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L’incontro di Dante con Nino Visconti e Corrado Malaspina

20 Aprile 2024 - Autore: Leonardo Gallotta

Dante

Nel canto VIII del Purgatorio tutto pervaso dal tema dell’esilio

di Leonardo Gallotta

   “Era già l’ora che volge il disìo / ai navicanti e ‘ntenerisce il core / lo dì c’han detto ai dolci amici addio; / e che lo novo peregrin d’amore / punge, se ode squilla di lontano / che paia il giorno pianger che si more”.

   Due terzine, queste, tra le più famose del poema. Dante solo sporadicamente manifesta aspetti sentimentali del suo animo, ma in questo caso non si può non riconoscere una chiara Sehnsucht, una sensibilità – o struggimento – che col senno di poi potremmo definire ‘romantica’, soprattutto quando affronta anche poeticamente il tema dell’esilio. Le due terzine semplicemente vorrebbero indicare l’ora di compieta, l’ultima delle ore canoniche del giorno, ma questo inizio non può che far pensare all’esilio stesso del poeta. Ed ecco il parallelo: soprattutto il navigante , sperduto nell’immensità del mare, pensa con desiderio e nostalgia a cose ed amici che ha lasciato e si intenerisce al ricordo; ma anche nel viaggiatore per terra, se al tramonto ode una campana lontana, l’amore si fa puntura: anch’essa, la campana, sembra accompagnare il lento scomparire della luce.

   Dopo questo poetico inizio, ecco riprendere il racconto. Un’anima, congiunte e levate le palme al cielo, dopo aver rivolto lo sguardo verso oriente, intona l’inno Te lucis ante terminum attribuito a Sant’Ambrogio, che la Chiesa canta all’ora di compieta, per invocare l’aiuto divino contro le tentazioni della notte e tutte le altre anime si uniscono devotamente al canto.

    A un certo punto Dante vede la schiera delle anime della valletta dei principi volgere gli occhi verso l’alto. Ed ecco scendere due angeli con spade infuocate in mano, prive però della punta. La loro veste era verde e verdi erano le ali. Essi si pongono ai lati della valletta. Sordello spiega ai due poeti che gli angeli provengono dall’Empireo dove risiede Maria e che stanno lì a guardia, per impedire l’ingresso di un serpente che tenta di penetrarvi. Dante, pieno di paura, si stringe “a le fidate spalle” di Virgilio.

   I due angeli sono guardiani delle anime contro la tentazione. Gli antichi commentatori vollero vedere nei particolari descritti da Dante altrettanti simboli: il verde delle vesti e delle ali rappresenterebbero l’eternità della speranza, le due spade la giustizia e la misericordia divine, mentre le punte spezzate starebbero a significare che le spade hanno compito difensivo contro la tentazione che può essere combattuta, mai però eliminata del tutto.

   Sordello invita i due poeti a scendere nella valletta e lì Dante vede un’anima che guardava fissamente Dante, il quale subito riconosce l’amico Nino Visconti, felice di non trovarlo “tra i rei”, cioè all’Inferno. Nino apprende che Dante è vivo e si volge a un’altra anima (“Su, Currado!”) invitandola a vedere la meraviglia di un uomo in carne ed ossa lì nel Purgatorio. Nino Visconti viene riconosciuto da Dante come giudice (“giudice Nin gentil”), cioè signore di Gallura in Sardegna (Giudicato da lui ereditato dal padre Giovanni nel 1271) dove morì nel 1296. Ed è per questo titolo che si trova nella valletta dei principi.

   Esiliato in giovinezza da Pisa, sua patria, per motivi politici, vi ritornò successivamente e poi per discordie interne fu esiliato nuovamente. Nel 1293 fu a capo della Taglia guelfa (Lega o Confederazione dei ‘partiti’ guelfi) e fu più volte a Firenze dove forse nacque la sua amicizia con Dante che pure era guelfo. Nino, a causa delle vicissitudini politiche da lui patite, non si riconciliò mai con la sua città neppure in punto di morte e volle che dalla Sardegna, dove si era di nuovo trasferito, il suo cuore fosse portato a Lucca, in terra guelfa, per essere sepolto nella chiesa di San Francesco.

   Va detto che né nella presentazione del personaggio né nel suo discorso si ha il minimo accenno al passato di lui e niente rivela i complessi e drammatici suoi rapporti col nonno materno, il famoso Ugolino della Gherardesca. Di quel suo passato travagliato non resta traccia se non nella contentezza di vederlo salvo in Purgatorio. Tutta la luce poetica su Nino è concentrata sul rammarico di lui per il fatto che la moglie Beatrice d’Este, passata a seconde nozze, pare averlo del tutto dimenticato. Da qui la richiesta a Dante di chiedere preghiere per la sua anima alla figlia Giovanna.

   Nel frattempo Dante alza gli occhi al cielo e, al posto delle quattro stelle da cui era illuminato il volto di Catone, ne vede ora tre, salite al posto di quelle. Dalle quattro virtù cardinali si è passati alle tre teologali.

   Intanto l’anima precedentemente chiamata da Nino Visconti si appalesa come Corrado Malaspina, signore della Lunigiana, della quale chiede notizie al poeta fiorentino. Dante risponde che anche se non era mai stato in quei luoghi, la famiglia dei Malaspina era conosciuta in tutta Europa per il “pregio della borsa e della spada”, ossia per cortesia e valore. Corrado gli profetizza allora che di lì a qualche anno avrebbe potuto constatare di persona, lui esule, la verità di tale fama.

   Concludo con le parole di Umberto Bosco che pienamente condivido: “Le lodi che Dante fa ai Malaspina, oltre che il pagamento di un debito di gratitudine per l’aiuto e l’onore  datogli da quella famiglia intorno al 1306, sono una delle diverse espressioni, riscontrabili nel poema, di nostalgia per le virtù cavalleresche: esse continuano le lodi dei trovatori provenzali alla stessa famiglia incentrate sul binomio cortesia-valore, su cui Dante non si stanca mai di insistere.    In tutto l’episodio si respira aura cavalleresca: nel tono, raffinato fino alla ricercatezza, del dialogo; nel culto della fama e dell’onore (“la fama che la vostra casa onora, / grida i segnori e grida la contrada”); nella stessa gratitudine di Dante, così alta, senza reticenze, che il lettore avverte sottendere all’elogio della casata. Corrado e Dante, due cavalieri a colloquio: quando il primo qualifica come “cortese” l’opinione dell’altro circa la propria famiglia, presso la quale non era ancora mai stato, non usa un termine di ‘buona educazione’, ma lo adopera in senso cavalleresco, nel senso cioè che l’apprezzare le grandi doti di chi non s’ è mai visto, o addirittura innamorarsene, era esso stesso alta cavalleria”.

Sabato, 20 aprile 2024

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