a cura di Silvia Scaranari, Cristianità n. 423 (2023)
Il 19 ottobre 2023, presso il Circolo della Stampa a Torino, si è tenuto un incontro su La libertà religiosa tra persecuzione cruenta ed emarginazione culturale, organizzato da Alleanza Cattolica e dalla sezione italiana della Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS). Fra i relatori, la dottoressa Sandra Sarti, prefetto emerito della Repubblica, presidente di ACS-Italia, che ho intervistato nei giorni precedenti, prima comunque del 7 ottobre, data dell’attacco del movimento Hamas allo Stato di Israele, ragion per cui nell’intervista non vi sono riferimenti a tale evento e alle sue possibili conseguenze.
D. La libertà religiosa è un diritto che origina dalla natura stessa della persona umana e dalla sua dignità, e appartiene al nucleo essenziale dei diritti umani. San Giovanni Paolo II (1978-2005) nel discorso alle Nazioni Unite del 5 ottobre 1995 l’ha definita «pilastro essenziale» dei diritti, fondamento di ogni società realmente libera, e su questa definizione si sono più volte espressi anche Benedetto XVI (2005-2013) e Papa Francesco. Come potrebbe descrive la situazione attuale sul fronte della libertà religiosa?
R. È vero, la libertà religiosa è uno dei principali diritti umani, quei diritti che in modo naturale appartengono all’uomo, a ciascun uomo, in quanto tale.
Una delle prime tracce dell’importanza, fra l’altro, del diritto di religione come diritto degli uomini e dei popoli risale addirittura al 529 a.C. ed è contenuta nel cosiddetto «Cilindro di Ciro», rinvenuto nel 1879, da molti considerato come la prima dichiarazione dei diritti umani. Su questo cilindro di argilla, inciso con i caratteri cuneiformi, oggi conservato al British Museum, Ciro II (590-530 a.C.), re di Persia, dopo aver conquistato Babilonia, Sumer e Akkadi, fece scrivere: «Voglio fermamente la pace in Babilonia, abolisco i lavori forzati, restituisco le case agli abitanti che le avevano e restituisco a queste sacre città dell’altro lato del Tigri i templi e le immagini che vi erano conservate, di cui è stata fatta rovina per lungo tempo».
Seppure in embrione, questo reperto storico ci indica come la restituzione alle popolazioni conquistate della propria dignità, della propria libertà, sia sempre stato uno strumento di fondamentale importanza per conseguire la pace nei territori da governare. Non vi può essere pace, infatti, dove manca la libertà di pensiero, di coscienza e di espressione, a cui si collega intimamente la libertà di religione e di culto. La restrizione di queste libertà limita il complessivo sviluppo di un essere umano, minandone la componente spirituale. Papa Benedetto XVI ha espressamente detto che il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana, la cui natura trascendente non può essere ignorata o trascurata. Dunque, soltanto dove vi sono libertà religiosa e sana laicità possono crescere la libertà di pensiero, di cultura e, nell’insieme, la dignità umana, e ciò ci induce ad affermare che la libertà religiosa non è una variabile indipendente nell’ordinamento, ma è il tassello decisivo di un progetto più ampio che coinvolge i diritti umani.
Lo stesso san Giovanni Paolo II, da lei citato, già nella sua prima enciclica del 1979, la Redemptor Hominis, aveva asserito che la pace in ogni Paese fiorisce solo quando tali diritti vengono osservati integralmente, mentre la guerra nasce dalla loro violazione e poi diventa causa di violazioni sempre più gravi.
Dunque, per rispondere alla domanda: «qual è la situazione attuale sul fronte della libertà religiosa?», basti pensare alle guerre in atto nel mondo, in particolar modo nel continente africano, dove è pesantemente diffusa la violenza di gruppi estremistici e di conflitti etnici, e al dilagare di regimi autoritari nel continente asiatico con la repressione che essi inducono. Oggi, purtroppo, la libertà religiosa è limitata, con varie gradazioni, in un terzo dei Paesi del mondo.
D. Da decenni ACS cura la pubblicazione di un Rapporto sulla persecuzione/discriminazione in centinaia di Paesi. Ultimamente la situazione sembra peggiorata. A che cosa attribuisce questo declino di attenzione alla dignità della persona?
R. Si, certo, una delle piaghe del nostro tempo è l’indifferenza che questi argomenti suscitano. ACS-Italia, proprio nell’intento di combattere l’indifferenza di fronte alla situazione dei cristiani nel mondo, e nella consapevolezza dell’importanza della conoscenza dei dati che li riguardano, ha cominciato a predisporre per prima il rapporto sulla libertà religiosa nel lontano 1998, ben venticinque anni fa.
L’iniziativa, partita proprio dalla nostra sezione italiana, ha ben presto coinvolto tutti i Paesi aderenti ad ACS International, e oggi il rapporto è diventato una pietra miliare per la conoscenza della libertà religiosa nel mondo, grazie all’invio dei contributi provenienti da ventisei Paesi, che si sono impegnati in capillari attività di studio e di ricerca.
Si tratta di un documento importante perché con esso ACS non solo dà voce ai fratelli cristiani privati della libertà di fede e di culto, ma presenta un quadro che comprova la loro diffusa sofferenza. Il nostro Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo viene pubblicato ogni due anni per documentare il grado di rispetto e il livello di violazione del fondamentale diritto alla libertà religiosa nei 196 Paesi sovrani del pianeta. Vengono approfondite in esso le cause della persecuzione o della discriminazione, sono denunciate le identità dei responsabili e i dati raccolti vengono utilizzati, per quanto possibile, per valutare le tendenze del prossimo futuro. Il testo non limita il proprio esame alle violazioni a danno dei cristiani, e dei cattolici in particolare, ma abbraccia le dinamiche persecutorie e discriminatorie sofferte nell’ultimo biennio dai credenti di ogni religione e per questo, lungi dall’essere consultato solo dalle gerarchie ecclesiastiche, viene utilizzato anche da diplomatici, politici, ricercatori e giornalisti. Il Rapporto, peraltro, si alterna con un’altra nostra pubblicazione, anch’essa biennale, dal titolo Perseguitati più che mai, in cui vengono maggiormente documentate le situazioni di alcuni singoli Paesi.
Per superare i muri di indifferenza ACS ha più volte voluto richiamare l’attenzione mediatica sul sangue versato dai cristiani perseguitati e lo ha fatto illuminando di rosso la Fontana di Trevi nel 2016 e il Colosseo nel febbraio del 2018. Inoltre, ha messo in campo simili iniziative anche a livello internazionale, per esempio a Londra, sempre nel 2016, dove ha illuminato l’abbazia di Westminster per ricordare le vittime della persecuzione religiosa di tutte le fedi nel mondo.
Il recente rapporto, comunque, ha messo in evidenza come su 196 Stati sovrani ben sessantuno, con diverse forme e sfumature, vivono situazioni di persecuzione, discriminazione o di crimini di odio a sfondo religioso. Lo abbiamo già detto: si tratta di un terzo dei Paesi del Mondo. In questi luoghi la libertà di molte minoranze religiose, e non soltanto di quelle cristiane, è a rischio e viene repressa con una varietà di strumenti che vanno dalle leggi anticonversione fino all’adozione dei più subdoli mezzi di sorveglianza di massa con fini discriminatori.
Strumenti che, indistintamente, attuano una violenza sottile, talvolta indiretta, poco visibile ma grave, anzi gravissima. Ma a tutto ciò si resta per lo più indifferenti, perché le nostre società si nutrono molto di notizie sensazionali e non si adoperano per sconfiggere le complesse e drammatiche cause da cui esse originano, specialmente se si trovano in territori lontani che, magari, da un punto di vista geopolitico, non rientrano nemmeno nei loro campi di interesse.
Perciò ACS si propone di combattere l’indifferenza che, insieme alle persecuzioni, è un’ulteriore piaga che in generale colpisce le minoranze religiose, ricadendo sulle singole persone che ne fanno parte.
D. La Costituzione italiana del 1948 dichiarò la centralità della libertà religiosa e, poco dopo, la «Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo dell’ONU», all’art. 18, esplicitò il seguente principio: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione: tale diritto implica la libertà di cambiare religione o credo, come pure la libertà di manifestare la propria religione o credo, in forma individuale o comunitaria, pubblicamente o privatamente mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’adempimento dei riti». A ciò fecero seguito la «Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali», firmata a Roma il 14 novembre 1950, che tutela espressamente la libertà religiosa con l’art. 9; la Conferenza di Helsinki (agosto 1975), riguardante la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che ha impegnato i 35 firmatari «al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione e credo»; la «Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sul credo», adottata il 25 novembre 1981 dall’ONU, che ha ribadito con fermezza la stessa posizione, per arrivare al Trattato di Lisbona che riconosce il ruolo pubblico delle Chiese e il loro contributo alla costruzione europea.
Questo solo per citare i documenti più noti, ma anche in Europa il problema non è risolto. Forse nel Vecchio Continente non assistiamo a forme di persecuzione violenta ma da tempo si è insinuato un clima di discriminazione, di fastidio, di insofferenza per qualsiasi espressione pubblica di carattere religioso. Come possiamo delineare l’attuale contesto occidentale?
R. Stiamo attraversando un’epoca complessa, caratterizzata da trasformazioni radicali. Per effetto della globalizzazione si mescolano nelle nostre terre e nella nostra storia popolazioni con storie, culture, tradizioni e religioni diverse, che avevano esse stesse vissuto fino ad oggi le une lontane dalle altre. Basti pensare che il nostro Paese aveva l’opposta tendenza, quella cioè di emigrare, non del tutto sparita. Generalmente, in Italia come in Europa, si è venuta evidenziando la tendenza a una forma di chiusura dell’individuo rispetto all’altro. Una incapacità di accogliere l’altro, di ascoltarlo, di sostenerlo, via via alimentata dall’utilizzo di Internet, che ha sostituito i rapporti personali con quelli virtuali e che, in qualche modo, ha inciso sull’inaridimento di sentimenti e di valori individuali e sociali. A questa tendenziale «chiusura» hanno contribuito, oltre all’espansione senza precedenti del fenomeno migratorio, anche la crisi economica, la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina. Ne abbiamo risentito individualmente e ne ha risentito l’Europa.
Il principio di solidarietà, per esempio, uno dei pilastri posti a sostegno dei trattati europei e delle carte costituzionali degli Stati membri, appare sempre più sbiadito. Non è più ispiratore di quelle coraggiose scelte politico-strategiche per il perseguimento del bene comune che hanno animato la costruzione della Casa europea e che hanno dato vita alle nostre Costituzioni democratiche, ma è sempre più relegato nel mondo del volontariato. Questo terzo millennio, insomma, presenta in Occidente molteplici e indecifrabili incognite e tante incertezze, che impattano in modo talvolta tangente e talvolta fortemente secante con la libertà religiosa, dalla cui sussistenza dipende moltissimo anche la tenuta etica della società.
Nel mondo occidentale viviamo ormai da tempo una crisi interna alla nostra cultura, che provoca una sorta di regresso anche rispetto all’attuazione dei diritti umani declinati nelle carte costituzionali. Ma possiamo ancora fare molto attraverso l’affermazione, il rilancio e la messa in pratica dei nostri valori cristiani, che hanno una straordinaria portata etica e coesiva e che spingono a perseguire il bene comune nel pieno rispetto dell’altro.
D. Lei ha un prestigioso curriculum nel servizio allo Stato italiano e quindi può valutare entrambe le facce della medaglia. Oggi in Italia vi è sensibilità istituzionale verso il tema della libertà religiosa?
R. La nostra Costituzione garantisce la libertà di religione e di culto con il disposto dell’art. 19 in coerenza con il disposto dell’art. 2 che, a sua volta, garantisce lo sviluppo della personalità del singolo in proprio e all’interno delle formazioni sociali. Infatti, la pratica della fede, del proprio credo, fa parte del processo di crescita di ogni persona. Sotto il profilo collettivo la garanzia della libertà di religione è sancita dall’art. 8, che tutela l’uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose. L’art. 7 esprime poi il principio di reciproca libertà fra lo Stato e la Chiesa cattolica che, ciascuno nel proprio ordine, sono indipendenti e sovrani, e ciò comporta che lo Stato, a differenza di quanto accade in altri Paesi, non impone una sola religione.
La solida trama del nostro impianto ordinamentale tutela, dunque, la libertà di religione e di culto e garantisce la plurale presenza di confessioni religiose diverse dalla cattolica, cosicché la libertà religiosa costituisce uno dei cardini della nostra visione di una democrazia liberale. Diverso è il tema della «sensibilità istituzionale», che vive momenti di maggiore o minore intensità in relazione alle stagioni politiche interne o alle dinamiche geopolitiche esterne. E, certamente, risente delle situazioni di «allarme» o di «minaccia», come è avvenuto, per esempio, nel periodo in cui lo Stato Islamico — noto come ISIS — ha ingenerato nei nostri Paesi il costante timore di attacchi terroristici, che a sua volta ha innescato un clima di pericolosa intolleranza religiosa. In quel periodo fu chiaro alle politiche nazionali occidentali che il tema della libertà religiosa doveva assumere un ruolo portante anche nella politica estera.
Ritengo che la libertà di religione abbia una enorme valenza di fattore positivo per l’integrazione, perché attraverso di essa si attua il rispetto delle diversità religiose e grazie ad essa la loro coesistenza è consentita su un piano di distensione e di costruttività. Nel corso della mia esperienza professionale presso il ministero dell’Interno come direttore degli Affari dei Culti ho potuto cogliere aspetti di particolare sensibilità istituzionale, per esempio con la creazione di importanti tavoli di confronto e di dialogo con i rappresentanti dell’islam italiano: fori di discussione che senza dubbio ci hanno aiutato a rispondere alla crescente presenza di cittadini islamici. E ho anche avuto modo di favorire la promozione del dialogo a livello territoriale, prevedendo una serie di «tavoli per il dialogo interreligioso» presso le prefetture locali, in modo da poter avviare una ricerca sui temi della conflittualità e della coesione connessi all’esercizio della libertà religiosa. Il confronto e il dialogo, infatti, se da un lato facilitano la compresenza di culture e di tradizioni, dall’altro lato esprimono anche una valenza di sicurezza, perché proteggono il tessuto sociale dalle lacerazioni che possono derivare dalla strumentalizzazione delle differenze religiose. Papa Francesco e altri leader della Chiesa in tutto il mondo, negli ultimi anni, hanno intensificato le iniziative rivolte ad altre comunità religiose. E lo hanno fatto anche i leader religiosi indonesiani, che hanno rafforzato il dialogo con le controparti indù e che, in occasione del G20, hanno istituito un gruppo di lavoro permanente sulla religione.
Parlando di sensibilità istituzionale, non possiamo non ricordare che il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, attento al tema dei cristiani perseguitati nel mondo, nel 2022 ha nominato il consigliere diplomatico Andrea Benzo «inviato speciale per la tutela della libertà religiosa e il dialogo interreligioso». La sua missione è quella di individuare nuove forme di promozione della libertà di religione e di credo e di rafforzare l’opera dei circa settemila missionari italiani, che rappresentano il volto di un’Italia generosa e solidale, che crede nella pace e nello sviluppo.
Del resto, la dimensione religiosa — lo si è visto anche con gli interventi della Chiesa sulla guerra in Ucraina — è sempre più rilevante sullo scacchiere mondiale e non dobbiamo rinunciare ad esplorare sentieri di collaborazione con gli attori religiosi per trovare risposte condivise alle necessità più pressanti.
D. I cristiani sono la comunità religiosa più perseguitata nel mondo oggi. Fra il XX e XXI secolo vi sono state molte più vittime che nei primi secoli dell’era volgare. Perché a Suo parere?
R. In genere, la parola persecuzioni ci fa pensare all’antica Roma e soprattutto ai tanti martiri della grande persecuzione dell’imperatore Diocleziano (244-313), che cacciò i cristiani che militavano nell’esercito, ordinò la distruzione delle Chiese cristiane e l’eliminazione dei libri sacri e impose — dapprima a tutti i ministri e ai membri della gerarchia e poi a tutti i cristiani — l’obbligo di compiere sacrifici agli dèi imperiali.
Oggi i cristiani non vengono fatti sbranare dai leoni ma sono tuttora martiri, ovvero testimoni della loro fede. Tant’è vero che in alcuni Paesi è un reato il solo andare a Messa, diritto per noi scontato, e professare il proprio credo religioso può portare alla morte.
Questo succede, per esempio, in Afghanistan, che in tutti i rapporti internazionali è considerato oggi il Paese più pericoloso per la sopravvivenza di un cristiano. In Pakistan, così come in India, si assiste a un aumento anche violento dell’intolleranza verso i cristiani. Nei testi scolastici sono inseriti contenuti sprezzanti nei confronti delle fedi minoritarie, che incideranno negativamente sullo sviluppo delle relazioni interreligiose. La vita dei cristiani è a fortissimo rischio in tanti altri Paesi: penso alla Corea del Nord, dove si stima che 50-70 mila cristiani siano detenuti a causa della loro fede. In Cina il Regolamento per gli Affari religiosi, entrato in vigore nel 2018, impone nuove restrizioni ai gruppi religiosi: le chiese, ma in generale diversi enti cristiani, vengono chiusi, le cerimonie e le funzioni sono controllate; in alcuni casi l’accesso è vietato ai minori di diciotto anni. Inoltre, una repressione feroce colpisce da anni gli uiguri, che costituiscono una comunità separatista sottoposta a una costante sorveglianza con metodi tecnologici. In Africa la Nigeria resta epicentro di violenze e persecuzioni anche per la presenza di gruppi estremistici, come Boko Haram, e l’elenco non ha fine.
Le cause delle persecuzioni vanno ricercate tanto nelle strategie dei governi autoritari, che fondano il proprio potere politico sulla negazione delle libertà individuali, quanto nella presenza di gruppi estremisti in alcuni casi collegati ad organizzazioni criminali. Vanno anche ricercate nei nazionalismi etno-religiosi, che tendono a imporre una sola religione sul suolo nazionale. Le persecuzioni vengono attuate in varie forme, dalla tortura individuale alla sorveglianza e al riconoscimento facciale a fini discriminatori.
Lei mi ha chiesto perché tutto ciò accade. Non dimentichiamo che la nostra fede, fondata su Cristo, apre la mente e lo spirito al discernimento fra il bene ed il male, alla libertà e soprattutto alla speranza, concetti culturali che elevano la dignità dell’uomo e che in ogni dove ostacolano coloro che voglio imporre il proprio assoluto dominio.