Di Adriano dell’Asta da Il Giornale di Brescia del 10/07/2024
Non conoscevo l’ospedale di Kyiv colpito dalle bombe russe, l’ospedale pediatrico “Okhmatdyt”,
nome in apparenza astruso ma che, in realtà, è molto concreto e preciso, essendo l’abbreviazione di
“Cura della madre e del bambino”, come mi ha spiegato una giovane mamma che, prima dello
scoppio della guerra, ci aveva portato la figlia.
L’idea che in quell’ospedale, esplicitamente non un’installazione militare, ma da sempre un “luogo
di cura”, fossero andati non degli estranei, ma delle persone che conosco ha subito tolto quella
patina di genericità e impersonalità che spesso circonda i luoghi lontani e gli eventi catastrofici,
persino quelli bellici pur così vicini a noi: i bambini rimasti sotto le macerie hanno smesso di essere
le “vittime della guerra”, le mamme che ce li avevano portati o che vi erano assistite hanno smesso
di essere delle “donne ucraine” e tutti sono diventati miei conoscenti, miei amici, miei parenti.
Di fronte a questo legame, che indipendentemente dalla conoscenza diretta dovrebbe unire ciascuno
di noi a chi soffre, quanto sono suonate odiose e insopportabili, lontane da qualsiasi effettiva
volontà di pace, le scuse di chi ha sostenuto che la tragedia era dovuta “alla caduta di un missile
della difesa aerea ucraina”. Scuse odiose e già sentite altre volte, ma che sarebbe un errore liquidare
come il frutto “normale” della depravazione di chi ha compiuto un gesto simile: se certe
sciocchezze vengono sostenute pubblicamente da fonti che si pretendono autorevoli, e che
presumono di poter essere prese sul serio, ciò significa che, tale disposizione esiste.
In effetti, questa disponibilità a dar credito alle ragioni degli assassini è l’atteggiamento che ho
dovuto verificare quasi quotidianamente a proposito di Aleksej Naval’nyj, l’oppositore morto lo
scorso febbraio in un lager dell’estremo nord russo: persino qualche giorno fa (in Italia, non nella
Russia di Putin!) ho sentito ripetere che in fondo era una marionetta addestrata appositamente dagli
americani per destabilizzare la Russia. Già solo l’idea che questa “ragione” possa servire da
giustificazione o anche solo da spiegazione di quanto avvenuto è aberrante, ma che lo possano
pensare e ripetere persone normali in un paese normale è quanto meno preoccupante e indice di una
caduta di senso pericolosa.
E deve essere chiaro che non è questione di schieramenti, pro o contro la Russia o l’Ucraina, ma di
una estraneità all’umano che rischia di trasformare la vita in un inferno dove nulla può più essere
giudicato perché non c’è più nulla nel cui nome si possa distinguere il bene dal male.
Un inferno: “se l’inferno esiste, per quelli che hanno scatenato questa guerra dovrà apparire così: un
sotterraneo, un bambino che di continuo nasce e muore, e i dannati sanno con certezza che la colpa
è loro”; così diceva qualche tempo fa una famosa giornalista russa, Katerina Gordeeva, parlando
delle vittime di Mariupol’ e quasi anticipando la tragedia di Kyiv e di un ospedale dove le madri
vanno a partorire e a curare i loro bimbi e li vedono invece sacrificare al nuovo idolo della potenza
statale russa.
L’inferno nel quale ci stiamo precipitando noi, con la nostra insensibilità e la compiaciuta
propensione a sostituire alla realtà le nostre congetture, rischia di essere anche peggio: non avremo
più neanche l’idea di un giudizio che possa dare un nome ai veri colpevoli e che possa produrre un
ultimo pentimento, un’ultima purificazione, ma resteremo con un male irredento, che continuerà a
svuotarci l’anima anche là dove tutto potrà sembrare risolto in una “pace” tutt’altro che reale, e
dove tutto invece sarà semplicemente rimosso, in attesa di una nuova esplosione.