Joseph Mahfouz O.L.M., Cristianità n. 66 (1980)
Dal 22 al 25 febbraio 1979 si è tenuto, a Città del Messico, il primo Congresso Maronita Mondiale. Mentre è in corso, dall’8 al 12 ottobre, il secondo Congresso, presentiamo il testo integrale della conferenza tenuta lo scorso anno da padre Joseph Mahfouz O.L.M., oggi segretario generale dell’Ordine Libanese Maronita, già procuratore generale dello stesso Ordine presso la Santa Sede.
Una piccola Cristianità nel mondo arabo
L’essenza del maronitismo e il suo ruolo nella conservazione del cattolicesimo in Oriente
Niente colpisce di più nel cristianesimo in Oriente della storia di questo piccolo popolo, numericamente molto limitato, detto maronita, che, dal secolo V, ha difeso con fierezza la vera dottrina della Chiesa, e che, in seguito e nonostante le diverse persecuzioni, è rimasto fedele alla fede cattolica in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo!
I. Origine della Chiesa maronita
Da un certo punto di vista possiamo dire che la Chiesa o la nazione maronita è nata in un luogo ben determinato e in un’epoca ben nota. Perciò, per comprendere bene il maronitismo, ci sembra utile ricordare le grandi coordinate geografiche e storiche che interessano l’origine del gruppo maronita, la fondazione della sua Chiesa, la sua autonomia e il suo sviluppo attraverso i secoli.
Sappiamo che l’Impero romano – più precisamente, il Basso Impero – si divise, proprio alla fine del secolo III, in due parti: l’Impero d’Oriente e l’Impero d’occidente. Alla fine del secolo V, l’Impero d’Occidente cadde, mentre quello d’Oriente duro fino al 1453, data in cui è stato abbattuto dai turchi. Questo Impero d’Oriente, in seno al quale nacque la Chiesa maronita, si chiamava, a partire dal secolo VI, Impero bizantino.
L’Impero bizantino era diviso in prefetture. Quella che interessa il nostro studio è la prefettura d’Oriente, che aveva come capitale la città di Antiochia. Insomma, circa all’inizio del secolo V, la diocesi di Antiochia comprendeva otto province fra le quali la Palestina, la Fenicia e la Siria. La Fenicia era divisa in Fenicia marittima, con capitale Tiro, e comprendeva Sidone, Beirút, Byblos, ecc., e in Fenicia libanese, con capitale Damasco, e comprendeva le città di Emesa (Homs), Laodicea (Lattaquié), Eliopoli (Baalbek) e Palmira. Invece la provincia della Siria propriamente detta era divisa in tre parti: la Siria Prima, con la città di Antiochia come capitale; la Siria Seconda, con Apamea come capitale; e la Siria Terza, con Ierapoli (Manbig) come capitale.
Così era organizzata la prefettura d’Oriente. Orbene, nella regione di Apamea, capoluogo della Siria Seconda, nacque la comunità maronita. Essa deve il suo nome a un importante monastero, quello di San Marone, a sua volta così chiamato in onore di un anacoreta di nome Marone (Marûn). Questo santo era vissuto molto più a nord, e si era ritirato su una montagna per condurre una vita di preghiera e di penitenza, sul modello di tutti gli altri monaci siriani.
Purtroppo abbiamo solamente poche informazioni sulla vita e sulla attività del nostro solitario. Il solo racconto che ci dia qualche particolare ci viene da Teodoreto, vescovo di Ciro: questa città è situata nella Siria Terza. Questo grande storico non ci informa né sulla data di nascita né su quella di morte di san Marone (vedremo più avanti a quale fine Teodoreto scriveva la storia di san Marone e dei suoi discepoli). Tuttavia, grazie a lui sappiamo che il monaco Marone è nato nel secolo IV. Avendo rinunciato al mondo, conduceva nel suo eremitaggio, spesso all’aperto, una vita ascetica fra le più austere. La sua reputazione attirò presto attorno a lui discepoli che, avidi di perfezione cristiana, cercavano un modello e una guida spirituale esperta. Questi discepoli si misero alla sua scuola, condividendo la sua solitudine e la sua disciplina. Dopo la sua morte, sopravvenuta con ogni verosimiglianza tra il 405 e il 423 – secondo alcuni verso il 410 – le sue spoglie furono oggetto di dispute tra gli abitanti di diverse città della regione. Ciascuna di esse voleva avere il corpo di questo santo solitario; in definitiva, gli abitanti della borgata più popolosa e più forte riuscirono a impadronirsi del corpo; lo deposero in un tempio elevato appositamente e dedicato alla sua memoria. Questo santuario non tardò a diventare un luogo di pellegrinaggio. Nel 452, l’imperatore Marciano fece costruire, per i discepoli di questo santo, un grande monastero nelle vicinanze di Apamea, capoluogo della Siria Seconda. Questo monastero di San Marone è la culla della Chiesa maronita.
La importanza di questo convento divenne sempre più grande. Uno storico arabo del secolo X, Masúdî, racconta che (due secoli dopo) «era un immenso edificio circondato da più di trecento eremitaggi abitati dai monaci». Questo testo testimonia, inoltre, la coesistenza ad Apamea di due generi di vita, quello cenobitico (comunitario) e quello eremitico, secondo il sistema del monachesimo siriano dell’epoca. Così, un vescovo sedicente maronita del secolo XI, Tommaso di Kaphartâb, afferma che «nel secolo VII questo monastero contava ottocento monaci». Esistevano altri monasteri che dipendevano da questo convento, il cui superiore era, di fatto, il capo di tutti i conventi della regione. Già Teodoreto, nella sua Storia religiosa, riferisce questo fatto: «Sulle montagne che circondano la città, gli anacoreti, disseminati un poco ovunque, brillano come astri, e i loro raggi raggiungono i confini dell’universo».
Nel secolo VIII, il monastero di San Marone esisteva ancora, e l’attività dei suoi monaci era abbastanza fiorente. Il patriarcato maronita è stato istituito in questo stesso monastero. Infatti, dopo la invasione della Siria da parte degli arabi nel secolo VII, il seggio patriarcale della Chiesa ufficiale di Antiochia, nella Siria Prima, rimase libero per un secolo. Un patriarca nominale in partibus, non potendo prendere possesso della sua sede, risiedeva a Costantinopoli, capitale dell’Impero d’Oriente e sede patriarcale. (Costantinopoli si chiamava anche Bisanzio, attualmente Istanbul). Poi, durante tutta la prima metà del secolo VIII, Costantinopoli cessò di nominare titolari, e la sede di Antiochia divenne vacante. In questa epoca, notevolmente turbata dagli avvenimenti e mentre la Chiesa ufficiale di Antiochia si trovava senza capo, «il potente monastero di San Marone, avendo giurisdizione sulla popolazione delle vicinanze del convento, si dichiarava indipendente e forma una vera Chiesa, alla testa della quale troviamo, nel secolo VIII, un patriarca» (Charles di Clercq). La data esatta della formazione di questo patriarcato non è per niente nota. Denys di Tell-Mahré riferisce, nei suoi Annali, alla data del secolo IX, che «i maroniti rimasero come sono oggi: ordinano un patriarca e dei vescovi del loro convento». In seguito, davanti al fatto compiuto, si è riconosciuta come legittima la creazione di questa nuova Chiesa autocefala, che sopravvive fino ai nostri giorni.
Costituita in patriarcato e costantemente fedele al concilio di Calcedonia, la Chiesa maronita non cessò di subire le persecuzioni più violente da parte degli eretici e degli arabi. Se l’imperatore Marciano fece costruire per loro il grande monastero di San Marone, altri imperatori non condividevano la dottrina sostenuta dai monaci maroniti e dai fedeli che dipendevano da loro. Costretti a sopportare, quindi, queste persecuzioni oppure a cambiare credo, i maroniti preferirono emigrare in Libano, che diventò il loro luogo di rifugio e il centro della loro comunità. Dal secolo V i maroniti erano già installati in Libano. Ma questa emigrazione massiccia cominciò, con ogni verosimiglianza subito dopo la distruzione del monastero di San Marone che ebbe luogo, sembra, nella prima metà del secolo X.
Stabilitisi anzitutto nel nord del Libano, soprattutto nella valle di Qâdisha «valle santa» o «valle dei santi», i maroniti si espansero poi in tutte le direzioni, fino all’isola di Cipro, alla Palestina e alla Mesopotamia; oggi, in tutti i continenti. In Libano, come nella valle dell’Oronte, la comunità maronita conservò per secoli, l’aspetto originale di comunità monastica, o almeno centrata sul monachesimo; questo fu, per altro, uno degli aspetti fondamentali del maronitismo.
II. Essenza del maronitismo
Situato così nel suo contesto geografico e storico, il maronitismo, centrato su una comunità monastica, divenne una nazione guidata da un sistema filosofico, teologico e sociale.
1. Sistema filosofico e teologico
Nel corso dei primi tre secoli della nostra era, la Chiesa dovette lottare per sopravvivere; suo rivale fu soprattutto il paganesimo romano.
Subito dopo l’editto di Milano nel 313, data in cui l’imperatore Costantino riconobbe la religione cristiana, i cristiani conobbero un periodo di pace e di tranquillità. Cominciarono a scrutare il mistero del Cristo Salvatore. Da ciò la semina di tante eresie nella Chiesa, soprattutto nei secoli IV e V. Diciamo subito che due fattori hanno favorito queste diverse eresie: da una parte una ricerca di chiarezza esplicita nelle espressioni utilizzate per definire le verità dottrinali, in modo tale che spesso l’eresia era più verbale che dottrinale. D’altra parte, una rivalità tra le tre capitali Costantinopoli, Antiochia e Alessandria, fatto che attizzava i conflitti e li faceva diventare scismi. Inoltre, non dimentichiamo che nei secoli IV e V, ad Antiochia, si affrontavano due grandi civiltà, la civiltà greca e la civiltà siriaca o aramaica. Per questa ragione, se i maroniti devono la loro origine a san Marone e al suo monastero, il maronitismo deve la sua origine anche a queste dispute cristologiche. San Marone era morto verso il 410, il concilio di Calcedonia si è riunito circa quarant’anni dopo, cioè nel 451. Nella Siria interna, le popolazioni fedeli a Calcedonia hanno sviluppato, attorno ai monasteri, un sistema filosofico e teologico che divenne, in un certo senso, «il difensore accanito della dottrina definita dal citato concilio di Calcedonia» (P. Naaman), cioè che in Cristo vi sono due nature ben distinte: la natura divina e la natura umana, in una sola persona. Il concilio in questione condanna quanti proclamavano che in Cristo vi è una sola natura: la natura divina; per questa ragione venivano chiamati «monofisiti». Il concilio di Calcedonia, per la cui difesa è nato il maronitismo, ha dunque definito che nell’unica persona di Gesù Cristo, vi sono due nature distinte: la natura divina e la natura umana. In altre parole, Gesù Cristo è nello stesso tempo vero Dio e vero Uomo.
Non è nostra intenzione esporre in questa occasione un trattato teologico sulla fede in Gesù Cristo così come è stata definita dal concilio di Calcedonia. Tuttavia, senza questa osservazione filosofica e teologica, non arriveremmo mai a comprendere l’essenza del maronitismo.
Infatti, la solidarietà fra gli uomini si pone su due piani ben distinti: un piano di ordine psicologico e un piano di ordine ontologico. Per esempio, la solidarietà fra i giovani, fra gli uomini, fra le donne, fra i negri, fra i commercianti, ecc., questo genere di solidarietà è dovuto all’età, al sesso, alla razza, alla professione, ecc., e perciò dico che è di ordine psicologico. Mentre la solidarietà fra gli uomini in quanto esseri umani, indipendentemente dalla loro età, dalla loro razza, dal loro sesso, dal loro mestiere, dal loro paese, ecc., questa solidarietà che lega me uomo a tutti gli uomini chiunque essi siano, è di ordine ontologico. Siccome sono un essere umano, sono ontologicamente solidale con tutti gli esseri umani ovunque si trovino, qualunque sia la loro condizione, e qualunque sia l’epoca in cui sono esistiti. Questa solidarietà di ordine ontologico, che mi lega a tutto il genere umano, è reale e indefettibile, mentre la solidarietà di ordine psicologico è anch’essa reale, ma variabile. (Possiamo dire che vi è anche una solidarietà teologica fra i battezzati che li rende tutti membra del Corpo di Cristo).
Orbene, il genere umano, decaduto dopo il peccato originale e quindi lontano da Dio, poteva essere redento, ricondotto a Dio, solo attraverso un Dio fatto uomo. Se Cristo, che è vero Dio, non fosse stato vero uomo, cioè ontologicamente solidale con tutto il genere umano, non avrebbe potuto realizzare la redenzione. Per questa ragione, la natura umana di Cristo era reale, e grazie a essa, ha potuto essere solidale e legato a tutti gli esseri umani nel passato, nel presente e nel futuro, indipendentemente da tutto quanto è di ordine psicologico: età, regione, razza, sesso, colore, ecc., e così, grazie a questa natura umana, ha potuto salvare l’umanità intera.
Insomma, in Cristo vi è una sola e medesima persona in due nature ben distinte: la natura divina e la natura umana; tutte due le nature sono reali e assolutamente non fittizie né apparenti. Ora i monofisiti dicevano che in Cristo vi è una sola natura: quella divina; e non arrivavano a cogliere la verità, il mistero divino, per cui, in Cristo vi sono le due nature; e rifiutavano di affermare, come hanno fatto i calcedoniani, che le due nature sono inseparabilmente unite nella persona di Gesù Cristo. Senza rendersene conto, negavano la solidarietà ontologica di Cristo con il genere umano grazie alla quale, come abbiamo appena visto, ha realizzato la salvezza di tutto il genere umano.
Subito dopo il concilio di Calcedonia (451), la Chiesa di Antiochia fu dilacerata da queste dispute cristologiche e si è scissa in due gruppi: quello dei non-calcedoniani o monofisiti, e quello dei calcedoniani o difensori della vera dottrina della Chiesa. I maroniti si trovavano allora in prima fila nel gruppo calcedoniano. Possiamo anche dire che il maronitismo si è formato e organizzato in vista della difesa della fede proclamata dal concilio di Calcedonia, e approvata dalla Chiesa di Roma.
Infatti, Teodoreto, il vescovo di Ciro, che ha scritto, come abbiamo visto, la vita di san Marone e dei suoi discepoli, fu uno dei difensori accaniti della formula calcedoniana in seno al concilio. Inoltre, la scienza e la chiaroveggenza di questo vescovo hanno contribuito efficacemente alla formulazione di questa dottrina, così che il Papa Leone Magno, anch’egli fermo difensore della dottrina calcedoniana, fece l’elogio dl Teodoreto in una lettera a lui indirizzata in tale occasione.
Dopo la fine del concilio, mentre i cristiani d’Oriente sono divisi in calcedoniani e in non-calcedoniani, la lotta tra i due gruppi cominciò con la prevista aggressività. Teodoreto, il vescovo di Ciro, si è presto reso conto che questo manipolo di cristiani legati ai discepoli di san Marone era ferocemente schierato per la formula calcedoniana. Era anche consapevole del ruolo che potevano giocare i monaci in generale, e quelli di san Marone in un modo particolare, nella difesa della vera dottrina cristiana. Sant’Antonio, il padre del monachesimo, non aveva, circa vent’anni prima, abbandonato il suo eremitaggio e la sua solitudine nel deserto per andare ad Alessandria a difendere la fede dei suoi compatrioti contro l’arianesimo (l’eresia che negava la divinità di Gesù Cristo)? Senza essere demagogo e senza approfittare della bontà dei monaci della regione di Apamea, Teodoreto scrisse la sua Storia religiosa per due ragioni: da un lato, per incoraggiarli a seguire la via della perfezione cristiana sul modello di san Marone e dei suoi discepoli; d’altra parte, per esortarli a restare fedeli alla formula calcedoniana di cui, con il Papa Leone Magno, era il campione. Di fatto, i monaci maroniti si erano rivelati all’altezza del compito. La loro funzione non era facile; ma nulla li ha potuti distogliere da essa: né le minacce, né le oppressioni, né la morte. Anzi, si sono attenuti a questo nobile e duro compito senza la sia pure minima esitazione. I vari documenti storici di cui disponiamo ci mostrano chiaramente la violenza delle persecuzioni scatenate contro i maroniti dai non-calcedoniani o monofisiti. Così non si può dimenticare, tra gli altri massacri, quello di 350 monaci maroniti uccisi in una imboscata dai loro avversari. Tutto questo non ha assolutamente potuto distogliere i maroniti dalla loro fede; anzi, queste lotte li rendevano più uniti e più convinti della verità dottrinale di cui si sono eretti difensori. La tenacia sarà, per altro, una delle qualità del maronitismo, qualità che, attraverso i secoli, i maroniti hanno dovuto pagare spesso a troppo caro prezzo.
Se Teodoreto, con la sua scienza e le sue direttive, aiutò i maroniti a perseverare nella ortodossia, l’imperatore Marciano non ha mancato anch’egli di sostenerli. Questo imperatore era desideroso di fare regnare la pace nel suo impero ormai lacerato dalle dispute dottrinali. Era anche consapevole, come i vescovi del concilio di Calcedonia, della influenza preponderante dei monaci, discepoli di san Marone, nei dibattiti teologici. Si è presto reso conto anche del ruolo religioso e sociale che svolgevano questi monaci in questa parte del suo impero d’Oriente. Per renderli più potenti e per aiutarli ad assumere la responsabilità che loro tocca, Marciano fece costruire per loro, nella regione di Apamea, nel 452, il grande monastero di San Marone. I maroniti avevano un grande bisogno di questo aiuto a un tempo materiale e morale. In questo monastero, come abbiamo visto, nacque poi la Chiesa maronita.
Prima di chiudere questa parte della nostra esposizione, dobbiamo sottolineare questo: se i maroniti, in quanto difensori accaniti della dottrina della Chiesa universale dal secolo V ai nostri giorni, e in quanto apostoli e propagatori della vera nozione dottrinale relativa alla natura di Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo, cioè alla universalità della incarnazione redentrice di Gesù Cristo, erano dunque così universalisti, ci si chiede se gli stessi maroniti potevano essere isolazionisti, come non si è smesso di ripetere, soprattutto negli ultimi anni! Essi non potevano e non dovevano essere isolazionisti o segregazionisti! Essi sono, come deve esserlo ogni vero cristiano, aperti a tutto quanto ha rapporto con il genere umano, e sensibili a tutto quanto ha rapporto con l’uomo! I primi maroniti, fedeli alla dottrina calcedoniana, sono morti per difendere la universalità della redenzione e della religione cristiana; i loro discendenti non saprebbero essere diversi. I maroniti di oggi si sono rivelati molto attaccati alla terra dei loro antenati; questo è normale e molto umano, ma questo attaccamento non ha abbandonato il maronitismo, il cui universalismo è una delle sue qualità. Questo universalismo, ripetiamolo, è dovuto alla loro adesione alla formula calcedoniana.
2. Sistema sociale e nazionale
Oltre a essere un sistema filosofico e teologico, il maronitismo fu anche un sistema sociale e nazionale.
Sappiamo che i cristiani d’Oriente, nel corso dei primi secoli e poi, erano molto attaccati ai loro monaci. Se i patriarchi e i vescovi avevano tanta influenza su di loro, ciò accadeva soprattutto perché questi ultimi erano sempre scelti fra i monaci. D’altra parte, san Marone è morto verso il 410; il concilio di Calcedonia si è riunito nel 451; il grande monastero di San Marone è stato costruito nel 452. I conventi dei monaci maroniti si moltiplicavano e il superiore del monastero di San Marone aveva la priorità su tutti gli altri monasteri. Così, tutti quelli che dipendevano da questo monastero formavano, come abbiamo visto, una comunità monastica, cioè il patriarca, i vescovi, i monaci e i fedeli. Questa giurisdizione, di cui godeva il superiore del monastero di San Marone, fu poi una delle prerogative del patriarca maronita, così che egli era il capo supremo, tanto nel temporale che nello spirituale, di tutta la Chiesa maronita. Così, da Chiesa autocefala, la Chiesa maronita si è trasformata in Chiesa nazionale. Possiamo anche affermare che, se la Chiesa maronita ha potuto resistere e conservare la sua identità, ciò è accaduto perché si è presto trasformata da Chiesa in nazione. In questo risiede il genio maronita! Infatti, quando il maronitismo divenne una Chiesa nel secolo VIII, tutti i regimi politici del Medio Oriente erano teocratici. Dal punto di vista cristiano, sappiamo bene quale fu il ruolo svolto dall’imperatore (o basileus) negli affari della Chiesa. Dal punto di vista arabo, dall’inizio fino ai nostri giorni, non vi è separazione tra il temporale e lo spirituale o religioso. Circondata, dunque, da regimi puramente teocratici, la Chiesa maronita nascente si è presto eretta in nazione per potere sopravvivere. Così la montagna libanese divenne la sede geografica per eccellenza di questa nazione appena nata, nella quale il patriarca era nello stesso tempo capo civile e religioso. I bizantini, gli arabi e i turchi od ottomani non hanno potuto strappare ai maroniti la loro autonomia né ridurre la loro identità, perché la loro Chiesa era una nazione e non assolutamente una semplice comunità religiosa. Le altre Chiese orientali rimasero certamente comunità cristiane con certe prerogative, ma persero la loro identità perché non si sono costituite in nazioni. Solamente la Chiesa maronita era riconosciuta come nazione e chiamata tale, qualificativo che risponde, per altro, alla realtà. A titolo di esempio, diremo che il re di Francia, san Luigi, il 24 maggio 1250, e più tardi Luigi XIV il 28 aprile 1649, hanno preso sotto la loro protezione «la nazione maronita», in modo che l’autonomia di questo popolo era così garantita; questa garanzia non avrebbe avuto lo stesso effetto se i maroniti fossero stati semplici fedeli. Una nazione può garantire solamente un’altra nazione!
Alla domanda: che cosa è la Chiesa maronita? Rispondiamo che è una comunità che affonda le sue radici in un sistema filosofico e teologico estremamente solido, e che ha trovato una struttura propria nei suoi quadri monastici, che fornivano e inquadravano l’episcopato e le guide carismatiche. Essa si è identificata con la nazione per potere salvare la fede, la sua libertà e la sua identità.
III Ruolo del maronitismo nella conservazione del cattolicesimo in Oriente
Grazie a queste qualità che sono intrinsecamente legate all’essenza stessa del maronitismo, la Chiesa maronita è stata il cuore palpitante che ha dato il sangue cattolico puro agli altri cristiani d’Oriente. Non ha soltanto conservato il cattolicesimo in questa parte del mondo, ma è stata anche all’origine del ritorno al cattolicesimo delle altre Chiese orientali. È indubbio che il ritorno di certe comunità cristiane d’Oriente in seno alla Chiesa cattolica è dovuto, in primo luogo, ai missionari occidentali, e soprattutto alla diplomazia della Santa Sede e dei paesi cattolici d’Occidente, particolarmente della Francia (P. Raphaël).
Tuttavia, grazie alla loro esistenza in questo mondo orientale e al loro attaccamento indefettibile alla Sede Apostolica, i maroniti hanno potuto prestare aiuto ai missionari venuti dall’Occidente, così come hanno potuto dare la loro assistenza ai fratelli separati nell’opera di ricostruzione delle loro nuove comunità ridiventate cattoliche. In altre parole, il ruolo svolto dai maroniti nella formazione delle Chiese cattoliche in Medio Oriente è stato fondamentale. Infatti, dopo lo scisma d’Oriente, sopravvenuto nel 1054, i rapporti tra le due Chiese, quella orientale e quella occidentale, erano in un certo senso diventati rari. Toccava così ai maroniti, i soli rimasti cattolici nella zona, essere il legame con i fratelli separati.
All’arrivo dei crociati i maroniti furono loro naturali alleati e conobbero un periodo di calma. Subito dopo la distruzione del regno dei franchi, i maroniti hanno dovuto nuovamente arroccarsi sulla montagna libanese, fuggendo le persecuzioni e accogliendo i perseguitati di ogni genere. Solamente sotto l’Impero ottomano, cioè nel corso di tutti gli ultimi secoli, certe comunità cristiane del Medio Oriente si sono nuovamente riunite alla Chiesa di Roma. Queste non potevano talora mettersi in contatto con i missionari, che erano stranieri, ed erano denunciati dai loro fratelli che intendevano restare separati dalla Sede Apostolica. Così, si temeva che la loro missione fosse nello stesso tempo religiosa e politica! Insomma, in molte situazioni e in diversi luoghi, è stato vietato ai missionari di mettersi in contatto diretto con i cristiani d’Oriente. Perciò, questi religiosi cattolici d’Occidente si servivano delle chiese e delle località tenute dai maroniti per poter svolgere le loro missioni presso i fratelli separati senza essere denunciati. Alcuni hanno dovuto portare anche l’abito dei maroniti per compiere la loro missione, risparmiandosi così la collera dei governanti.
Una volta ritornati in seno alla Chiesa cattolica, e per essere al riparo dalle vessazioni scatenate contro di loro dai loro confratelli, queste comunità trovavano rifugio presso la nazione maronita sulla montagna libanese. Per questa ragione, oltre a una assistenza religiosa e morale, i maroniti non hanno mancato di venire in aiuto di queste giovani Chiese cattoliche con diverse e numerose donazioni. Cosi, le sedi patriarcali cattoliche in Libano sono, originariamente, acquistate da queste Chiese grazie ai patriarchi, ai vescovi e ai notabili maroniti.
Per esempio, lo sceicco Mashref el-Khâzen offrì, nel 1749, agli armeni diventati cattolici, la frazione di Bzommar in Libano, dove essi fecero costruire un convento sotto il titolo di Notre-Dame de Bzommar. Notiamo anche che il primo patriarca armeno cattolico è stato scelto nel 1740 dopo essere stato, per qualche tempo, ospite del patriarcato maronita e del governatore di Kesrouan, lo sceicco Abi-Nâder el-Khâzen.
I greco-cattolici o melchiti, fuggendo dalle città della Siria per rifugiarsi presso i maroniti, ebbero il loro primo patriarca verso la fine del secolo XVII. Lo sceicco maronita Sa’d el-Khûrî facilitò, nel 1811, l’acquisto della proprietà di ‘Ain-Trâz al patriarca melchita, che voleva fondarvi un seminario e una sede patriarcale.
Quanto alla Chiesa siriaca, ricondotta al cattolicesimo nel secolo XVII, rimase in seguito senza patriarca per circa 82 anni. Poi, a partire dal 1783, la serie dei patriarchi divenne ininterrotta. In questa data, il patriarca Michel Jaroué, proclamato a Madrin (in Turchia) capo di questa giovane Chiesa, fu oggetto di molti mali da parte dei suoi avversari. Per questa ragione fu condannato a pagare ammende, e fu gettato più volte in prigione. Resosi conto che si progettava di ucciderlo, è fuggito attraverso il deserto di Palmira ed è arrivato in Libano nel 1784, a Beit-Chabâb, villaggio maronita della montagna libanese. Era in uno stato miserevole. Fu alloggiato, per quattro mesi circa, in uno dei nostri conventi maroniti (ove si trova attualmente un centro per minorati); poi si è trasferito con i suoi compagni presso un maronita di tale villaggio; ma tutti gli abitanti collaboravano per offrire loro il nutrimento e sovvenire a tutte le loro necessità. In seguito, lasciarono Beit-Chabâb e si recarono a Kesrouan, nel villaggio di Dâr ‘ûn in cui il patriarca maronita Joseph Estefân, così come i notabili maroniti della zona, li accolsero e li aiutarono ad acquistare il convento di Notre-Dame de la Délivrance a Charfé, e ad ampliarlo. Questo convento è diventato, fino ai nostri giorni, la sede patriarcale della Chiesa siriaca cattolica.
Notiamo che questi diversi aiuti prestati alle Chiese armena, melchita e siriaca furono, per i maroniti, origine di innumerevoli vessazioni da parte di altre comunità rimaste non-cattoliche, così come da parte di certi governatori non cristiani.
Quanto alle due altre Chiese orientali, la Chiesa copta e la Chiesa caldaica, i maroniti hanno potuto prestare a esse servigi relativamente piccoli, posto che si trovavano in luoghi lontani dal Libano. Tuttavia, questi servigi furono reali per il fatto che i maroniti conoscevano bene la loro lingua e comprendevano la loro mentalità.
Così, il ruolo dei maroniti nella conservazione del cattolicesimo in Oriente si riassume nella lettera indirizzata dal cardinale prefetto di Propaganda (a Roma) al patriarca maronita Jean Hage, nel 1895, in cui dice: «La nobile Chiesa maronita, con la sua unione sincera e perpetua alla Sede infallibile di san Pietro, ha difeso e salvaguardato in Oriente, in tutte le epoche, la santa fede cattolica. Inoltre [aggiunge], nell’ultimo secolo, ha lavorato alla conversione delle altre comunità orientali separate, soprattutto dei siriani e dei melchiti».
Infine, dobbiamo segnalare che i maroniti hanno anche contribuito alla formazione del monachesimo in queste giovani Chiese orientali; infatti, come si sa, è la vita monastica a tenere in equilibrio la vita della Chiesa! Il poco tempo di cui disponiamo non ci permette di esporre nei particolari l’aiuto prestato dai maroniti ai cattolici del Medio Oriente per la organizzazione della loro vita religiosa. Ci limitiamo a sottolineare che tutte le congregazioni monastiche cattoliche orientali sono state formate alla scuola dei monaci libanesi maroniti, che sono rimasti, per altro, fedeli al monachesimo maronita primitivo. Questo è stato riformato, alla line del secolo XVII, con la fondazione dell’Ordine Libanese Maronita, di cui ho l’onore di fare parte. Ebbene, tutti i monaci cattolici, melchiti, armeni e caldei, vennero, per un periodo rispettivamente più o meno lungo, a soggiornare nei nostri monasteri maroniti sulla montagna libanese per iniziarsi alla nuova forma monastica concepita dai nostri monaci. Poi, hanno adottato integralmente le nostre regole e le nostre costituzioni, con qualche variante molto piccola.
Ecco l’aiuto portato dalla Chiesa maronita alla ricostruzione delle Chiese orientali ritornate al cattolicesimo. È evidente che, senza l’attività dei maroniti, questa storia sarebbe stata molto più chiusa alle influenze occidentali e all’autentico progresso. E in una prospettiva sul futuro, ci si chiede anche se vi sarà sempre, in Oriente, un cristianesimo vivo e una civiltà occidentale fiorente il giorno in cui la nazione maronita cessi di essere ciò che era e ciò che è attualmente. Il quesito merita di essere posto, perché è di portata capitale.
Conclusione
Al termine di questo studio, ci rendiamo conto che i maroniti sono gli eredi fedeli di una tradizione di santità e di unità cattolica che è loro stata molto cara, e che hanno difeso a prezzo del loro sangue. Non sono assolutamente assassini né una minoranza turbolenta in questo mondo orientale. Essi hanno abbandonato una volta la loro terra fertile presso l’Oronte per rifugiarsi sulla montagna libanese; e sanno molto bene che, se ora fuggissero da questa montagna, sarebbe la fine del maronitismo. I maroniti formano dunque una comunità. che vuole vivere perché sopravviva la tradizione per la quale sono stati oppressi attraverso i secoli. Inflessibili e rifiutando ogni compromesso, hanno lottato, lottano ancora e lotteranno sempre per la salvaguardia della loro fede, della loro identità, della loro dignità e della loro libertà. Per questa ragione, in questo congresso, noi non possiamo che inchinarci davanti alla loro tenacia, essere fieri del loro coraggio e rendere omaggio alla loro grandezza.
Joseph Mahfouz O.L.M.