Scheda sintetica del panorama storico e religioso dell’Iraq, dalle origini ai giorni nostri
di Silvia Scaranari
L’Iraq, come lo conosciamo oggi, è una realtà artificiale, costruita a tavolino in base agli interessi delle potenze europee (soprattutto della Gran Bretagna) durante il primo conflitto mondiale.
Allo stesso tempo questo territorio coincide con l’antica Mesopotamia, la “terra fra i due fiumi” (il Tigri e l’Eufrate) dove sorsero l’antica civiltà sumera, fiorita ben prima di quelle egiziana e greca, la mitica città di Ur, di cui sarebbe stato originario lo stesso Abramo, la ricca civiltà babilonese con i suoi grandi re da Hammurabi a Nabucodonosor.
Morto Nabuccodonosor II, Babilonia inizia il suo declino, fino a perdere la sua indipendenza: conquistata dai Persiani, poi da Alessandro Magno, rimane parte dell’Impero Persiano fino al 636 d.C., quando, dopo due anni di guerra, gli Arabi musulmani si impadroniscono definitivamente della regione.
Un secolo dopo, la dinastia degli Abbasidi fissa a Baghdad, a circa 80 km dalle rovine dell’antica Babilonia, la capitale del califfato, che tale rimarrà fino all’arrivo dei Mongoli nel 1258.
Il territorio, conteso per secoli fra Turchi e Persiani, nel 1638 sarà incluso definitivamente nell’Impero ottomano, che si occuperà poco di questi territori, abitati in maggioranza da musulmani sciiti e lasciati alle razzie di predoni che vengono dai deserti del Sud. Per i funzionari turchi, essere distaccati a Baghdad era considerato come un esilio o una punizione.
Secondo il tipico schema ottomano, l’amministrazione ottocentesca dell’odierno Iraq passa attraverso tre vilayet (province): Baghdad, Bassora e Mosul, diversi per composizione etnica, lingua, religione. Al vertice di ciascuno dei vilayet vi è una piccola élite di funzionari turchi, ma la vita economica è gestita da grandi commercianti ebrei e, poco per volta, da società inglesi e francesi.
Sulle rovine dell’Impero ottomano, sconfitto nella Prima Guerra mondiale, la Società delle Nazioni concede, nel 1920, l’area sotto forma di “mandato”all’Inghilterra e vengono tracciati più o meno i confini attuali dell’Iraq, che in questo senso sono, in effetti, una creazione artificiale.
Anche il potere viene gestito in modo arbitrario, escludendo la maggioranza sciita ed affidando l’amministrazione ad alcune famiglie sunnite, formalmente fedeli agli inglesi.
Nel 1921, di fronte alle frequenti rivolte che chiedono il passaggio all’indipendenza, gli inglesi creano una monarchia, affidata a Feisal I (1885-1933), membro della grande famiglia araba degli Hascemiti (rivali dei Sauditi), che aveva già regnato sulla Siria e sulla Giordania prima di essere deposta dall’avanzata francese (alla sfera d’influenza inglese rimane la Transgiordania, di cui diventa re nel 1921 il fratello di Feisal, Abdullah, 1882-1951). Accolto inizialmente con scetticismo, Feisal riesce a conciliarsi abilmente la maggior parte delle forze religiose e sociali dell’Iraq, ma è stroncato nel 1933 da un infarto. Gli succedono il figlio Ghazi I (1912-1939) e il nipote Feisal II (1935-1958) – che eredita il trono a soli quattro anni dopo la morte piuttosto misteriosa di Ghazi in un incidente automobilistico –, ma il 14 luglio 1958 un colpo di stato porta al massacro della famiglia reale e alla presa del potere da parte di ufficiali filo-nasseriani a loro volta deposti lo stesso anno. Seguono anni di torbidi tra esercito, potere religioso e movimento Ba’ath, di ispirazione laica e socialista, che prende definitivamente il potere nel 1968. Il leader ba’athista Ahmed Hasan al-Baqr (1914-1982), diventa così presidente dell’Iraq; il suo delfino, Saddam Hussein (1937- 2006), si rivela però a poco a poco il vero padrone del paese e, nel 1979, convince al-Baqr a rinunciare alla carica a suo favore, ufficialmente per ragioni di salute. Il resto è storia nota.
Se la vicenda storica della regione è tortuosa, ben più complessa è la situazione religiosa. Mi limito ad una panoramica della realtà cristiana, tralasciando il mondo islamico, diviso fra una maggioranza sciita e una minoranza sunnita, a loro volta suddivise in gruppi di tradizioni e appartenenze diverse.
Il Cristianesimo in questa zona risale ai primi secoli: si fa addirittura riferimento a san Tommaso apostolo, che avrebbe convertito alcune popolazioni semitiche locali accompagnato dal suo discepolo Addai e dai discepoli di questi, Aggai e Mari.
Di queste origini antichissime si ha ancora traccia nella lingua utilizzata da alcuni cristiani, che è il sûret, un misto di accadico ed aramaico, diventato poi il siriano letterario e molto simile alla lingua parlata probabilmente da Gesù e dagli Apostoli.
Nei primi secoli la Chiesa viene lacerata da diverse interpretazioni cristologiche che lasciano in Mesopotamia un segno profondo: il nestorianesimo, che riconosce la sola natura umana di Cristo, e il monofisismo che, al contrario, riconosce solo la natura divina. Condannate dai due concili di Efeso (431) e Calcedonia (451), queste due eresie determinano la rottura tra le Chiese latina e greca (allora ancora unite) e quelle orientali e mesopotamiche.
Come si è detto prima, a metà del VII secolo queste comunità cristiane cadono sotto il dominio degli Arabi, presso i quali mantengono un ruolo indiscusso di leadership culturale, amministrativa e, spesso, economica. Tuttavia, la condizione di dhimmi (religione protetta sottoposta a pagamento di tassazione speciale), la discriminazione operata dal potere islamico, la pressione sociale, le diverse conquiste prima mongole e poi ottomane, portano gradatamente la realtà cristiana a contrarre la sua presenza, riducendosi ad un 6 % della popolazione nel XX secolo.
Dopo gli eventi degli ultimi decenni i cristiani sono poche centinaia di migliaia (forse 250.000-300.000), ma il calcolo è molto difficile.
La comunità cristiana più numerosa è certamente quella cattolico-caldea, rientrata in comunione con Roma nel 1553 e oggi guidata dal patriarca card. Louis Raphaël Sako. I caldei hanno otto diocesi, un Seminario Maggiore e uno Minore, un Collegio per la Teologia e la Filosofia, vedono sul territorio diverse comunità religiose, tra cui francescani, domenicani e le più recenti suore di santa Teresa di Calcutta.
Il mosaico cristiano si compone, inoltre, di comunità siro-cattoliche, con circa 45.000 fedeli, divise in 4 diocesi e concentrate soprattutto nella piana di Ninive e dintorni. L’autorità di riferimento è Sua Beatitudine Youssif III Younan, patriarca di Antiochia, incontrato dal Papa nella sua prima giornata di viaggio in Iraq, presso la cattedrale di Nostra Signora della Liberazione a Baghdad. Si incontreranno ancora a Qaraqosh.
Gli armeni cattolici sono una comunità molto piccola, forse oggi 1800 fedeli con due parrocchie, riuniti nella arcieparchia di Baghdad, dove si trova la cattedrale di Nostra Signora di Nareg, eretta da Pio XII nel 1959 ed oggi vacante, affidata dal 2018 a Nersès (Joseph) Zabbara in qualità di amministratore apostolico.
I cattolici di rito latino rappresentano una minoranza veramente infima, riuniti nella diocesi di Baghdad, dove c’è la cattedrale di san Giuseppe: dal 2000 è vescovo mons. Jean Benjamin Sleiman.
Sul fronte ortodosso, la Chiesa greco-ortodossa di Antiochia (dal 2012 retta dal patriarca patriarca Giovanni X Yazigi) e la Chiesa ortodossa siriaca (dal 2014 retta dal patriarca Mar Ignazio Afram II) si contendono il titolo di legittima erede della Chiesa fondata dagli apostoli Pietro e Paolo ad Antiochia. Sono presenti in Iraq con l’arcidiocesi di Baghdad, oltre che in Siria, Iran, Turchia, Giordania e Libano.
In ultimo si può ricordare la Chiesa assira d’Oriente (monofisiti), retta dal patriarca Mar Gewargis III Sliw dal 2015, la cui sede patriarcale è stata riportata, dopo anni di esilio all’estero, a Erbil.
Altre comunità sono gli assiro-caldei (nestoriani), divisi a loro volta in due gruppi, uno facente capo al patriarca che risiede negli Stati Uniti e un altro, minoritario, al patriarcato di Baghdad creato nel 1968, i melchiti e i copti-egiziani, soprattutto emigrati.
Oltre al Cristianesimo si trovano in Iraq, vero crogiuolo di religioni, alcune comunità ebraiche e alcuni esponenti dei Mandei.
Dall’originaria Palestina sembra che i Mandei si siano stanziati nel sud Iraq, nello Shatt al-‘Arab, a causa di ripetute persecuzioni. Adoratori dei due principi del Bene e del Male, secondo molti hanno origine da san Giovanni Battista o dagli Esseni. Gli studiosi sono divisi, perché alcuni li considerano un’eresia cristiana, altri una religione pre-cristiana e un terzo gruppo un sincretismo tra Ebraismo, Cristianesimo e manicheismo. Si tramandano riti antichissimi, in cui compaiono la venerazione per il Gesù spirituale – battezzato da Giovanni nel Giordano e ben distinto dal Gesù terreno, un impostore smascherato dall’angelo Anosh Uthrà -, un battesimo da ripetersi più volte nella vita come fonte di rigenerazione spirituale, la celebrazione della domenica, i riti funebri e la festa dei morti. Con l’Ebraismo condividono la figura di Adamo, primo uomo, e di Eva, considerata un regalo del Dio della Luce ad Adamo.
Dal 2014, durante la guerra causata dalla costituzione del cosiddetto Stato islamico tra Siria e Iraq, si è sentito parlare molto di una comunità etnico-religiosa, gli Yaziditi. Comunità che non supera i 300.000 membri, ha subito nella sua lunga storia ogni sorta di persecuzione. Insediati in origine sulla catena montuosa Jebel Sinjar, al confine tra l’attuale Siria e l’Iraq, hanno origini lontane nel tempo e tuttora non completamente note. Il termine probabilmente deriva dal persiano (pahlavi) yazd, che significa “entità media”, qualifica con cui designano Melek Ta’us, il primo dei Grandi Sette Angeli che sono la manifestazione della divinità o luce primordiale. Precedenti ad Ebraismo, Cristianesimo ed Islam, sono stati fortemente influenzati soprattutto dalla lingua e dai costumi arabi, tanto che erroneamente alcuni li hanno scambiati per una forma deviata di Islam.
MelekTa’us viene rappresentato come un pavone ed è l’origine del Bene e del Male (dualismo forse influenzato dall’antica religione persiana). Il Male è generato da Dio, ma gli uomini devono operare per far trionfare il bene. Se compiono azioni cattive causano l’affievolirsi della luce che, emanando da Dio, ha generato tutto. Forse da questa credenza deriva l’appellativo di “spegnitori di lampade”. La scarsa conoscenza del loro credo dipende dall’assoluta riservatezza con cui conservano i propri rituali (nessuno può assistere alle preghiere recitate due volte al giorno) e dall’insufficiente conoscenza dei testi originari, scritti in curdo antico (recentemente sono stati ritrovati due testi base, oggi sottoposti a studi esegetici).
Uno dei punti forti dello yazidismo è la dottrina della metempsicosi, per cui le anime si reincarnano in esseri migliori o peggiori secondo la propria condotta in vita (forse retaggio di culti orfici diffusi nella regione, che in verità potrebbero essere all’origine della comunità stessa). Molto influenzati dall’Islam, hanno introdotto il pellegrinaggio annuale alla tomba di ʿAdī b. Musāfir che, vissuto nell’XI sec. e forse discendente dei primi Omayyadi, avrebbe rielaborato la loro dottrina e alla sua morte si sarebbe riunito al Pavone. Altra chiara influenza araba è la presenza di un emiro come referente della comunità nei confronti dell’autorità pubblica, mentre per gli aspetti religiosi c’è il “Maestro”, che deve vivere sui monti del Sanjar ed è “infallibile” nell’interpretazione delle antiche scritture.
Domenica, 7 marzo 2021