Di Vittorio Emanuele Parsi da Il Foglio del 30/05/2024
Sulla guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina e contro le democrazie occidentali il livello del dibattito pubblico italiano è non da oggi imbarazzante per la sciatteria dei ragionamenti, per la ricorrente abitudine a parlare di cose che non si conoscono e a commentare con veemenza dichiarazioni che neppure ci si è presi la briga di leggere, complice magari la solita fatica a maneggiare (e comprendere) l’inglese. Già, perché Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, si era limitato a osservare che nella zona di Kharkiv la linea del fronte corrisponde sostanzialmente con il confine di stato, dopo che i russi sono stati buttati fuori dalla regione nei primi mesi dell’invasione. L’impossibilità per i soldati ucraini di “colpire legittimi obiettivi militari russi oltre il confine” preclude loro qualunque possibilità di difendersi efficacemente.
Stoltenberg aveva quindi invitato i paesi membri dell’Alleanza a riconsiderare le limitazioni nell’uso delle armi fornite all’Ucraina, considerando che, in quella regione, i russi sono in grado di colpire direttamente dal loro territorio, nel quale stanno ammassando consistenti riserve di uomini e mezzi per l’attesa offensiva estiva.
Le considerazioni di Stoltenberg sono poi state riprese dall’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, lo spagnolo Josep Borrell, che ha richiesto un maggiore e tempestivo sostegno militare all’Ucraina, considerando che l’aggressione russa all’Ucraina si va sempre più intensificando. A una maggiore presa di coscienza della minaccia esistenziale posta dall’invasione dell’Ucraina all’Ue ha più volte invitato a riflettere il presidente francese Emmanuel Macron, che prospetta l’invio di truppe francesi in Ucraina in caso si rendesse necessario, sia pure, sembra di capire, con funzioni di sostegno e addestramento e non di combattimento.
Queste dichiarazioni hanno suscitato una serie di reazioni isteriche nel dibattito politico italiano, con stentoree affermazioni da parte dei due vice primi ministri (Antonio Tajani e Matteo Salvini) che “nessun militare italiano sarà mai mandato a combattere in Ucraina”: cosa che, peraltro, nessuno aveva mai chiesto. Salvini, come d’abitudine, si è contraddistinto per lo stile arruffone e sguaiato, tuonando che “Stoltenberg dovrà dimettersi o scusarsi” (se lo dice lui), e accusando Borrell di essere “un bombarolo” e Macron un “guerrafondaio”. Dalle opposizioni si è scatenata la solita canea di Giuseppe Conte, secondo il quale la Nato e i governi delle democrazie occidentali ci starebbero “trascinando verso la Terza guerra mondiale”, poco importa che sia la Russia ad aver iniziato una guerra di aggressione nel cuore d’Europa, mentre nel Pd si metteva l’accento sul rischio di escalation, dimenticando che fino a ora Putin non ha avuto bisogno di nessun pretesto per incrementare la violenza dei propri attacchi, colpendo in maniera sempre più indiscriminata gli obiettivi civili, anche a partire dal territorio russo: com’è avvenuto nella strage del centro commerciale di Kharkiv, dove le bombe plananti che hanno fatto scempio di civili sono state lanciate da un bombardiere in volo all’interno dello spazio aereo russo. Si è distinto tra gli altri il “candidato indipendente” Marco Tarquinio il superbo, il Vannacci del Pd, che durante la trasmissione “Tagadà” affermava perentorio di fronte a una esterrefatta Tiziana Panella che avremmo dovuto “sciogliere la Nato per la sua incapacità di fermare la guerra” (in quanto continua a sostenere militarmente l’Ucraina) e quindi è inutile. E, anzi, andrebbe sostituita con un’altra e diversa alleanza tra Stati Uniti ed Europa. Un’idea raffinata e geniale, oltre che tempestiva, nel bel mezzo di un conflitto di aggressione, e mentre l’Alleanza atlantica rappresenta la principale garanzia nei confronti di un’estensione del conflitto: è la ragione per cui Finlandia e Svezia hanno aderito alla Nato dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Ma ciò che ci interessa sottolineare non è cosa dicono i Tarquinio o i Vannacci, ma il fatto che anche Giorgia Meloni sembra essersi dimenticata della guerra in Ucraina. Ne parla sempre meno e sempre più malvolentieri, mentre la consegna dei nostri aiuti militari segna il passo e la loro entità e qualità sono “secretate”: non si sa più se per non spaventare un’opinione pubblica senza guida o per evitare di dover constatare la loro pochezza e inconsistenza. La responsabilità di alimentare un dibattito informato e franco, nel quale le ragioni delle scelte adottate siano coraggiosamente spiegate, dovrebbe gravare sulle spalle dell’intera classe dirigente del paese, oltre che della classe politica in senso stretto. Ma, ovviamente, chi governa ha in tal senso un dovere ulteriore di chiarezza. Su questa scellerata guerra imposta dalla Russia di Putin all’Ucraina e a noi tutti possono legittimamente avere posizioni molto diverse, ma quello che non si può accettare è l’ambiguità o la distorsione consapevole dei fatti. E questo dovere riguarda tanto i politici, quanto i media, quanto tutti quelli che intendono portare il proprio contributo interpretativo all’attenzione dell’opinione pubblica. Per quel che riguarda Meloni, vorremmo essere rassicurati che il suo rinnovato interesse per Marine Le Pen e il richiamo della foresta per la destra identitaria e sovranista siano estranei a questo silenzio, e che quest’ultimo non rappresenti invece il preludio a un cambiamento di posizione nei confronti del sostegno all’Ucraina, considerando come tanti – in quella parte politica – continuino a guardare a Putin come a uno “statista” e non come a un macellaio e alla sua cinica e immorale politica di potenza come un modello per l’ordine internazionale post americano.