefici che si sono succeduti sul soglio di Pietro negli ultimi decenni, anche Papa Francesco vuole richiamare e ridestare il desiderio della santità in tutti: «[…] quello che vorrei ricordare con questa Esortazione è soprattutto la chiamata alla santità che il Signore fa a ciascuno di noi, quella chiamata che rivolge anche a te: “Siate santi, perché io sono santo” (Lv 11,44; 1 Pt 1,16). Il Concilio Vaticano II lo ha messo in risalto con forza: “Muniti di salutari mezzi di una tale abbondanza e di una tale grandezza, tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste” (Lumen Gentium, 11)» (n. 10).
Il Papa invita a non aver paura della santità, conscio di una mentalità corrente che concepisce la chiamata alla beatitudine come qualcosa che ci toglie «forze, vita e gioia» (n. 32). Invece, «dipendere da Lui ci libera dalle schiavitù e ci porta a riconoscere la nostra dignità» (ibidem). In fondo, il primo capitolo è sintetizzato nel suo ultimo numero, che pone il primato della Grazia come fonte di santità e di gioia: «Non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva León Bloy [1846-1917], nella vita “non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi”» (n. 34).
Il secondo capitolo, intitolato Due sottili nemici della santità (nn. 35-62), pone in evidenza ciò che recentemente la Congregazione per la Dottrina della Fede ha sottolineato nella lettera Placuit Deo sui rischi dello gnosticismo e del pelagianesimo, antiche eresie che hanno una preoccupante attualità (3). La prima «[…] è una delle peggiori ideologie, poiché, mentre esalta indebitamente la conoscenza o una determinata esperienza, considera che la propria visione della realtà sia la perfezione» (n. 40). La seconda è il neo-pelagianesimo: «Infatti, il potere che gli gnostici attribuivano all’intelligenza, alcuni cominciarono ad attribuirlo alla volontà umana, allo sforzo personale. Così sorsero i pelagiani e i semipelagiani. Non era più l’intelligenza ad occupare il posto del mistero e della grazia, ma la volontà. Si dimenticava che tutto “dipende [non] dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia” (Rm 9,16) e che Egli “ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19)» (n. 48). Il Papa insiste con forza su un concetto che gli è caro: «In esse si esprime un immanentismo antropocentrico travestito da verità cattolica. Vediamo queste due forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che danno luogo “ad un elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente”» (n. 35).
Il terzo capitolo, Alla luce del Maestro (nn. 63-109), consente di comprendere che cosa s’intenda con santità cristiana entrando nel merito delle Beatitudini (cfr. Mt 5,3-12; Lc 6,20-23), le parole stesse di Gesù dal Vangelo di Matteo: «Esse sono come la carta d’identità del cristiano» (n. 63). Nella spiritualità del Papa le Beatitudini assumono un ruolo centrale, poiché sono il segno di una religione pratica che tocca la persona nella carne. Francesco commenta ogni frase del Discorso evangelico di Matteo, presentando una santità semplice e contemporaneamente pratica ed esigente: «Nonostante le parole di Gesù possano sembrarci poetiche, tuttavia vanno molto controcorrente […]. Le Beatitudini in nessun modo sono qualcosa di leggero o di superficiale; al contrario, possiamo viverle solamente se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio» (n. 65). Alla fine di ogni beatitudine il Papa esprime una definizione di santità sintetica e pregnante: «Essere poveri nel cuore, questo è santità» (n. 70); «Reagire con umile mitezza, questo è santità» (n. 74); «Saper piangere con gli altri, questo è santità» (n. 76); «Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità» (n. 79); «Guardare e agire con misericordia, questo è santità» (n. 82); «Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questo è santità» (n. 86); «Seminare pace intorno a noi, questo è santità» (n. 89); «Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità» (n. 94).
Nel quarto capitolo, intitolato Alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale (nn. 110-157), il Papa vuole descrivere «alcune caratteristiche o espressioni spirituali» (n. 110) che, a suo giudizio, «[…] sono indispensabili per comprendere lo stile di vita a cui il Signore ci chiama» (ibidem). È come una meditazione di «cinque grandi manifestazioni dell’amore per Dio e per il prossimo» (n. 111) che contrastano la cultura contemporanea in cui si rilevano: «l’ansietà nervosa e violenta che ci disperde e debilita; la negatività e la tristezza; l’accidia comoda, consumista ed egoista; l’individualismo, e tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio che dominano nel mercato religioso attuale» (ibidem). Anzitutto, la sopportazione, la pazienza e la mitezza. Decisivo «[…] è rimanere centrati, saldi in Dio che ama e sostiene. A partire da questa fermezza interiore è possibile sopportare, sostenere le contrarietà, le vicissitudini della vita, e anche le aggressioni degli altri […]. Questo è fonte di pace che si esprime negli atteggiamenti di un santo» (n. 112). Il Papa mette in guardia dalla «[…] violenza verbale mediante internet […]. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui» (n. 115). Il richiamo è all’umiltà, al silenzio e al combattimento spirituale, anzitutto contro sé stessi. Poi, la gioia e il senso dell’umorismo, che «[…] non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza» (n. 122). Altra caratteristica è l’audacia con il fervore: «Nello stesso tempo, la santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo. Perché ciò sia possibile, Gesù stesso ci viene incontro e ci ripete con serenità e fermezza: “Non abbiate paura” (Mc 6,50)» (n. 129). Ancora, «la santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due» (n. 141), perché «è molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati» (n. 140). Infine, quinta caratteristica spirituale è la preghiera costante. Francesco osserva che, «[…] malgrado sembri ovvio, ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. Il santo è una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. […] esce da sé nella lode e allarga i propri confini nella contemplazione del Signore. Non credo nella santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi» (n. 147). Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) è citato dal Pontefice gesuita come riferimento per insegnarci la contemplazione nell’azione e lo stile della meditazione (cfr. nn. 20, 26 e 153). Nella preghiera siamo chiamati a discernere le vie della santità che il Signore ci offre.
Il quinto e ultimo capitolo è intitolato Combattimento, vigilanza e discernimento (nn. 158-177). Quest’ultimo è come il cuore del testo magisteriale, perché «la vita cristiana è un combattimento permanente» (n. 158), non solo contro il mondo e la mentalità anticristiana ma «[…] contro il diavolo, che è il principe del male» (n. 159). Satana esiste, non è un mito, un simbolo o un’idea del male. Lo stile ignaziano degli Esercizi Spirituali, richiamato sovente dal Papa nel testo, indica che «al giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria. […] Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (n. 167).
Infine, Maria, Regina dei santi, è a corona delle riflessioni di Papa Francesco. Lei ci aiuta a desiderare la santità perché ha vissuto in pienezza le Beatitudini di Gesù: «È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna» (n. 176).
Note:
(1) Cfr. Francesco, Esortazione apostolica «Gaudete et exsultate» sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, del 19-3-2018. Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a questo documento disponibile nel sito web vaticano <www.vatican.va>. Anche per i documenti conciliari e per quelli della Congregazione per la Dottrina della Fede si rimanda a questo sito.
(2) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa «Lumen gentium», del 21-11-1964, nn. 39-42.
(3) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera «Placuit Deo» ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della salvezza cristiana, del 22-2-2018.