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L’Italia non sta bene

7 Luglio 2020 - Autore: Maurizio Milano

di Maurizio Milano

Dopo il 53esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese del CENSIS, il Centro Studi Investimenti Sociali, dello scorso dicembre, il 3 luglio 2020 l’ISTAT, l’Istituto Nazionale di Statistica, ha pubblicato il suo 28esimo Rapporto annuale 2020. La situazione del Paese. 

Già il report Censis, quindi pre-Covid, dava conto di una «società ansiosa di massa», il cui «stato d’animo dominante» era «l’incertezza», per un’economia incapace di tornare a crescere ai livelli – peraltro modesti – precedenti alla Grande Crisi Finanziaria del 2007-09, una minaccia per il futuro e in particolare per i giovani. Un paese invecchiato e impoverito, con una dominante sfiducia reciproca tra gli italiani, già evidenziata nel Rapporto 2007 dall’allora Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, in cui dipingeva la società italiana come una «poltiglia», una «società mucillagine» composta da tanti «coriandoli» che stanno l’uno accanto all’altro ma non assieme. 

La paura sanitaria degli ultimi mesi – reale ma anche gonfiata da una comunicazione maldestra – ha aggiunto un capitolo nuovo, la cui cifra dominante è il “distanziamento sociale”, il lockdown, tra giusta prudenza e panico irrazionale, con compressioni della libertà non sempre giustificate; col corollario di una conseguente crisi finanziaria, economica e sociale. Le crisi, la storia insegna, tendono ad accentrare il potere, ai danni della sussidiarietà, perché per paura i consociati rinunciano volontariamente a spazi di libertà in cambio della speranza, illusoria, di maggior sicurezza, da cui l’affidamento all’“uomo forte”. Il Governo, infatti, anche se l’Istat ovviamente non lo dice, deve probabilmente la propria sopravvivenza al Covid-19.

L’analisi Istat si articola in 5 capitoli: 1) Il quadro economico e sociale; 2) Sanità e salute di fronte all’emergenza Covid-19; 3) Mobilità sociale, diseguaglianze e lavoro; 4) Il sistema delle imprese, elementi di crisi e resilienza; 5) Criticità strutturali come possibili leve della ripresa: ambiente, conoscenza permanente, bassa fecondità. Come “invito alla lettura“ del Report Istat 2020 riportiamo alcuni stralci della Presentazione dello studio effettuata dal Presidente Istat, Gian Carlo Blangiardo, alle più alte autorità politiche in data 3 luglio a Palazzo Montecitorio. 

Innanzitutto viene data ragione della dimensione dell’emergenza sanitaria in Italia, «uno dei paesi coinvolti più precocemente e intensamente dalla pandemia dovuta al COVID-19. I contagi registrati finora sono stati circa 240 mila e hanno causato poco meno di 35 mila decessi. Il numero di casi segnalati ha raggiunto il suo massimo nel mese di marzo (113.011), iniziando lentamente a diminuire ad aprile (94.257), per poi calare più decisamente e costantemente nei mesi di maggio e di giugno». Si evidenziano i «legami familiari soddisfacenti» che hanno consentito alla società italiana, anche tra gli anziani e le persone con minori risorse economiche, di reggere mediamente molto bene all’epidemia. Anche il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) «ha saputo reagire con ammirevoli impegno e competenza, anche se talvolta in affanno e con difficoltà, al richiamo dell’emergenza». La spesa sanitaria pubblica negli ultimi anni è salita mediamente dello 0,2%, a fronte però di un forte calo nei posti letto e nel personale sanitario, portando ad un sotto-dimensionamento soprattutto del personale infermieristico e dei reparti dedicati alle malattie infettive. Pare quindi che ci sia anche un problema di “qualità” della spesa pubblica, più che di “quantità”. 

Circa gli «atteggiamenti e dei comportamenti sociali delle persone che hanno vissuto il lockdown», si evidenzia poi la «diffusa consapevolezza della gravità della situazione e una forte coesione». «Più di 9 persone su 10 hanno avuto modo di trascorrere tale fase in un contesto familiare positivo, anche se non sono mancati casi di situazioni comunque difficili». La famiglia, insomma, ha fatto la differenza. 

«L’emergenza sanitaria ha repentinamente imposto il passaggio al lavoro a distanza in molti settori», in contemporanea con la chiusura delle scuole, provocando quindi un vero e proprio «shock organizzativo familiare»: l’esplosione del ricorso allo smart working apre comunque prospettive interessanti di riorganizzazione del rapporto futuro lavoro-famiglia. 

Sul fronte economico, «Il quadro internazionale si presenta, alla metà del 2020, particolarmente complesso e incerto. In concomitanza con i primi segnali di rafforzamento del ciclo, l’emergenza sanitaria ha generato uno shock globale di eccezionale intensità che sta producendo, per l’appunto, una recessione globale. L’Italia, come altri paesi, ne risente in maniera diretta, con una caduta dell’attività di ampiezza inedita, rispetto alla quale si intravedono i primi segnali di reazione». 

Sul fronte finanza pubblica, «la stima preliminare relativa al primo trimestre indica già un aumento dell’incidenza del deficit di 3,7 punti percentuali rispetto a un anno prima, alimentato dalla crescita della spesa per prestazioni sociali e dal calo delle entrate». Inevitabile, quindi, una forte salita del debito pubblico che già ora è nettamente al di sopra della media Uem, l’Unione economica e monetaria dell’Unione Europea (134,8% vs. l’84,1%). Preoccupa anche il forte calo delle esportazioni «diminuite nel bimestre marzo-aprile di quasi il 30 per cento rispetto agli stessi mesi del 2019». «Gli effetti diretti e indiretti del lockdown genererebbero contrazioni significative del valore aggiunto di tutti i principali comparti dell’economia italiana, più accentuate per alcune attività del terziario e per le costruzioni». «La preoccupazione per la carenza di liquidità è tanto più diffusa quanto minore è la dimensione aziendale», perché le imprese di piccole dimensioni si basano in misura prevalente sull’autofinanziamento e sul debito bancario. 

Sul fronte sociale, l’Italia è entrata nell’epidemia con una situazione già deteriorata rispetto al periodo pre-crisi 2008/09, e si stima che ci siano «circa 2,1 milioni le famiglie dove è presente almeno un occupato irregolare – oltre 6 milioni di individui – e la metà di esse include esclusivamente occupati non regolari». Le prospettive risultano in peggioramento «per giovani, donne e Mezzogiorno». 

L’Italia patisce poi un’arretratezza, rispetto agli altri paesi avanzati, sia sul fronte scolarizzazione che sul c.d. digital divide, oltre che sugli investimenti in Ricerca&Sviluppo. 

Prosegue poi la tendenza del calo demografico, con continui record negativi sul numero dei nati con un tasso di fecondità tra i più bassi al mondo (1,3 figli per donna contro un tasso di sostituzione di 2,1): «nel periodo post-Covid la caduta della natalità potrebbe anche subire un’ulteriore forte accelerazione» per le preoccupazioni sull’evoluzione della crisi. «L’impressione di fondo è che il nostro Paese non riesca a pensare al suo futuro, ad assecondare un desiderio visibile nella società che può realizzarsi solamente rimuovendo tutti quegli ostacoli che hanno impedito in questi anni, a uomini e donne, di costruire la propria indipendenza, di avere i figli che volevano e di tradurre in realtà un loro desiderio». 

Blangiardo conclude evidenziando come «la digitalizzazione delle imprese, delle famiglie e della società sia un obiettivo indispensabile per poter progredire, senza lasciare indietro nessuno» e come la «flessibilità» possa divenire «un volano di conciliazione tra la vita delle persone e il mondo del lavoro, una risorsa per lo sviluppo di una nuova concezione del sistema produttivo».

Martedì, 7 luglio 2020

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