Di Assuntina Morresi da Avvenire del 25/09/2019. Foto da articolo
Sono le storie di chi ha ottenuto la morte medicalmente assistita a spiegare cosa accade poi, concretamente, quando il diritto a morire entra nell’ordinamento giuridico. Si possono leggere per esempio nell’ultimo report ufficiale olandese, sull’applicazione della legge sulla morte procurata nel 2017, dove sono riportati diversi ‘casi’ fra i 6.585 segnalati di eutanasia effettuate in quell’anno (nel report si specifica che ‘eutanasia’ include anche il suicidio assistito). Interessante notare che – dati ufficiali alla mano – la cifra corrisponde al 4,4% dei casi di morte nel 2017: una proporzione che, proiettata sui 647mila decessi in Italia nello stesso anno, dà un dato potenziale di 28.468 morti per eutanasia e suicidio assistito l’anno.
In Olanda la legge prevede che il medico che ha eseguito un’eutanasia segnali l’evento alle autorità municipali, che a loro volta riferiscono a commissioni regionali dedicate, le quali verificano che tutto sia avvenuto regolarmente. Il loro controllo, cioè, avviene a cose fatte, perché non ha lo scopo di prevenire le richieste eutanasiche ma di applicare la legge al meglio. È il medico ad avere il ruolo centrale, e la commissione deve verificare che nel procurare la morte lui abbia correttamente seguito i criteri normativi, e cioè: abbia verificato che la richiesta del paziente sia volontaria e consapevole; che la sua sofferenza sia insopportabile e senza prospettive di miglioramento; deve poi aver informato il paziente sulla sua situazione e prognosi; e deve aver convenuto con lui sulla mancanza di ragionevoli alternative, il tutto dopo aver consultato un secondo dottore, indipendente, che dopo aver visitato il malato deve aver rilasciato un parere scritto, obbligatorio ma non vincolante. Da ultimo, la commissione verifica che l’eutanasia sia avvenuta seguendo i protocolli medici dovuti. Nella relazione sul 2017 sono raccontati alcuni casi, sia di situazioni in cui la commissione ha confermato la correttezza delle procedure seguite sia di quelle in cui, invece, questo non è avvenuto (12 in tutto il 2017). Si tratta quindi di resoconti ufficiali, che vale la pena leggere per intero per rendersi conto di cosa significa l’entrata in vigore della morte su richiesta. Riportiamo di seguito due vicende in cui la legge è stata rispettata, rappresentative cioè della grande maggioranza delle eutanasie effettuate.
Il caso n. 2017-59. «La paziente, una donna di 80 anni – si legge nella relazione – ha avuto un attacco cardiaco cinque mesi prima della morte (procurata, ndr). La sua condizione era incurabile ed è diventata terminale. Poteva essere trattata solo con palliative (cure con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita del paziente). La sofferenza della paziente era causata da una severa mancanza di respiro al minimo sforzo e dalla sua immobilità e stanchezza. Aveva anche intenso prurito e mal di schiena. Non c’era niente che fosse capace di fare e la sua vita era ormai confinata al sofà. Lei soffriva per la paura di cadere e per la futilità della sua situazione. Sentiva la propria sofferenza come insopportabile. Il medico era convinto che questa sofferenza fosse per lei insopportabile e non avesse alcuna prospettiva di miglioramento, secondo l’opinione medica prevalente, e ha concluso che la sua richiesta era volontaria e consapevole. Ha anche consultato un medico indipendente (Scen), che ha concluso a sua volta che i criteri richiesti erano rispettati. Il dottore ha effettuato l’eutanasia con le dovute procedure mediche. Il comitato ha verificato che il medico avesse agito in accordo ai criteri di cura dovuti». Una storia semplice, lineare, sovrapponibile alla condizione di migliaia di persone anziane: un problema cardiaco superato nella fase acuta, con conseguenze pesanti come avviene spesso a quell’età, e la vita confinata a un divano. Mal di schiena, il continuo timore di cadere e soprattutto il senso della propria inutilità. Quanti ne conosciamo così? È stato un caso di eutanasia, senza problemi. Esemplare.
Il caso n. 2017-08. «La paziente – sono ancora parole testuali della relazione – è una donna fra i 18 e i 30 anni, con una lunga storia di malattia mentale, con sintomi persistenti di morale basso (depressione), complicati da un disturbo cronico nell’alimentazione e un disturbo della personalità di tipo ossessivo-compulsivo. Il disturbo alimentare ha portato vari sintomi fisici, come emaciazione, debilitazione, stanchezza e osteoporosi. Soffriva anche di un problema genetico dei tessuti connettivi che hanno influenzato particolarmente le articolazioni e la pelle. La paziente è rimasta intrappolata nei suoi rituali alimentari e la depressione intrattabile. Si sentiva come se fosse morta cinque anni prima; da allora ha percepito se stessa come un guscio vuoto, che diceva ‘riempito’ dai suoi disturbi alimentari. Era priva di interessi e difficilmente aveva l’energia per un’attività qualsiasi. Gran parte del suo tempo era assorbita dai rituali del mangiare e vomitare. Anche il suo deterioramento fisico ha avuto un ruolo: era sottopeso, si sentiva stanca e aveva le vertigini. Nonostante i suoi talenti creativi e l’interesse per la cura degli animali, difficilmente ha avuto l’opportunità di coltivare questi hobbies per via dei rituali alimentari e dei loro effetti devastanti sulla sua salute. Alla fine le sue condizioni fisiche si sono deteriorate rapidamente. La paziente diceva di soffrire soprattutto per la sua depressione».
La relazione continua illustrando i diversi trattamenti cui la donna si è sottoposta volontariamente, sia per i problemi alimentari che per la depressione, con esiti positivi ma temporanei. Restavano solo tentativi sperimentali. Quattro mesi prima di somministrare l’eutanasia, il suo medico curante ha consultato uno psichiatra e un altro dottore. Il primo ha dichiarato che la donna «era gravemente disfunzionale in tutti gli aspetti della vita e che la sua situazione era caratterizzata da mancanza di speranza e di prospettive di miglioramento, che l’aveva portata a un desiderio di morire costante e prolungato». Il secondo ha confermato che «la paziente stava soffrendo insopportabilmente senza prospettive di miglioramento. Lui vedeva una giovane donna con una severa malattia mentale. Lei aveva tentato in molti modi di migliorare la sua salute mentale, ma inutilmente». Sono stati soddisfatti, quindi, i criteri richiesti per la morte procurata, secondo i medici e la commissione, che, a posteriori, conferma: «Sin dalla sua prima giovinezza, la paziente era stata trattata esaustivamente sia per i disturbi alimentari che per la depressione. Nonostante la sua giovane età, non c’erano più opzioni realistiche di trattamento». Disturbi alimentari e depressione: di nuovo una situazione non rara, e in una persona giovane, come spesso accade per anoressia e bulimia. Quante ne abbiamo conosciute, con continui miglioramenti e ricadute? Ma quanto incide sulla volontà di superare questi gravi problemi, sia per i medici che per la persona malata, il sapere che c’è una via ‘semplice’ per uscirne, cioè farla finita una volta per tutte?
Una donna anziana e una giovane in difficoltà gravi, indubbiamente, ma non eccezionali. Non sappiamo niente delle loro famiglie, e anche nelle altre storie del report raramente compaiono parenti, amici o conoscenti. Nella loro specifica drammaticità hanno tutte un medesimo tratto che le accomuna, oltre al finale: nessuna di loro può dirsi una vicenda estrema, in condizioni rare. Al contrario. Mentre si leggono tante vicissitudini, capita di accostare qualche riga a fatti noti, circostanze familiari, come anche situazioni vissute, perché certi percorsi di malattia e di sofferenza prima o poi attraversano inevitabilmente anche la nostra vita, a distanza più o meno ravvicinata. E ti trovi a pensare: cosa avrebbe fatto quel mio amico, quel mio parente, anche lui in quelle condizioni, se avesse potuto chiedere di essere ucciso? E fino a che punto avremmo trovato la forza per assisterli, curarli, sostenerli, consolarli, accompagnarli nella malattia, vivere accanto a loro, se fosse stata a portata di mano una soluzione per liberarli e liberarci da tutti quei problemi, definitivamente?
Si chiede di farla finita, e se la salute non può migliorare, in assenza di alternative, i medici possono concedere la fine anticipata Il Parlamento olandese durante la discussione per la legge sull’eutanasia (2002)